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Space Oddity
12 maggio, 1969
Vicinanze del pianeta Giove.
"Ground control to Major Tom!"
Lugubri suoni venivano dal trasmettitore, rovinando il silenzio.
"Ground control to Major Tom!"
La voce arrivava legggermente disturbata da un brusio di sottofondo, ma le parole erano ben chiare. Nonostante ciò non ebbero risposta.
Torre di controllo, Houstin, Texas.
"Capitano McKenzie, la spia del maggiore Tom è accesa e funzionante. È stata rilevata presenza di vita nell'abitacolo, ma sono ormai ore che dallo shuttle non arrivano risposte."
"E allora mettetevi in contatto con quell'imbecille. I giornali vogliono sapere quale cazzo di squadra tifi a momenti e poi dovrà redarre un bel rapporto di tutto quel che è successo lassù senza il nostro controllo."
"Ma capitano, i nostri messaggi non ricevono risposte, probabilmente il maggiore Tom ha deciso di isolarsi."
2 marzo, 1969
Pasadina, Texas
Il maggiore Tom dell'aeronautica spaziale non aveva molto da differenziarsi rispetto ai suoi colleghi astronauti, una vita di studio per entrare ad Harvard, poi la NASA e la scalata in quegli anni per lui fu facile. Era un epoca di grandi conquiste astronomicamente parlando e lui era giovane, poco più che trentenne, il programma spaziale entusiasmava sia l'opinione pubblica che gli addetti ai lavori, si chiamava Apollo e prevedeva lo sbarco sulla luna entro un decennio dal '61.
Lui era uno dei tanti addetti alla preparazione di questo avvenimento storico, prove di collaudo e test balistici erano il suo pane quotidiano giù alla base, qualche test in sala decompressurizzata ogni tanto. Non avrebbe mai potuto pensare di poter arrivare così in là.
Stava rientrando nella propria abitazione, una villetta borghese sviluppata su di un unico piano, il che la faceva apparire molto estesa. Il giardino era ben curato dalla moglie e appena vi ci mise piede il cane gli saltò addosso, un grande labrador di razza, teneva loro compagnia da anni. Entrato in casa si tolse le scarpe e subito chiamò la moglie.
"Clara! Dove sei?" disse alzando la voce per farla rieccheggiare in tutta la casa.
"Clara, sono tornato!" ribadì guasi gridando, mentre si recava al frigorifero per bere qualcosa. Stava ancora gridando il nome di sua moglie, quando questa sbucò fuori da una rientranza tra i mobili della cucina.
"Bu!" Tom prese un colpo e deglutì a fatica quel che stava bevendo.
"Eccolo il mio uomo coraggioso!"
"Mannaggia Clara, quando la pianterai?"
"Mai!"
"Come Stai?" disse rivolgendosi verso di lei, trovandola assopita nei propri occhi. Anche lui si perse nei occhi dell'amata, erano piccoli, teneri occhi castani. Sprigionavano tutto l'amore del mondo.
Si baciarono.
"Bene, oggi ho fatto il prato!"
"Ho visto Clara, sei stata brava, ma la prossima volta lascialo fare a me..."
"Non ti preoccuare, amore, sto bene..." lui le sorrise, un sorriso grande, sincero, le strinse la testa fra le mani, le carezzo lisci capelli biondi, la baciò per poi dirigersi più in basso, accogliendo ora tra le mani la sua pancia, mai così pronunciata, baciò anch'essa, e prese ad accarezzarla. A lei piaceva da morire.
"Ha ascoltato un po' di musica?"
"Beatles e Bach..." disse sorridendogli ancora, era un periodo di grandi sorrisi e grandi felicità per la giovane coppia.
"Ti ho detto niente Regno Unito Clara!" disse, andando verso la propria camera per riporre gli indumenti che via via si toglieva "Quando sarà più grande, quando avrà 18 anni potrà ascoltare la musica che vuole, adesso è un po' di sano patriottismo ciò che serve!" disse col solito tono in cui non si riusciva a scorgere se stesse scherzando o meno.
"Ho sentito quel nuovo chitarrista alla radio, americano" scandì bene quella parola "dicono rivoluzionerà la musica... E lo sai che in questa casa le rivoluzioni sono bene accette... Si chiamava... Jimi, Jimi qualcosa..."
"Jimi Hendrix..."
"Si, proprio lui!" Tornò da lei, sul divano, le si sedette affianco.
"Oggi alla base hanno illustrato il nuovo programma: Apollo 10 e mezzo..."
"Dieci e mezzo?!" Lo interruppe stranita la moglie.
Qualche ora prima.
Houston, International Space Station, Texas.
