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Il quadrifoglio d'asfalto
Confesso che, da sempre, sono affetto da una certa distrazione e, spesso, bado poco alle cose pratiche, anche perché, quasi sempre, sono perso nei miei sogni e nei miei pensieri un poco strampalati.
Così mi prendo la completa responsabilità di ciò che è accaduto e ammetto che, se mi e capitato di restare senza benzina sull'autostrada, lontano da ogni stazione di servizio, è unicamente stato per la mia dabbenaggine e per la mia disattenzione.
Per fortuna la macchina mi si era fermata proprio un centinaio di metri prima dell'uscita di Celate.
Non avrei dovuto quindi impiegarci molto a percorrere la strada che mi separava dal casello d'uscita, e chiedere aiuto al casellante o a qualcun altro che mi potesse reperire un po' di benzina da introdurre nella tanica che mi ero portato con me dopo averla tirata fuori dal bagagliaio.
Faceva molto caldo in quel giorno di piena estate, e l'asfalto friggeva sotto la suola delle mie scarpe, mentre camminavo lungo la corsia d'emergenza in direzione della stazione di pedaggio.
Avevo coperto solo la distanza che separava la mia automobile dormiente dall'imbocco della diramazione d'uscita, che già mi ero coperto di sudore e faticavo a respirare, a causa dell'afa e dei miasmi d'idrocarburi che il calore del sole distillava dall'asfalto, e da quelli che provenivano dai tubi di scarico delle tante autovetture di passaggio.
Gettai lo sguardo oltre il guard rail per controllare quanto mancasse al casello e mi accorsi che, come in tante altre uscite autostradali, il raccordo era strutturato in modo che la pista d'uscita compiesse un largo percorso circolare prima di raggiungere la stazione.
Così doveva essere, sia per la corrispondente uscita nel senso di marcia inverso dell'autostrada, sia per le due corsie d'ingresso nelle due direzioni.
Insomma, tutto il complesso delle piste di raccordo andava a formare quella tipica struttura a quadrifoglio così ben identificabile da chi può osservarla dall'alto.
In buona sostanza, per me, tutto ciò voleva dire dover compiere a piedi un tragitto piuttosto lungo, comunque più di quello che avevo ottimisticamente ipotizzato, prima di poter giungere a destinazione.
In lontananza vedevo i box del casello, ma essi si trovavano esattamente al lato opposto dell'anello erboso, i cui contorni erano delimitati dalla curva della strada.
Non mi andava proprio di farmi quell'assurda camminata dovendo poggiare i miei piedi già cotti sulla calura dell'asfalto e, quindi, decisi di scavalcare il parapetto e di accorciare la strada tagliando attraverso il boschetto di betulle che stava nel centro di quel cerchio verde, il cui diametro doveva misurare non meno di duecentocinquanta metri.
Dopo tanto calore fu un vero e proprio sollievo posare i piedi sull'erba fresca, lasciandomi alle spalle l'appiccicoso bollore del bitume, quindi, fu a cuore lieto che m'incamminai giù per la debole discesa che scendeva dal ciglio della strada sino alla spianata d'erba che portava al boschetto.
- Finalmente! - gridò una vocina sottile che mi parve di sentir provenire dal basso, dopo che avevo percorso una sola decina di metri
Mi guardai intorno, cercando con lo sguardo chi avesse parlato, ma non vidi nessuno.
Pensai di essermi sbagliato o che avessi udito qualche voce proveniente da una macchina di passaggio e, per questo, dopo un attimo di perplessità, tirai dritto per la mia strada.
- Finalmente! - ripeté la vocina, che questa volta aggiunse - Era proprio ora che venisse qualcuno.-
Questa volta ero assolutamente sicuro di aver udito una voce, e che questa non provenisse dall'autostrada.
- Chi ha parlato? - chiesi, mentre riprendevo a guardarmi all'intorno - C'è qualcuno qua che è in vena di scherzi? -
Nessuno rispose.
Dopo un po' decisi di rimettermi a camminare e che, se proprio c'era qualcuno che aveva voglia di giocare, poteva continuare a farlo da solo, perché non ero proprio in vena di scherzi e non avevo tempo da perdere.
Tuttavia mi rimase il dubbio che la calura e la mia inveterata fantasia mi avessero potuto fare lo scherzo di una bella allucinazione sonora.
