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Lungo il torrente
Da ragazzetto possedevo collezioni enormi di fumetti. Da Mister No a Tex, passando per Martin Mister e Ken Parcker, per finire con Topolino.
Di quel periodo ricordo le lunghe trattative di scambio dei giornalini, in special modo con Fabrizio e Mariano, due fratelli che vivevano come me nelle case operaie della Cartiera, dove mio padre e il loro lavoravano.
Mi tornano alla mente le interminabili partite a Monopoli, e le altrettanto lunghe sfide a calciotennis tra i muretti di separazione delle case.
Rammento, come fosse oggi, delle centinaia di capanne costruite tra le boschine di robinia che circondavano il quartiere, della caccia alle rane negli stagni e tra i sassi del fiume, incrostati dalla patina bianca della carta sfuggita agli scarichi della cartiera.
Soprattutto ho memoria delle nostre "ardimentose" discese in gommone sulle acque del Torrente San Giovanni, da Possaccio al lago.
Quante volte tentammo l'impresa di discendere il corso del torrente meno nobile di Verbania, senza riuscirvi.
Sembra di parlare di secoli fa, ma badate che basta tornare indietro di una generazione, perché ci si ritrovi in un mondo dove la gioventù aveva divertimenti e mezzi molto più limitati di quelli odierni.
Io stesso, che non sono proprio Matusalemme, ricordo benissimo, ad esempio, che le prime partite a pallone le giocammo con una camera d'aria recuperata da un vecchio e distrutto pallone, rubato nei magazzini del Verbania Calcio, e che il primo paio di scarpe da pallone con i tacchetti a vite fu possibile comprarle, che ormai avevo quindici anni; così come ricordo con nostalgia, la televisione in bianco e nero, le sigarette vendute sciolte, la gazzosa con una pallina di vetro per tappo, il film in TV solo al lunedì e, unicamente per i fortunati che riuscivano a vedere la televisione svizzera, qualche volta anche al martedì.
Cose che sembrano ora, in quest'era di Play Station e di TV a pagamento, lontane migliaia di eoni.
Eppure ci furono, non tanti anni fa, gli anni dell'austerity, con macchine a targa dispari che viaggiavano, mentre le altre a targa pari se ne stavano ferme ai box. Oppure il periodo, caduto nel limbo della dimenticanza, in cui le tasche della gente si gonfiarono di miniassegni, tanto colorati e dai valori tanto assurdi da essere ridicoli.
Me ne ricordo uno, non rammento più di quale ente bancario, dal valore surreale di centosettantacinque lire.
Erano un mondo e un tempo in cui ogni paese, anche il più piccolo, aveva la sua brava festa dell'unità, in cui il termine "paninoteca" aveva un significato ancora sconosciuto, mentre quello di Fast food poteva essere scambiato per il nome di una marca di scarpe, e in cui la febbre del sabato sera non era ancora arrivata a riempire le notti, dei suoni e dei colori delle discoteche.
Tornando alle nostre scorribande tra le rapide del fiume, forse ora vi sembrerà più facile accettar per vero, il fatto che, io, vi descriva il canotto con cui ogni volta ci cimentavamo nell'impresa, come una specie di vescica sforacchiata in mille punti, che perdeva aria da ogni parte.
Le condizioni del nostro natante erano tali per cui raramente si riusciva a superare il limite dei piloni del ponte di Intra, che restavano per noi delle vere e proprie Colonne D'Ercole.
Quella specie di borsa del ghiaccio rappezzata, si afflosciava come un supplì senza lievito a metà percorso, e, ogni volta ci toccava tirarlo in secco semi sgonfio, e tornarcene mestamente a piedi in quel di Possaccio.
La cosa meravigliosa che accadeva, e che sempre porterò con me, come uno dei miei ricordi più belli, era però il fatto che, ad ogni fallimento, e a partire dai primi passi mossi lungo la strada del ritorno, facevano seguito una miriade di progetti, di proposte per ovviare all'inconveniente e che, ogni volta, si giungeva a casa stanchi ma nuovamente risoluti nella nostra volontà di ritentare.
Non ci facevamo mai aiutare da nessun adulto nelle riparazioni.
Non che ci fosse un accordo specifico che lo vietasse; semplicemente così doveva essere.
Ci si doveva riuscire da soli.
Così le riparazioni erano tentate nei modi più assurdi e raffazzonati e, immancabilmente, anziché diminuire le perdite, al contrario le ingigantivano.