"Quello che vi mostrerò oggi è la nuova fase top secret del programma spaziale americano. Voi presenti siete stati scelti in base ad accurati test tenuti da un'ala dell'unità di ricerca. La missione è nata dopo ripetuti incontri tra i nostri dirigenti ed esponenti dei servizi segrti. Ciò che andrete ad ascoltare è protetetto da segreto di stato, parlarne con chiunque non rientri nel progetto è considerato reato federale. Non potrò iniziare ad illustravi nulla se non avete precedentemente preso visione dei documenti d'approvazione che avete sul vostro banco, in fondo come potete vedere manca solo la vosra firma. Chi non è intenzionato a prendere parte al progetto è libero di lasciare la stanza in questo momento."
Nessuno si alzò.
Il capitano McKenzie riprese il discorso da dove l'aveva lasciato.
12 maggio 1969
Houston, International Space Station, Texas.
Alla torre di controllo squillò un telefono.
"Sono stata avvisata dal sistema di informazione relativi, voglio sapere dov'è mio marito!"
"Signora Bower aspetti, si calmi..." il telefonista della sala di controllo venne interrotto. Rispondeva a
chiamate continuamente, non faceva in tempo a finirne una che ne arrivava un'altra.
"Si calmi un cazzo, non ho notizie di mio marito da una settimana, doveva essere a casa ieri!"
"Signora Bower non è con me che deve parlare..." fu interroto nuovamente, stavolta da un addetto all'interno della stazione. "Me la passi."
"È sicuro Tenente? Cosa ha intenzione di dirle?" disse curandosi di tappare la cornetta del telefono con la mano. All'interno della sala vi era un gran fracasso, la gente gridava, i computer emettevano una vastissima gamma di suoni diversi, e decine di spie lampeggiavano per tutta la sala. Anche Clara stava ancora urlando quando il Tenente Gherrard rispose.
"Clara sono Robert."
"Rober dove cazzo è Tom?"
"Vedi Clara, ci sono stati dei problemi lassù."
"No, non dirmi questo..."
"Tuo marito e il resto della truppa hanno dovuto prolungare lo stazionamento attorno all'orbita luare per continuare i lavori. Ci sono stati dei problemi di stabilità che non hanno consentito il pieno funzionamento dello shuttle, per cui hanno dovuto prendersela con comodo. Domani mattina dovrebbero ripartire, non ti preoccupare Clara."
"Mio marito sta bene o no?" sbottò Clara.
Il tenente s'aspettava questa domanda, eppure lo colse impreparato. Tutto quel frastuono, non riusciva a concentrarsi.
"Robert come sta Tom?"
"Sta bene, Clara..."
"Robert cosa dovrei fare ora? Aspettare a casa per due giorni che torni, non è mai successa una cosa del genere! Li senti i giornali Robert?! Parlando di gigante camuffamento della NASA dei piani spaziali. Perchè Tom è in prima pagina? Perchè Robert?!"
"Bè Clara, sul giornale cosa dicono?"
"Sul giornale dicono che fa parte dei servizi segreti e che la missione... Cazzo, Robert lo sai anche tu cosa dicono!"
"Clara lascia stare i giornali, tuo marito sta bene, tornerà a casa.."
"Dovrei crederi Robert?"
"Credimi, tuo marito tornerà da te a Pasadina... da voi... Ora devo andare Clara." Il tenente riattaccò il telefono. Subito venne braccato da un'assistente.
"Abbiamo aperto la comunicazione signore, vuole andar lei?" Il Tenente Gherrard fissò un secondo il suo interlocutore, non l'aveva mai visto probabilmente, poi s'incammino veloce verso il microfono, lo afferrò con forza.
"Torre di controllo a maggiore Tom!"
Il silenzio calò nella sala, il tutto era reso più surreale da quelle lucine che coloravano di diversi colori l'intera stanza e i volti di coloro che ora si erano ammutoliti. Guardavano lo schermo collegato alla navetta spaziale che rifletteva loro addosso il segnale di statico proveniente dallo spazio. Uno spazio mai così lontano.
Vicinanze del pianeta Giove.
"Torre di controllo a Maggiore Tom!"
All'interno dell'orbiter il silenzio era già calato da un bel po', anche la luce aveva abbandonato l'equipaggio, lasciandolo nel buio totale. Quelle parole, nonostante rappresentassero l'unico elemento esterno alle nave, si erano perfettamente fuse a quello scenario, rendendolo ancora più inquietante del possibile.
"Torre di controllo a Maggiore Tom!"
Il maggiore Tom riversava in un angolo, appoggiato ad una delle multipli pareti della navetta, si era appena ripreso dallo stordimento. Iniziava a cercare di mettere i ricordi uno dietro l'altro, la confusione era molta, non gli fu facile poi riuscire a razionalizzare ciò che aveva appena visto. L'ossigeno all'interno della sua tuta iniziava a finire. E poi quella voce, echeggiava constantemente ogni manciata di secondi, ma non riusciva a distinguere nient'altro.