Me ne convinsi sempre più mano a mano che proseguivo il cammino, anche perché per un po' non udii altre voci.
Era bello camminare nel prato solitario e vedere passare le macchine in lontananza il cui rumore quasi non si udiva più.
Sentivo solamente il tepore del sole sulla pelle, un venticello apparso all'improvviso che mi rinfrescava, e la morbidezza dell'erba che mi... accarezzava... i... Piedi??!
- Accidenti!? - Urlai spaventato, mentre mi guardavo con apprensione le scarpe
Quella sensazione che provavo non era un né impressione né un modo di dire figurato.
L'erba mi stava realmente accarezzando le scarpe!
Terrorizzato mi guardai tra i piedi e, come in un incubo assurdo, vidi una piantina di dente di leone che, come se nulla fosse, era intenta a palparmi il cuoio delle calzature, utilizzando le sue larghe foglie a mo' di mani, mentre un'altra erba selvatica di cui non avrei saputo dire il nome, si stava dedicando anima e corpo a tastarmi le stringhe, ma la cosa peggiore era che i due vegetali chiacchierassero amabilmente tra loro mentre mi palpeggiavano.
- Hai visto che belle scarpe ci sono oggigiorno.- diceva il dente di leone rivolgendosi all'altra erbetta - Devono essere di pregiatissimo cuoio sintetico. - poi, continuando a tastarmele ben bene, domandò alla sua compagna - Sai per caso dalla pelle di che animale gli umani ricavino il cuoio sintetico?-
- Credo che lo ottengano dalla pelle delle mucche di plastica- rispose l'erbetta sconosciuta e, anche se la risposta fu piuttosto assurda, come d'altronde lo era la domanda, non era nulla al confronto all'assurdità della scena incredibile a cui stavo assistendo
- Dovresti sentire quanto sono stupende queste stringhe.- disse l'erba che me le stava toccando - Credo che sia puro Nailon. Una vera sciccheria. Che peccato io non possa sentire di cosa sono fatti i calzoni, potrebbero essere di raion viscosa. Che rabbia, sono troppo corta e non ci arrivo! - esclamò poi un poco stizzita - Quanto darei per essere un pochino più alta. Se almeno fossi grande come il finocchio selvatico o il cardo riuscirei ad arrivare a toccarli e, allora, sai che goduria.-
Io, dall'inizio del loro assurdo dialogo sino ad allora, ero restato immobile, senza riuscire a far più un passo, a causa della paura e dello stupore che mi avevano paralizzato le gambe.
Quando però il dente di leone disse - Io però sino alle calze ci arrivo. - e per dimostrarlo, allungò le foglie per palparne la consistenza, i miei arti riacquistarono all'istante la loro capacità motoria, tanto che mi misi a correre all'impazzata e urlando tutto il mio spavento, sino a raggiungere uno spazio sabbioso e privo d'erba che stava nelle immediate vicinanze dei primi alberi di betulla del boschetto.
Stavo ansimando come un mantice, un po' per la corsa ma soprattutto per lo spavento e la paura che non accennavano a passarmi, quando, mentre mi comprimevo la milza dolorante, sentii qualcosa che mi toccava su una spalla e una voce che mi diceva:
- Non badare a quelle invadenti, anzi, vedi piuttosto di non dar loro troppa confidenza, altrimenti si attaccano con le radici e non ti mollano più. Non sai quanta attenzione dobbiamo fare anche noi per evitare che infestino completamente il prato. -
Il mio incubo continuava, anzi, stava addirittura peggiorando, visto che chi mi stava parlando non era altri che uno di quei grossi alberi di betulla di cui era pieno il boschetto.
Non bastavano le erbette petulanti, ci mancava la latifoglia saggia per completare il disegno folle di quel sogno angoscioso che stavo vivendo.
- Sono pazzo! - esclamai al limite della sopportazione e vedendo in quell'affermazione l'unica possibile spiegazione alle stranezze cui stavo assistendo - Sì, Sì, devo essere pazzo, oppure il sole deve avermi arrostito il cervello.-
- Ma va che non sei matto! - replicò la betulla - Sono loro che sono troppo invadenti e irrispettose. Non te la prendere, è normale che tu abbia reagito così e che ti sia spaventato.-
- Ma che centra l'invadenza! - Gridai io, al culmine dell'esasperazione - Che m'importa se sono invadenti o irrispettose. La cosa folle è che quell'erba stia parlando, che sia viva e che si muova. Devo essere per forza impazzito. Queste cose non possono accadere nella realtà. Sì, devo essere pazzo, e lo conferma il fatto che lo stia spiegando ad un albero parlante.