Un fattore solo, ma determinante, giocava a nostro vantaggio, e quel fattore era l'illusione.
L'illusione è qualcosa di potentissimo che ha il potere di annullare la ragione e la realtà.
È quella forza che ti porta a riuscire là dove sempre hai fallito.
Quel giorno avevamo progettato il più stupido degli espedienti per ovviare al problema delle forature.
Ci eravamo muniti di un pacchetto di mille figurine autoadesive della Panini, e con quelle contavamo di turare le falle nel corso della discesa.
Io stavo a prua a dare la direzione al gommone.
Fabrizio remava a poppa dando la spinta.
Mariano era l'incaricato a tappare le falle, e se ne stava quindi al centro del canotto con il suo bel mazzo di figurine in mano.
Ora rivedo la scena con una tenerezza e una nostalgia incredibili.
Mariano, piccolo com'era, spuntava a malapena con la testa dal fondo del canotto, tenendo le figurine in alto con il braccio teso per non farle bagnare.
Fabrizio era a torso nudo, con una cintura di sua madre a tracolla, e una fascia alla fronte, come fosse un misto tra Indiana Jones e Rambo.
Proprio lui, che aveva un fisico prossimo al rachitismo, completamente coinvolto dall'impresa che ci accingevamo a compiere, prendeva l'atteggiamento del Marines forzuto.
Io sembravo il capitano Akab, solo che, invece di tentare di trafiggere Moby Dick, dovevo preoccuparmi di non farci infilzare il gommone dai numerosi spuntoni di legno di cui il torrente era disseminato.
Man mano che si scendeva il fiume, Io e Fabrizio, urlando a squarciagola per fare in modo che la nostra voce superasse il rumore delle rapide, davamo a Mariano le indicazioni su dove secondo noi c'era una perdita, e lui si precipitava, solerte e spiritato, ad appiccicarci su qualche figurina.
Via via che la corrente si faceva più impetuosa, i nostri richiami aumentavano di frequenza, e Mariano sembrava essere stato morso da una tarantola, tanto febbrili erano divenute le sue operazioni di otturamento.
Vi lascio pensare a quanto queste fossero efficaci, visto che sulla gomma bagnata la presa dell'adesivo era praticamente nulla.
Tuttavia, l'illusione che avessero un effetto, unita al fatto che preoccupandoci di tappare i fori non badavamo più allo sgonfiamento effettivo del canotto, ci fece ultimare l'impresa.
Quando, infatti, terminate le figurine, fummo costretti a smettere di preoccuparci delle perdite e sollevammo la testa per guardare dove fossimo arrivati, scoprimmo davanti a noi l'acqua del lago.
Più in là negli anni Mariano e Fabrizio, con la chiusura dello stabilimento, cambiarono paese e li persi di vista.
Quello che oggi so di loro è che, Fabrizio ha contratto un morbo dal nome che non rammento, e che lo fa sembrare ubriaco per trecentosessantacinque giorni l'anno, e che, Mariano, è diventato un tossicodipendente che i buchi se li fa e non li tura più, e si è ammalato di AIDS.
Non ho risposte alla domanda su chi o cosa abbia deciso per le loro sorti.
Tutto quello che so è che, per qualche motivo che non comprendo, un destino malvagio ha voluto fosse così, e che non basterebbero neppure un milione di figurine per ripararne l'esistenza.
Credo anche, però, che sarebbe bastato loro mantenere dentro di se la forza dell'illusione e del sogno, per costruirsi un destino diverso, e per far scivolare le loro vite lungo le rapide del fiume dell'esistenza, passando incolumi tra i tranelli che quel percorso cela.
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viola il 28/08/2012 20:25
Leggendo il tuo racconto mi ci ritrovo, avendo più o meno la tua età. Solo che io rattoppavo i buchi di quei palloni gonfiabili che adoravo, con cui giocavamo divertendoci per ore. Erano giochi semplici tipo saltare nei quadri disegnati con il gesso sull'asfalto o l'elastico ecc. Ci si divertiva con poco ed era bellissimo. Anche io ricordo la tv svizzera in quanto andavo in vacanza al lago a Caldè, un posto bellissimo vicino a Luino. Anche io ho perso di vista le mie compagne di giochi. La vita è così... Grazie per il tuo bel racconto e buona serata
- molto apprezzato complimenti
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