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In cerca di me
1
Troppe volte nel corso di ogni giorno la mia insoddisfazione mi portava a fare viaggi voluminosi con l'aiuto della mente, mosso a sognare mi fingevo di visitare mondi misteriosi, strade che facevano da percorso a troppi niente che erano di sicuro migliori di ciò che solitamente il mio tempo mi concedeva per vivere uno a uno tutti gli istanti designati dal mio destino.
Così che un giorno, non so se maledetto o benedetto, mi trovai a intraprendere un viaggio insolito, come era insolito il mio stato di veglia. Spesso i sogni hanno bisogno del sonno per rendersi tali, l'inconscio è il mondo sotterrato in noi che si apre mentre il nostro corpo si riposa a riparo dallo scenario quotidiano, stavolta invece tutto si svolse a occhi troppo aperti tanto da sembrare il sogno dei miei sogni, partorito da sveglio. Mentre percorrevo il solito sentiero di ritorno verso casa mi ritrovai in un luogo scuro come se all'improvviso tutte le luci del mondo si fossero spente in pieno giorno. Pensai a una eclissi solare ma della luna nessuna traccia, notai soltanto il suono di uno sfregolio pungente che faceva da colonna sonora alla ramificazione di quelle erbe e sterpaglie che si ammassavano in tutti i punti del cielo coprendo quel sentiero in meno che si possa mai pensare. Rimasi sbalordito dalla velocità di creazione di quel tunnel naturale ma restai impavido consapevole che oltre un sogno non poteva esser ma continuai nella mia passeggiata incurane della situazione che cominciava a sembrare pericolosa.
Camminavo con il solito passo, in quel luogo che si faceva sempre più ignoto a ogni metro, calpestando il fango e le foglie marce che spesso emanavano un odore sgradevole quasi da avvelenare anche quel poco di aria che le narici inspiravano per la mia sopravvivenza. Mi facevo strada senza alcun timore, in quel buio diurno, creato da alberi e arbusti abbracciati come se messi insieme in un grande ballo di gala. La musica, lasciata a sottofondo di quello scenario da incubo data dal sibilo del vento che cercava di asciugare la brina da ogni cosa, mi celava i rumori fastidiosi di quelle piccole creature che in file indiane spuntavano da ogni luogo proseguendo la propria vita incuranti della mia presenza, mentre il mio pensiero non riusciva a non turbarmi della loro. Solo un momento dopo cominciai a destare preoccupazione per la decisione affrettata all'azzardo di intraprendere la passeggiata in quel pezzo di mondo incerto, quando, voltatomi, non riuscii più a distinguere il posto che solo un minuto prima faceva da ingresso a quel luogo. Niente, scomparso, come quasi cancellato e sostituito da oscurità morbosa. A pochi metri da me, uno spiraglio di luce filtrava facendosi posto tra gli arbusti e non nego che riscaldava il mio cuore con la speranza di un punto di uscita da quel corridoio d'ingresso a un inferno certo. La speranza mi incitava a non cedere e il coraggio, che in quell'istante era una sensazione solo di copertura stampata per fingermi ancora vivo e dare un immagine forte di me alle circostanze, in quell'istante ricominciava a farsi sentire vero, il sangue ricominciava a riscaldare le vene e il cuore perdeva lentamente il tonfo ritmico e affannato dei battiti resi quasi a un solo suono per la frequenza altissima delle pulsazioni. Ero lì, ancora vivo. Sentivo una salvezza vicina, più vicina a ogni passo. Camminavo, correvo, facevo di tutto per assicurarmi salvezza, ma intanto quella luce non dava cenno di vicinanza, eppure di percorso ne facevo lasciandomi metri di sentiero alle spalle. Inutile dire che stanco dalla fatica nel trascinarmi in avanti, spesso pensavo a un miraggio creato dalla mia mente per sollevarmi dal timore di quell'istante interminabile. Ma la decisione di imboccare quel sentiero non era stata del mio istinto, era solo il ritorno solito verso casa ma intanto il peggio era appena cominciato e serviva solo una soluzione al problema che era solo mio. Respirai profondamente, chiusi gli occhi e il buio fatto dentro me mi sollevò dalla realtà che stavo vivendo, pensando a una soluzione, mi assalì l'immagine di come sarebbe stato restarmene tranquillo al sole, seduto su una panchina, al centro di un mondo, tra verde e azzurro, come solitamente usavo fare per staccare la spina, ma intanto, certi viaggi sono da avere almeno una volta nella vita quando si cerca di incontrare un mondo nuovo. Che tempo beato quello, mentre il peggio era fuori portata della mente e il corpo spento, ma un attimo dopo un soffio d'aria gelida mi abbracciò, svegliandomi dal sogno, quasi a