- Che c'è di strano?- ribatté la betulla con una vena ironica nella voce - Allora dovresti sentire cantare la gramigna, è di uno stonato che non par vero possa esistere una tale voce.
- PIANTALA! - Urlai isterico - Tu non puoi parlare. Deve esserci un trucco.- poi, rassegnandomi a che l'albero fosse il mio unico possibile interlocutore, lo implorai - Dimmi che c'è un trucco e fammi uscire da questa allucinazione.-
La betulla non rispose subito e, torcendosi sul tronco, sembrò rivolgersi ai suoi simili che lo attorniavano dappresso, per tenere un breve conciliabolo a bassa voce che io udii solo come un debole bisbiglio.
Poi, si rivolse nuovamente verso di me e, con una voce più accomodante, mi disse.
- Va bene. Ho parlato con i miei fratelli e abbiamo deciso di spiegarti come stanno le cose, ma tu devi promettere di starmi a sentire mettendo da parte i tuoi pregiudizi e le tue convinzioni, aprendo la tua mente a concetti e verità che ti potranno sembrare essere assurdi e irreali.-
- O. K. - risposi io tra il rassegnato e il curioso
La betulla fece frusciare le foglie con un movimento veloce dei suoi rami sottili e, subito dopo, cominciò a parlare.
- Un tempo questo prato era come tutti gli altri prati del mondo, con i suoi ritmi e le sue armonie che seguivano il mutare delle stagioni. Né più né meno come un qualsiasi altro appezzamento di terreno che si possa trovare nella campagna italiana. Ogni tanto qualche animale passava di qua a pascolare tra l'erba e a farsi uno spuntino di foglie fresche strappandole dai nostri rami e, qualche volta, capitava che un umano si addentrasse tra noi betulle, alla ricerca di funghi o alla caccia di qualche preda selvatica. Nell'anno millenovecento cinquantaquattro di uomini ne vennero tanti, e iniziarono con frenesia a costruire quella che sarebbe stata l'autostrada e il suo relativo svincolo nel cui centro ci troviamo ora. In confronto alla loro invadenza, te lo garantisco, il dente di leone e la sua amichetta verde sono il massimo della discrezione, inoltre, e molti di noi ne subirono le conseguenze, nelle loro febbrili attività non prestarono la minima attenzione a noi, e ci danneggiarono, ci estirparono e, soprattutto, ci insozzarono con quintali di rifiuti e sporcizie varie. Un anno dopo i lavori vennero ultimati e, così com'erano venuti, quegli uomini se n'andarono all'improvviso. Ora, Il prato era completamente circondato dalla curva della strada e, a causa di ciò, si ritrovò isolato e tagliato fuori dal resto del mondo, quasi si trattasse di una specie d'isola o d'oasi di nessun'attrattiva, a cui nessuno sarebbe mai più venuto in mente di voler accedere. All'inizio tutto il prato fu entusiasta di essersi liberato dal fastidioso contatto con l'uomo, e di tutte le pestilenziali conseguenze che la sua presenza causava. Passammo così un paio di decenni in un completo isolamento e, pian piano, ci accorgemmo che "qualcosa" d'importante c'era venuto a mancare, e che quel "qualcosa" era proprio il contatto con l'uomo. Sentivamo la sua mancanza, sembrava assurdo ma era proprio così. Ci mancavano il suo chiasso e la sua frenesia, la sua mano che ci strappava e i suoi passi che ci calpestavano. Ci mancavano persino i suoi rifiuti e la sua immondizia, ma, soprattutto, ci mancavano la sua voce e la poesia che, anche se raramente, nel silenzio del bosco gli usciva spontanea dalle labbra e sgorgava dal suo cuore per giungere al nostro come un canto che ci pettinava le fronde e ci allietava l'anima. Poteva forse non piacerci, ma quell'essere a due gambe faceva parte del "tutto" del mondo. Non c'è "mondo" che possa esistere se il suo "tutto" non è completo. Anche la parte più infima e insignificante della vita ha il suo valore e la sua