racconti » Riflessioni » Il ritorno del Siddhartha di Hesse (2)
Il ritorno del Siddhartha di Hesse (2)
- A -
"Quando qualcuno cerca," rispose Siddharta, "allora accade facilmente che il suo occhio perda la capacità di vedere ogni altra cosa, fuori di quella che cerca, e che egli non riesca a trovar nulla, non possa assorbir nulla, in sé, perché pensa sempre unicamente a ciò che cerca, perché ha uno scopo, perché è posseduto dal suo scopo. Cercare significa: avere uno scopo. Ma trovare significa: esser libero, restare aperto, non aver scopo.
- B -
" Penetrare il mondo, spiegarlo, disprezzarlo, può essere l'opera dei grandi filosofi. Ma a me importa solo di poter amare il mondo, non disprezzarlo, non odiare il mondo e me; a me importa solo di poter considerare il mondo, e me e tutti gli esseri, con amore, ammirazione e rispetto".
Per esprimere il suo sì alla vita, la sua fede nell'Unità che soggiace alle contraddizioni del vivente, Hesse rappresenta una polarità spirituale ( da me rappresentata con le citazioni A e B): il vivere per il presente unito al senso etico della Trascendenza.
L'accettare i colpi del destino degli stoici greci e romani, Nietzsche e il suo Amor Fati, la selezione dei più forti di Darwin; il seguire il flusso e l'adattarsi all'ambiente del taoismo e del buddhismo, ci hanno tramandato questa teoria del vivere solo per il presente.
Se viviamo solo per il presente, accettando ogni attimo di realtà come se fosse eterno e unico, ci togliamo di torno il passato e il futuro, con i relativi sensi di colpa e gli attacchi di ansia.
E senz'altro si vive meglio, in apparenza, rimpiangendo un po' meno, sperando un po' meno, e amando di più la realtà necessaria e vitale.
Hermann Hesse ha meditato sugli assurdi massacri della prima guerra mondiale (che si era appena conclusa, all'inizio della composizione del Siddhartha), lui, uno dei pochi scrittori tedeschi popolari che ha levato la sua voce e i suoi scritti contro la follia omicida delle Nazioni europee.
Come gli ha insegnato il suo adorato Dostoevskij, sa bene che amare il reale e sacralizzare l'attimo presente in modo incondizionato, significa accettare e giustificare i tanti politici e industriali assassini che hanno portato milioni di uomini a massacrarsi nel fango delle trincee.
A furia di demolire ogni valore in modo acritico e di perseguire la mera sacralizzazione assoluta del reale così com'è, arriviamo ad accettare la guerra, Hitler e Auschwitz, i gulag di Stalin e Hiroshima e Nagasaki.
Questa è la grande intuizione etica di Hermann Hesse: se si abolisce ogni Trascendenza e ogni orizzonte etico, tutto è permesso e noi diventiamo complici e collaboratori del male sulla terra.
Così Siddhartha, accetta la fatica d'imparare da Vasudeva il mestiere del traghettatore e si carica anche della responsabilità di educare suo figlio, e soprattutto si ferma ad ascoltare la voce del fiume, mettendo fine al suo vagabondaggio ansioso.
Ascoltando il fiume, che è nello stesso tempo in movimento e uguale a se stesso, Siddhartha impara a "vedere", come in uno specchio fatato, la sua Voce Interiore e a sentirsi parte del tutto.
La ricerca dell'Assoluto, del decisamente Divino (come lo chiamava Kafka) non esclude il giudizio sul bene e sul male.
La mistica compartecipazione nell'eterno respiro dell'OM, il vivere nel suo attimo immortale, non può giustificare in nessun modo la mancanza di rispetto verso ogni essere.
"Il mio Siddhartha mette al primo posto non la conoscenza, bensì l'amore; rifiuta ogni dogma e ritiene centrale l'esperienza personale dell'Unità..."
Hermann Hesse con questo romanzo è riuscito in un'altra delle sue tante magie: coniugare il Tao di Lao-tzu e l'Agàpe di Gesù di Nazareth.
12
l'autore Mauro Moscone ha riportato queste note sull'opera
- Seconda parte e fine -
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati

Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0