comandarmi di proseguire. Ma verso dove, se tutta la strada percorsa non mi aveva condotto nemmeno a un centimetro dal punto che mi trovavo da dove l'avevo imboccata e da quell'ingresso che appena un attimo dopo non esisteva più nessuna traccia. Di sicuro stavo sognando, strana la sensazione, come sognare un sogno nel sogno e se era davvero così, era il sogno più bizzarro che il mio inconscio aveva partorito fino ad allora. Cosa buona era assecondare l'attimo, tanto nei sogni ogni cosa è permessa senza effetti collaterali alla realtà, così che al mio risveglio tutto sarebbe ripiombato nella normalità quotidiana, che pensandoci bene, tanta differenza non mostrava da quel sogno velenoso. Trovare lo spazio per una vera vita da vivere in un mondo chiuso a prigione, dove il canone quotidiano ha la vinta sulla spontaneità, dove l'eccesso di felicità è punito dai dogmi, dove un vero pensiero e un vero desiderio hanno bisogno di celarsi alle apparenza dei dotti, è di sicuro un impresa per i soli folli, per gli assetati di vita vera che saranno sempre evitati come lebbrosi in un ghetto. Così è il posto in cui si svolge la mia vita, lo chiamano mondo, mi ha reso asilo da quando il mio primo respiro ha conosciuto il sapore dell'aria, unica fonte di sopravvivenza, ed ora, in questo percorso affollato di cose apparentemente diverse ma di contenuto simile, mi rendo conto che è inutile cercare un uscita che mi porta fuori da un sogno sognato dentro il mio sogno e ritrovarmi in una realtà che da vera non ha nulla di meglio di quello.
2
Gli arbusti riscaldati dal sole cominciarono a essiccarsi rapidamente sgretolandosi in fretta. La polvere sottile che si staccava man mano dallo sbriciolarsi di quelle sterpaglie, spazzata via dal vento mi invase ricoprendomi completamente fino al viso. Mi sembrò di trovarmi in un deserto in piena tormenta, quando la sabbia ricopre tutto come zucchero a velo su un dolce da gustare in fretta prima che si sciolga. La luce ebbe la priorità su quel buio che tormentava i miei pensieri e la speranza mi fu di nuovo compagna. Non appena mi fui liberato dalla montagna di polvere che mi teneva al riparo da ogni insidia esterna, riconobbi il sentiero che illuminato aveva un aspetto diverso, quasi familiare. Mi sembrò di averlo percorso tante volte, eppure, solo un attimo prima, il buio lo dipingeva di tetro dove ogni angolo partoriva minacce che incutevano timore. Una strada scavata tra la natura dalla natura stessa, a delimitare i bordi esterni c'erano alberi e piante di vario genere, il pavimento era composto da tutti i tipi di foglie secche che si erano staccate dai rami di quella miriade di forme di piante che dimoravano quel luogo, appiccicate al suolo dal fango essiccato, un tunnel, ma stavolta senza copertura di arbusti, illuminato dai raggi di un sole alto in un cielo azzurro limpido. La meraviglia di quel quadro dipinto da un pennello intinto in colori che assicuravano la presenza certa di un Dio che l'aveva di sicuro curata e creata, mi isolava da tutte le cose malvagie che in vita avevo potuto immaginare. Stavolta camminavo con la pace nel cuore, nemmeno più il ricordo era presente di quelle tenebre che oscuravano i miei pensieri e si interponevano tra me e quella speranza di un posto migliore. Non m'interessava dove conduceva quel sentiero, di sicuro avrebbe avuto come destinazione un luogo migliore di quello da cui ero scappato, e anche se tutto era ancora un incognita, non avevo alcuna voglia di trovarmi altrove perché intanto quel paradiso dava la sensazione di tutti i posti messi assieme.
Mi portai più avanti dove lo sguardo non arrivava e solo allora mi resi conto che lo scenario si disegnava al mio passaggio con l'ingegno di come lo pensavo. Sembravo un Dio capace di dipingere con il solo pensiero. Avevo sempre desiderato di costruirmi un mondo adatto alla difficoltà di accettare quello in cui stavo vivendo e così era in quel momento, cominciai ad immaginare cose sciocche ma troppo utili al mio stato di infelicità e intorno a me cominciarono ad apparire fate, fauni, fiori di colore variopinti, insetti parlanti, gnomi e infine uomini ma non avvelenati dal progresso tutti messi lì a sostituire la fauna del tunnel coperto da arbusti. Quel luogo era un mio miraggio e non intendevo sciuparlo con la presenza di persone normali sempre a caccia di potere e stracolme di arroganza. Ovunque voltavo lo sguardo il paradiso dipinto dalla mia mente mi mostrava la sua facciata abitata da ogni forma di semplicità, e io mi ci addentravo sempre più fino a perdermi completamente senza né il timore né la voglia di dover ritornare.