poesia. Se essa viene a mancare e come se nel cuore del mondo si formi un buco, da cui, piano piano, scivola via qualcosa d'importante, qualcosa di vitale. Se poi chi viene a mancare è qualcuno che, pur nella sua ferocia e nella sua meschinità, nella sua noncuranza e nel suo egoismo, è allo stesso tempo il portatore di tanta bellezza e poesia, può accadere che il cuore del mondo batta a fatica, e vivere in esso è come vivere nel freddo e nella solitudine. Così, per tentare di non scordarci dell'uomo, imparammo a parlare in modo da poter ripetere le sue canzoni e le sue poesie, per fingere così la sua presenza e il suo contatto. Sono ormai quasi cinquant'anni che nessun umano viene qua, e in questi anni poco o nulla abbiamo saputo e avuto di voi. Per questo ogni cosa vostra che è arrivata sino a noi è diventata quasi sacra. Persino le bottiglie vuote che gettate dai finestrini, le lattine, le cartacce e anche i sacchetti di plastica, per noi sono diventate cose preziose e importanti. Sono l'unico contatto che c'è rimasto con un pezzo di cuore del mondo, con un pezzo del nostro cuore.-
Io sono un sentimentale e non faccio certo fatica a restare suggestionato dalle storie commoventi e, quindi, non faccio testo, ma vi garantisco che a sentir parlare la betulla se ne percepivano con chiarezza le emozioni, i buoni sentimenti e l'infinita nostalgia.
Fu così che diventammo amici e, ancor oggi, quando posso, fermo la mia macchina all'imbocco dell'uscita di Celate e vado a trovarlo per scambiare quattro chiacchiere con lui.
Quel giorno passai un po' di tempo nel prato, al limitare del boschetto delle betulle, a chiacchierare con le erbe selvatiche.
Feci così la conoscenza con il timido Cardo dal cuore delicato, col ranuncolo espansivo che mi abbracciava in continuazione e con la cicorietta prolissa che parlava e parlava e non la smetteva mai.
Parlai a lungo con un cespuglio di more che, appena seppe della mia penosa mania di voler provare a comporre poesie, mi offrì qualcuna delle sue gustose bacche chiedendomi in cambio solo di sentirmene recitare una.
Così scelsi quella che mi sembrò più adatta tra tutte quelle che avevo composto anni addietro e che, lo devo proprio dire, tra gli abitanti del prato riscosse un grande successo.
La poesia s'intitolava "Amore impossibile" e sembrava essere stata scritta apposta per cantare il sentimento che legava quel posto all'umanità.
Amore impossibile
Lui disse:
"Che ho da darti anima bella?
Né dolcezza, né intimità, né tempo futuro.
Solo calore e passione ardente.
Che altro ho da darti anima bella?"
"Un abbraccio." Rispose lei.
Così il fuoco avvolse la betulla
che, felice, morì tra le sue braccia.
Quel giorno raccontai ai miei amici verdi le vicissitudini e i mutamenti che erano avvenuti nel mondo in quegli ultimi cinquant'anni di cui loro sapevano poco o nulla.
Fui costretto, ma con cortesia, a cedere alla richiesta dell'erba di potermi toccare e, quindi, dovetti starmene per un bel po' di tempo sdraiato sul prato e farmi tastare, palpare, esaminare dalla testa ai piedi.
Era imbarazzante ma so di averle fatte felici e, tutto sommato, quel massaggio completo fu abbastanza piacevole e mi rilassò oltremisura.
Restai lì, con gli occhi al cielo a guardare le nuvole e, mentre le erbette mi sondavano, i pensieri sembravano delinearsi più chiari e una calma non abituale mi consentiva di analizzare il mio essere in un modo così profondo come mai ero riuscito a fare prima.
Ebbi il tempo e la condizione mentale per rendermi conto che io, così come tutti gli uomini del modo, si stia diventando simili ha quei luoghi perduti nelle autostrade.
Viviamo la vita restandone hai limiti, e guardiamo il mondo da lontano come se non ne facessimo parte.