"Torre di controllo a Maggiore Tom, attendiamo una rispposta! Maggiore Tom! La spia della sua capsula è l'unica rimasta accesa, maggiore Tom!"
La voce iniziò a risultargli familiare e in qualche secondo la riconobbe in quella del Tenente Gherrard. Cercò di alzarsi, ma dovette rassegnarsi a gattonare per raggiungere la propria postazione. Nel buio più totale gli era difficile muoversi, eppure conosceva quell'astronave a memoria. Fu probabilmente per questo che si accorse appena ne entrò in contatto, di star gattonando sullo scafandro contenente un suo collega dell'equipaggio. Lo scansò, intravedendo nell'oscurità il nome sulla tuta: maggiore Smithson.
Probabilmente all'interno del propio casco l'espressione di Tom era inorridita, probabilmente piangeva, ma questo non è dato saperlo. Raggiunse la propria capsula collegando il microfono interno alla tuta con il ricetrasmettitore della navetta.
"Maggiore Tom a torre di controllo..." si lasciò andare, estenuato, non aveva più forze.
All'interno della sala di controllo, mezzo sistema solare più in la, esplosero decine di urla di goia, fischi ed applausi, che subito furono placati dal Capitano McKenzie.
"Maggiore Tom, perchè le spie del maggiore Eastwood e del maggiore Smithson sono spente, non rceviamo segnale, ripeto dove sono..." Tom riusciva a malapena distiguere le parole.
"Maggiore Tom a torre di controllo. Il maggiore Eastwood è scomparso, il maggiore Smithson è a terra, penso sia morto." Morto? Scomparso? No, non era possibile, pensavano alla base. Non esistono cose del genere.
"Torre di controllo, cosa significa scomparso, non riceviamo segnale visivo. Deve fare rapporto."
Il maggiore Tom, non sapeva da dove iniziare, avrebbe raccontato qualcosa che avrebbe cambiato la comunità aerospaziale, ma non se ne curava molto. Così la rigettò fuori, così, come veniva. All'interno della torre di controllo, sul computer che stava usando il Tenente Gherrard si accese l'ennesima spia e un conto alla rovescia iniziò all'interno dell'astronave.
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Dieci, nove...
Iniziò a stento, stremato "Stavamo iniziando a rallentare i motori per prepararci ad entrare nell'orbita lunare quando la navicella iniziò a tremare..."
"Maggiore Tom, da dove proviene il conto alla rovescia? Che cosa ha azionato?" il Tenente Gherrard era furioso, ma al tempo stesso preoccupato.
Otto, sette... Il conto alla rovescia continuava, ma Tom sembrava quasi non sentirlo...
"Il maggiore Smithson iniziò ad eseguire operazioni di controllo per stabilizzare la navetta, ma all'improvviso fummo scaraventati via, sembrava quasi un urto per la potenza, ma il radar non rivelò nulla..."
"Tom! Controlli subito che i comandi siano operativi! Interrompa qualsiasi procedimento, interrompa il conto alla rovescia!" sembrava che nessuno nella stanza avevesse idea di cosa rappresentasse quel conteggio, forse era stato troppo improvviso, troppo corto. Ma sicuramente non rincuorava nessuno.
Sei, cinque...
Il maggiore Tom sembrò quasi non accorgersi dell'eventuale conteggio e continuò impavido "Io credo che entrammo in un tunnel spazio-temporale, un ponte di Einstein, non lo so, durò una manciata di secondi..."
"Un Whormole?!" lo interruppe incredulo il Tenente. Nella sala gli addetti ai lavori erano sbalorditi, mai si era sentita una cosa del genere.
Quattro...
"... raggiungemmo una velocità enorme," riprese Tom "nel giro di un secondo tutte le spie della nave presero a lampeggiare... vidi il maggiore Estwood avvicinarsi al finestrino per guardare e vidi un'infinità di luci che apparivano e scomparivano, vidi anche un'altra astronave molto più grande della nostra che ci sovrastava, probabilmente aprirono il fuoco su di noi e da li in poi è mancata la luce all'interno dell'abitacolo..."
Dal fondo della sala nella torre di controllo, giunse correndo un uomo, con grossi occhiali e grossi aloni di sudore sulla camicia bianca. Aveva con se un foglio da consegnare al Tenente.
Tre...
I due colloquiarono per un'istante e il Tenente dovette rassegnarsi all'idea che inevitabilmente aveva preso piede in ognuno dei presenti "Maggiore Tom, attivi la pressurizazione interna della tuta! La navicella ha iniziato la procedura d'atterraggio, si aprirà il portellone! Maggiore Tom!"