Mentre mi inoltravo in quel immaginario che odorava di realtà modificata da una legge divina e cominciavo a familiarizzare con quelle creature meravigliose, confondendomi a loro quasi a dimenticare che venivo dal mondo degli umani, un viso timido di bambino che preservava il timore di un intruso, apparve, affacciandosi dal retro di un tronco robusto dell'albero che sovrastava quasi tutta la distesa di erbe e fiori che si allargava dinanzi al mio sguardo. Aveva occhi scuri e capelli ricci, viso lungo e affusolato, un collo gracile ma eretto, un fisico che faceva intendere un età tra i sette e gli otto anni, sguardo semplice ma attento. Provai ad avvicinarmi tendendogli la mano come segno di amicizia ma all'improvviso gli lessi nel viso un senso di amarezza e timore e un momento dopo lo vidi sbalzare all'indietro. Non si fidava di me, eppure nel paradiso terrestre dove abitava nessuna creatura avrebbe potuto inferire su un altra, ogni cosa profumava di pace e di amore, il tempo sembrava non esistere e il vento delicatamente soffiava carezzando ogni cosa quasi a chiedere il permesso prima di farlo. Lo guardai ancora un po' in silenzio e poi ritornai sui miei passi fingendo di non curare la sua presenza, e fu solo allora che sentii un gemito alle mie spalle, quasi come un lamento di un animale ferito. Mi voltai e lo vidi seduto su un sasso, mi fissava con lo sguardo triste, quasi piangeva. Mi avvicinai, lo sfiorai con il palmo della mano carezzandogli la cute, infilando le mie dita in quei suoi boccoli morbidi, quasi sembravano di velluto mentre lui accompagnava il mio movimento cullando la testa da sinistra verso destra smorzando in un roteare quasi a mescolare i pensieri.
Dopo un po' mi chinai dinanzi per incrociare il suo sguardo e quando misi a fuoco il viso, un senso di vuoto mi assalì, come se stessi cadendo nell'abisso dopo esserci stato spinto, come se tutto il tempo di quel momento fosse l'eternità intera stampata su un quadro messo alla vista di pochi. Quel viso mi era più che familiare, era il faccino di un bimbo che conoscevo bene più d'ogni altro al mondo e non poteva che essere così perchè mi apparteneva, perchè ero io tanto indietro nel tempo, tanto indietro in me, non potevo sbagliarmi, troppe volte avevo riflesso quel visetto negli specchi di casa, negli stagni dei luoghi ove trovavo riparo dal mondo esterno, nelle gocce di rugiada del primo mattino. Ma intanto anche quel luogo che si disegnava dinanzi ai miei passi, più lo visitavo e più mi sembrava tanto comune, di sicuro era frutto dei miei ricordi che aiutavano quel pennello a dipingere ciò che mi dava convenienza, mi sentivo più che a casa, ogni metro lasciato indietro proiettato nel paradiso tanto desiderato, fin da bambino trascorrevo parte delle mie giornate tra insetti e erba, usando quegli alberi come punti di congiunzione con il cielo fino a diventare il re di quei boschi e l'amico fedele e viceversa della fauna e della flora che formavano quel pezzo di mondo ed ora in quel mondo avevo ritrovato quel viso che mi somigliava da bambino. Non poteva essere più di un sogno, una cosa troppo impossibile mi stava capitando, messo li a guardarmi tanti anni indietro come se la barriera spazio tempo fosse stata abbattuta e una parte di quello che ero stato fosse fuggita al controllo delle leggi dell'universo.
Caspita e come era buffo, anzi come ero buffo, un ometto pieno di vita, timido ma con lo sguardo curioso, agile a nascondere la paura ma esperto a farsi notare. Mi fissava in silenzio mentre il mio sguardo, senza mai abbandonare il suo, scrutava ogni movimento e ogni suo lineamento, curioso quasi a voler ricordare ogni cosa ma intanto in quell'attimo poco serviva la memoria avendo di fronte una realtà un po' assurda, una parte di me smarrita nel tempo al cospetto di quello che ero diventato.