La vita ci scorre intorno e non riusciamo ad afferrarla, forse per disillusione, forse per freddezza, ma soprattutto per paura, per la paura di affrontare il mondo nella sua interezza, accettandone i rischi e le bruttezze, le difficoltà e la durezza.
Purtroppo però, nella vita non si può scegliere.
Per viverla in pieno bisogna prendersi tutto il pacchetto, accettandone il contenuto nella sua totalità.
Invece, l'uomo tende ad aver paura del dolore e del brutto in cui ci si può imbattere tuffandosi nella vita e, per difendersi, si isola in un angolo di mondo che conosce e che non può fargli del male ma, così facendo, perde la possibilità di trovare il magnifico premio che potrebbe stare nascosto appena dietro il muro del proprio giardino.
Così, come il prato vede quelle macchine scorrere sull'autostrada, noi uomini, dal nostro nascondiglio, vediamo passare le occasioni della vita, e ce le lasciamo sfuggire solo per non dover passare per il casello e pagare il pedaggio.
Quanto mondo ci sfugge, quanta bellezza, quanti sentimenti, quanta vita.
Che enorme spreco!
Quanto potremmo dare e prendere dal mondo accettando di metterci in gioco, ponendo il nostro talento e le nostre forze a disposizione dell'umanità.
Certo, si rischierebbe di soffrire, si metterebbero in gioco i nostri sentimenti senza avere alcuna certezza ma, quanto si potrebbe ottenere, quanta emozione e pienezza si rischierebbero d'incontrare e di fare nostri.
Il prato si immergeva pian piano nella penombra, mentre lentamente calava la sera.
Il buio che scendeva nascose pian piano i contorni dell'orizzonte oltre l'autostrada e, in fine, trasformò il prato in una specie di isola che galleggiava in un oceano d'oscurità.
Le macchine non smettevano di sfrecciare in lontananza, e i loro fari parevano piccole comete in movimento che tracciavano strisce di luce tutto intorno al limitare del prato.
Il cielo sembrava contrarsi verso il basso, e la sua volta pareva scendere a sfiorare le foglie basse delle betulle.
- Dio che stellata. - mormorai mentre col naso all'insù contemplavo il cielo tempestato di stelle - Pare di poter acchiappare le stelle solo allungando un poco la mano. -
- Chissà. - disse la betulla - Chi può dirlo, forse è proprio così, bisognerebbe provare per saperlo.-
- Che vuoi dire?- gli domandai perplesso
- Che se non tenti non saprai mai se è possibile agguantare le stelle.- rispose l'albero con logica disarmante
- Ma su! Non dire assurdità.- ribattei io - Non è possibile toccare le stelle. È ridicolo!-
- Già, è impossibile, - confermò la betulla - ma vallo a spiegare ad un albero parlante?-
In fondo che mi costava provare?
Avevo visto e accettato così tante assurdità in quella giornata incredibile che, una più una meno, non avrebbe fatto una gran differenza.
Allungai quindi una mano in direzione di quella stella che mi sembrava più vicina, ma, proprio mentre mi accingevo a compiere quel gesto, l'albero mi fermò:
- Non è così che si fa. Per acchiappare veramente le stelle non devi limitare i tuoi sogni. Lasciati andare e non tentar di prendere quella che ti pare più facile. Se devi sognare devi farlo sino in fondo, devi farlo in grande. Devi sforzarti di afferrare esattamente quella che vuoi.-
Allora ritrassi la mano e osservai di nuovo il cielo e le stelle che vi brillavano.
Ne vidi una che pareva brillare di una luce multicolore e decisi che fosse la più bella.
Questa volta allungai la mano nella sua direzione e, come se fosse la cosa più facile del mondo, me la ritrovai nel palmo della mano.
