Lascerò la mia casa.
Ci ho pensato a lungo, di notte, di giorno, durante i pasti e perfino dentro ai miei sogni.
Mi sono violentata lo sguardo ed i pensieri, ho riflettuto, discusso, imprecato e pianto... ma ho deciso che lascerò la mia casa.
Non è stata una scelta semplice e indolore, ha avuto tutte le patologie che si hanno in questi casi, ferite profonde e graffi superficiali ma che spesso fanno male più di un lancinante fendente al fianco.
Dovrò riordinare le idee e scombussolare la mia vita per ritrovare un assetto che mi ridia equilibrio e fiducia. Lo paragono un po' al risaputo -è come cercare un ago in un pagliaio- ma ci sta bene anche è -come andare alla ricerca della chiave della macchina nella borsa di una donna-
Ecco, direi che l'esempio mi calza a pennello, mi sento come un oggetto sommerso sotto miriadi di altri oggetti-una cosa-
Stamane ho fatto mente locale e un giro di perlustrazione nelle stanze della mia casa, nel giardino, in mansarda ed ho avvertito l'ostilità dei muri, dei quadri appesi alle pareti e di alcuni oggetti il cui valore risiede ormai nella loro anima, indipendentemente dal prezzo. Per me rappresentano le tappe del mio vissuto all'interno di perimetri oramai diventati fili spinati e balaustre pericolose.
Va bene mi dico, inizierò dalle cose personali. Munita di capienti scatoloni faccio cernite e scoperte piacevoli, ritrovo tutte quelle cose andate perdute ma come per miracolo ritornate alla luce.
Non sono certamente fiera del cambiamento.
Questa doveva essere il mio rifugio finale, la calda alcova d'affetto e tutto ciò che l'universo umano ha di più caro.
Dicevo che non ne vado certamente fiera, in alcuni momenti voglio convincermi che la crescita è avvenuta in modo diverso da quello che si pensava... escamotage infantile per non ammettere che una buona dose di fallimento ha contribuito a tutto questo.
I cassetti del mio comò raccontano la profumata femminilità di donna. Le stoffe impalpabili degli indumenti intimi mi scivolano tra le dita come la passione scemata dalle membra... sembrano si tuffino nel fondo dello scatolone.
Il riverbero della luce che oltrepassa i vetri è sempre lo stesso, potrei indovinare anche l'ora senza consultare un orologio. Mi scuoto dall'immobilità e continuo ad aprire cassetti e a riempire scatoloni e non so perchè questa manovra non mi rende per nulla felice ma sento una sorta di agitazione fisica, anche nelle mani il tremore diventa evidente.
Sto strappando via ciò che mi rappresenta, quanto meno una parte di ciò che ho vissuto.
Passo in rassegna le cornici allineate sul mio tavolino da notte... non tutti i sorrisi catturati sanno di onestà e amore, faccio una cernita.
Tutte le foto dei miei figli sono già avvolte in fogli di giornale e sistemate tra le cose prioritarie da portar via, loro, ono i frutti buoni della mia crescita.
Mi sento stanca.
So perfettamente che ciò che rende affaticato questo momento non è altro che il fattore emotivo di tutta la situazione.
Sono combattuta dalla nostalgia di ciò che è stato e dall'eccitazione di ciò che sarà.
Nel mentre, il mio cellulare squilla, l'impresa dei traslochi sta arrivando e per l'ultima volta pronuncio il nome della via dove c'è la mia casa.