Il coraggio di muovere un muscolo era celato dal timore di disturbare quell'illusione ottica fino a farla svanire ma la curiosità fu più forte e azzardai a rischiare il tutto improvvisando un colloquio solito.
"Ciao bimbo", ma nessuna risposta si fece spazio nel silenzio che seguiva, solo il suono dell'eco che si formava su qualcosa che rifletteva le mie parole. Riprovai ancora con la speranza di un cenno, "Ciao, come ti chiami" . Le sue labbra sembravano incollate e le parole desiderose di uscire quasi non avevano il condotto per farlo. All'improvviso lo vidi arretrare di qualche passo e chinare il viso su se stesso come se un senso di tristezza gli avesse toccato il cuore, pensai che quella reazione fosse dovuta a qualche mio atteggiamento e senza pensarci lo afferrai avvicinandolo a me.
"Non temere" continuai, tenendolo per un braccio senza accorgermi che la stretta era talmente forte da incudergli dolore tanto da farlo grignare fino a strappargli un primo gemito nervoso che mi spaventò, sembrava il ruggito di un animale selvaggio pronto a sbranare qualsiasi cosa.
Mi lanciò un occhiata minacciosa liberandosi dalla presa e senza perdere tempo, urlò,
" Lasciami "
con voce arrabbiata continuò a gesticolare versi incomprensibili alla portata del mio dizionario.
Cosa mi stava accadendo, in che mondo ero finito, tra quali creature stranamente meravigliose il mio viaggio si era imbattuto. La mia mente era pronta anche a pensare a un improbabile sequestro da parte di creature di altri mondi, spesso si sentiva di avvenimenti simili, intanto tutto aveva il suo corso e la convinzione che ero ancora tra gli umani mi era data dall'incanto di quei meravigliosi paesaggi composti da erbe e fiori di ogni genere e il cinguettio continuo di quegli uccelli che in coro formavano un canto di sirene capace di incantare anche il più minaccioso dei pirati dei mari, Ma non mi spiegavo quelle fate e fauni, quei colori di pura saggezza e quel bimbo che somigliava tanto al bimbo che un po' di tempo indietro avevo dovuto abbandonare, disegnandolo solo nella memoria ogni volta che ne avevo voglia e bisogno.
Egli era di sicuro me, non lo aveva ancora confermato ma mi trovavo difronte a quel bambino ignaro di quello che avrebbe potuto essere dopo tanti anni. La scandalosa fregatura del corso del tempo è proprio quella di sapere da ogni domani come e cosa sei stato ieri ma non il contrario. Il passato potrà essere ricordato da ogni futuro divenuto presente ma ciò che sarà non ha accesso da nessun tempo precedente. Che strana la corsa verso la fine, incontrollabile ma tutta da vivere senza tregua e senza onnipotenza perchè ognuno è parte del sistema, tutto è fatto di tutte le cose e viceversa.
3
A un tratto, lanciando lo sguardo intorno, cominciai a notare la miriade di persone che vivevano la propria esistenza non curanti della mia presenza quasi come se fossi invisibile. Ma così era, ero davvero invisibile a quella moltitudine di gente che mi passava accanto. Provai più volte, in tutti i modi anche a urlare per farmi notare ma tutto era inutile, i miei occhi simili a navi, navigavano in quel mare tranquillo di vita che si svolgeva indisturbata. Il tutto già era accaduto, quegli attimi impressi sulla pellicola del tempo venivano riprodotti fedelmente come un film dinanzi al mio sguardo, quasi come un Dio che ha creato il mondo e poi ogni tanto, giusto per controllare il suo operato, si affaccia alla finestra per osservare che tutto sia a posto con una sola differenza, che per me quelle immagini erano solo un riflesso di ciò che era già stato, un'eco di un già accaduto, un tempo indietro del mio tempo e non di un Divino che ha disegnato per poi compiacersi.
Notai che l'unica persona con cui potevo interloquire in questo luogo oramai divenuto nuova e unica dimora per quello che mi sentivo di essere era il piccolo me, il ragazzino bizzarro e introverso che mi evitava a pelle come in qualche modo io avessi invaso la sua intimità, come se la mia presenza fosse stata più che un fastidio, ma intanto era l'unico contato, almeno fino ad allora, capace di mettermi in comunicazione con quel mondo che era stato mio nel quale ora ero solo un estraneo.
Non completo...
A volte il ricordo di se stessi si divide dalla persona stessa e crea una immagine quasi riflessa che sopisce almeno in parte il bisogno di evasione del tempo attuale trovando asilo in un punto già stato in un tempo già vissuto,,
Ma le due dimensioni si respingono come cariche di uguale polarità fino a separarsi per sempre...
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