- Oh cacchio! - esclamai allibito, mentre osservavo quella piccola scheggia di luce che brillava tra le mie dita - Questa sì che è incredibile.-
- Voi umani siete proprio sciocchi.- disse l'albero con compassionevole tenerezza - Vi siete complicati la vita cercando risposte difficili a domande facili, e per farlo avete ampliato la vostra ricerca sino ai limiti del mondo. Avete fatto una gran confusione, utilizzando lo stesso metro per valutare sia le cose materiali sia quelle del cuore e dell'anima, senza tener conto che, invece, il pensiero, il sogno, i sentimenti, le emozioni, nulla hanno a che fare con il mondo fisico e non ne seguono le leggi. Loro se ne infischiano della fisica e dell'astronomia, non conoscono i parsec e ignorano le teorie delle orbite galattiche, ma sono anch'esse importanti e reali come e più della matematica, della chimica e della termodinamica. Per le cose interiori occorre adoperare unità di misura e concetti appositi ed individuali, che vanno sperimentati di volta in volta e non catalogati o codificati in tabelle e formule. Ciò che pare impossibile alla luce della ragione diviene estremamente logico e facile se viene valutato con il metro del sentimento. Voi stessi ammettete che l'uomo non sia solo materia e, allora, come ritenete possibile non tenere conto del fatto che tutto il vostro mondo non possa essere misurato solo con concetti fisici, ma che si debba per forza tenere conto della vostra umanità?-
- Non capisco.- Ammisi io, chiedendogli poi - Spiegati meglio.-
L'albero sospirò o, almeno, mi diede quell'impressione quando, prima di rispondermi, fece frullare le foglie che mossero l'aria tutt'intorno.
- Ve bene.- rispose l'albero - Visto che voi umani siete così attaccati alle leggi, alle formule e ai teoremi, cercherò di spiegarmi meglio, facendoti qualche esempio e mettendo la sostanza del concetto sotto la forma di una specie di trattato scientifico che andrà a contestare le principali basi del vostro schema di ragionamento mentale. Per convenzione lo chiameremo "TRATTATO SULL'INADEGUATEZZA DELLE UNITÀ DI MISURA DELLE GRANDEZZE FISICHE" . In questo breve trattato cercherò di dimostrarti che alcuni concetti basilari della vostra cosiddetta "scienza", come per esempio le unità di misura, siano completamente sbagliati o, perlomeno, inadeguati a interpretare tutte le componenti del vostro mondo. Prendiamo in analisi, ad esempio, la suddivisione del tempo nelle sue frazioni. Converrai con me che, universalmente, essa viene misurata in secondi. Questa suddivisione vi permette di misurare il trascorrere del tempo, facendone il confronto con questa unità di misura e con i suoi multipli e sottomultipli, quindi, voi umani, da sempre avete misurato il tempo trascorso dall'inizio di un evento (T1), alla fine dello stesso (T2) dividendolo per l'unità di tempo. Tra poco ti dimostrerò che questa misurazione è imprecisa perché non tiene conto del fattore umano, che chiameremo (u) ed è ciò che, grazie a Dio, differenzia l'uomo dalla materia inanimata. Mi spiego meglio: immagina un'automobile che sta viaggiando da casa tua a Milano. Poniamo che sia partita alle ore 8. 00 e che arrivi alle ore 10. 00 precise. Sarai d'accordo con me che il tempo che ha impiegato a percorre la distanza sia facilmente quantificabile in due ore. Ora prendi la stessa automobile partente alle ore 8. 00 da casa tua con destinazione Milano, sulla quale questa volta stia viaggiando la tua donna di cui sei follemente innamorato, che non vedi da più di un mese, e che tu la stia aspettando a fine viaggio. Forse la sua automobile impiegherà le stesse due ore a compiere il tragitto, e giungerà a Milano alle 10. 00 precise, ma ti sfido a negare il fatto che, per te, quelle due ore siano trascorse molto più lentamente. Questo è successo perché l'unità di misura che hai utilizzato è deficitaria del fattore correttivo che abbiamo identificato come fattore(u), che è dipendente dai tuoi sentimenti e dalle tue emozioni, che sono personali e soggettive, e che fanno si che tale fattore non possa essere standardizzato. Ora immaginati una stanza mantenuta ad una temperatura costante di 4 gradi centigradi e poi vi si introduca un uomo. Quell'individuo, sotto l'azione della bassa temperatura, sentirà freddo e inizierà a battere i denti. A questo punto introduciamo un altro uomo e si mantenga la stanza a quattro gradi. Dopo un poco di comprensibile imbarazzo, le due persone cominceranno a parlarsi e a fare conoscenza