Due, uno...
Il portellone si aprì veramente, e appena lasciò libero uno spiraglio tutto ciò che era presente nella nave inziò ad essere attratto al di fuori di essa. Volarono attrezzature, oggettistica, parti interne alla nave, il maggiore Smithson e anche il portellone cedette alla forza cosmica.
Ovviamente il Maggiore Tom non fu da meno, e si ritrovò a galleggiare nello spazio selvaggio, in quello spazio che amava tanto. L'ossigeno si fece sempre più rado. Incredibilmente il contatto con la sala di controllo rimase stabile.
Nella sala scoppiò l'inferno, ma fu subito placato quando si accorsero di aver mantenuto la comunicazione.
"Torre di controllo a Maggiore Tom!"
"Puoi sentirci, Maggiore Tom? Puoi sentirci, Maggiore Tom?" Insisteva il Tenente Gherrard, senza speranze.
"Sto galleggiando, attorno alla nave... sembra latta..." Tom faticava molto a parlare " ... sono nello spazio incontrastato, solo... vedo un pianeta, molto vicino... è enorme..."
All'interno della sala calò un silenzio tombale, si, la comunicazione c'era, ma ormai non aveva più alcun senso, si limitava a descrivere gli ultimi atti di Tom. Eppure tutti erano li, ad ascoltarla. E ora guardandoli ognuno di loro esprime un tipo diverso di tristezza e malinconia sentendo quelle parole strazianti. Era tutto fallito e loro facevano parte di quel fallimento.
"Io penso... penso sia Giove... ed ora vedo l'astronave che ci attaccò nel wormhole precipitare verso Giove, è in fumo... è scomparsa..."
Il Tenente Gherrard non rispondeva più a Tom, non ce n'era bisogno. Ma il fatto di essere l'unica e ultima persona in grado di parlargli gli spezzò il cuore.
"Nessuno ha viaggiato così lontano..." Alla base non ci potevano credere.
"Sto finendo l'ossigeno, Tenente..." Ora che tutto diventava più scuro, più incomprensibile Tom si rifugiò nei
meandri della sua mente, il suo pensiero non poteva che andare ad una persona...
"Robert..."
"Si, Tom." disse il Tenente con la voce spezzata, conscio che ciò che avrebbe sentito lo riguardava personalmente, anche lui aveva la stessa donna in mente...
"Robert, di a mia moglie che la amo..."
"Lo sa!" lo interruppe il Tenente dalla terra, gridando nel microfono, come per farsi sentire senza.
"Lo sa, Tom! Fai buon viaggio..." non poteva più trattenere le lacrime negli occhi, che caddero copiose, colse l'occasione per andarsene della stanza a capo chino tra gli sguardi di coloro che restavano.
Tom pensò a Clara, pensò alla sua pancia, e pensò che non l'avrebbe mai più rivista senza, non avrebbe mai visto la sua nuova famiglia, e si convinse così che l'immagine di sua moglie e di suo figlio inevitabilmente uniti da questo legame vitale potesse essere piacevole quanto quella di un figlio visto crescere. Era così bella. Cercò la sua pace. Trovò la sua pace. D'altronde si trovava nel suo ambiente preferito.
Chiuse gli occhi, smise di respirare ed iniziò ad immaginare. Iniziò ad suonarsi la propria musica, la propria ultima marcia. La canzone dell'addio. Immaginò degli accordi, struggenti, giovanili, rubati ad una chitarra acustica, li immaginò percuoterlo dalla testa ai piedi, ci mise dentro tutta i ricordi del college, tutta la fatica per arrivare a quel momento e poi la chitarra esplose in una sinofonia mistica di mille suoni e mille strumenti, tutti giunti dai più reconditi angoli della mente per augurargli buona fortuna ed aiutarlo a raggiungere una fine più dolce, più lieta. C'era il basso, la tastiera, l'organo, i tamburelli, i tamburi e le percussioni, c'era anche un assolo di chitarra che sovrastava il resto degli strumenti. Un assolo, unico, semplice, esule da qualunque genere o manierismo, senza bandiera, senza nazione, senza ideali patriottici, ma supremo, almeno per lui. Si lasciò coccolare preziosamente, nota dopo nota, con la consapevolezza di non poter conoscere quale sarebbe stata l'ultima. Piano, piano, o forse velocemente la magica chitarra prese le sembianze di un radar e iniziò a risuonare più veloce, anche sotto l'accompagnamento si distorceva irreversibilmente.
La musica cessò, sciolgiendosi nel nulla assoluto.
Mancano i sensi.
La musica.
Clara.
L'infinito.
Le stelle.
Sono così belle, così ...
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