e, nonostante lo stupido termometro continui a dire che la temperatura è sempre a quattro gradi centigradi, la percezione del freddo delle due persone sarà sicuramente diversa, perché è mutata in funzione del cambiamento della variabile (u). Analizzando l'unità di misura dello spazio lineare è facile sottolineare la palese differenza tra lo starsene a cento chilometri dal fronte di guerra, dall'essere a cento chilometri dalla propria moglie. La percezione della distanza che si avrà sarà diametralmente opposta, a patto che non si abbia una moglie particolarmente brutta ed odiosa, perché è influenzata dal fattore (u) che ridurrà lo spazio soggettivo nel primo caso e lo dilaterà nel secondo. In buona sostanza, i primi cento chilometri saranno sicuramente più corti dei secondi. Mi preme di ricordarti, prima di continuare, che le unità di misura sono state create dall'uomo, per l'uomo, e da lui stesso adoperate, perciò, a lui stesso correlate. È inutile quindi che si dica che una camera, illuminata da una lampada al neon da cento Watt, abbia la stessa luce di una stanza identica illuminata da un candeliere disposto su di una tavola imbandita a cui stiate seduti con la vostra ultima, splendida e seducente conquista. Forse quel candeliere produrrà una luce pari a quella del neon ma su di voi avrà sicuramente un altro effetto. Prova a sollevare un grave di piombo di cinquanta chili e a portarlo ad un metro d'altezza, poi prova a sollevare la tua ragazza che pesa esattamente cinquanta chili e dimmi che non c'è differenza di peso. Se eventualmente non sei riuscito a sollevare ne uno ne l'altra, prova a doverlo fare mentre stai scappando oltre il muretto di cinta della vostra abitazione che sta andando in fiamme. In entrambi i casi, il lavoro che dovete compiere è quantificabile utilizzando la formula m2 X Kg X S-2 ma sono pronto a scommettere che in quest'ultimo caso ti riuscirà e ti risulterà meno faticoso.-
A quel punto la betulla, per un attimo interruppe il suo monologo, come si fosse fermato per pensare o per rammentare qualcosa, poi disse:
- Mi sembra di ricordare che, qualche anno prima dell'inizio della costruzione dell'autostrada, ci fosse un umano, uno scienziato che mi pare di rammentare si chiamasse Einstein, che ebbe una parziale intuizione sulla relatività delle grandezze fisiche ma, anche lui, era troppo permeato dal suo credo scientifico, e riuscì a vedere solo una piccola parte della verità. Così, non si domandò quale fosse il reale motivo per cui il trascorrere del tempo (che ha un senso d'esistenza solo in funzione dell'uomo perché è l'unico che ha bisogno di misurarlo) cambi alla velocità della luce. Probabilmente la vera spiegazione sta nel fatto che, raggiungendo tale velocità, si può divenire così simili a Dio da potersene infischiare del tempo che passa.-
Non sono un fisico ma non sono proprio sicuro che la formula per calcolare il lavoro effettuato, nell'esempio che la betulla mi citò, fosse corretta ma, d'altro canto, non potevo certo pretendere che, oltre che saggio, il mio amico albero potesse essere un ingegnere.
Comunque, i suoi concetti per quanto originali, avevano un evidente fondamento di verità e meritavano di essere tenuti in considerazione.
Ebbi molto da pensare, quando a tarda notte me ne andai da quei luoghi.
Pensieri che mi facevano riconsiderare il mio ruolo del mondo, e di come avrei potuto affrontare la vita con più coraggio di quanto avessi fatto sin ora.
Pensieri che mi aiutarono a spiegarmi cos'era importante e cosa no e come poterli valutare, con che coscienza e che atteggiamento.
Pensieri su cosa volevo fare della mia vita e cosa ne volevo ottenere.
Non dico che guarii completamente dalla malattia di essere un umano ma, di sicuro, ne uscii come un umano migliore.
Fatemi un favore: se vi capita di passare per Celate, lasciate la macchina al parcheggio del casello e provate a fare anche voi quattro passi nell'isola dell'autostrada.
Portate loro i miei saluti e ditegli che appena potrò mi farò vivo, poi, se non siete di fretta, sedetevi sotto le betulle e parlate col saggio albero e con gli altri abitanti del prato, sono convinto che possa farvi molto bene.
Vi avviso che, a volte, può capitare non abbiano voglia di farsi sentire ma, se vi fermerete a guardare il cielo aspettando che tramonti e se con spirito aperto e sereno contemplerete le stelle, state certi che almeno una riuscirete ad afferrarla.
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