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In ascolto
Quel giorno l’avrebbe rivista. Finalmente. La notte era appena trascorsa turbolenta, piena di sospiri angosciosi, di sogni profondi e terribili, di un irriverente sudore che imperlava il buio dei sentimenti sempre vivi e forti, ma ormai incupiti, svuotati da un senso di vertigine che si affacciava inesorabilmente ogni volta che pensava a lei.
La signorina Hunnigan gli aveva dato le indicazioni che, per fortuna, si erano rivelate corrette. Quella simpatica vecchina, ormai sola al mondo, aveva preso a cuore le sue tormentate riflessioni, i suoi silenzi, i suoi sguardi persi nel nulla. Sì, aveva deciso, lo avrebbe aiutato a rivivere delicati momenti che ormai solamente la memoria gli consentiva di riassaporare.
Ne riconobbe la calligrafia tremolante, le parole incerte che ombravano quel pezzo di carta ingiallito e sgualcito, lasciato sul comodino della sua camera. “Museo Nazionale, ore 9. 30, sala 11, sarà lì. Buona fortuna”. Era tutto ciò che la signorina Hunnigan era riuscita a scrivere. Le mani tremanti e lo sguardo ormai spento non le avrebbero consentito di potersi dilungare in ulteriori informazioni. Ma lui sapeva che, in fondo, non ne aveva bisogno. Quelle poche parole avrebbero potuto donargli un anelito di speranza, un profondo, meraviglioso tuffo al cuore, una lacrima di gioia che, forse, avrebbe finalmente sostituito quelle versate in gran quantità per l’ingiusto dolore della solitudine.
C’era il sole. Quel giorno, nonostante le nefaste previsioni metereologiche, un globo luminoso campeggiava tra le sparute nuvole che, timidamente, tentavano senza fortuna di celarne i raggi i quali, prepotentemente, proteggevano il mondo sorridendo.
Anche lui, finalmente, sorrideva. Ne aveva il diritto.
Di buon mattino, si preparò allegramente; l’abito migliore, la cravatta alla moda, le scarpe più eleganti. Non poteva sfigurare. Chissà come, ma gli sembrò che anche la radio trasmettesse le musiche più melodiose ed accattivanti, di quelle che fanno sciogliere gli innamorati.
Il Museo Nazionale era un edificio imponente nella sua ieratica solennità. Un’ampia scalinata conduceva all’elegante e massiccia porta d’ingresso, sorretta da colonne in stile dorico che richiamavano i maestosi templi greci.
Entrò, acquistò il biglietto ed iniziò a muoversi verso la sala 11. Il cuore prese a tormentarlo, i battiti accelerarono; la gola cominciava a raschiare, senza accorgersene deglutiva il nulla. Le gote emanavano un innaturale calore, arroventate per l’emozione che, in un solo attimo, lo avrebbe avvinghiato e stordito. Il sudore, lo stesso sudore notturno, compagno di sogni maledetti e di infinite notti insonni, iniziò a stillare dalle tempie che, in un ritmo in crescendo, pulsavano freneticamente. Si accorse che, nonostante i pochi passi percorsi, il biglietto d’ingresso era già ridotto ad una piccola palla informe, bagnata e molle. Lo mise in tasca, quasi ad esorcizzare la paura di un’assenza, una terribile sorpresa che lo avrebbe condotto verso l’abisso dell’infelicità. Ma no, sarebbe venuta. Sì che sarebbe venuta. Il breve manoscritto della signorina Hunnigan era chiaro e non lasciava adito a dubbi.
Il Museo era ancora semi vuoto, a parte qualche avventore occasionale che si mostrava rapito ed affascinato dai capolavori che spiccavano sulle pareti. Transitò velocemente attraverso le prime stanze, dapprima noncurante delle opere che, tuttavia, attrassero pian piano la sua attenzione. Chissà, forse la vista di quelle tele immortali avrebbe placato l’inquietudine che albergava stabilmente in lui, forse un paesaggio di Sisley, un chiaroscuro di Vermeer avrebbero contribuito a fargli riacquistare serenità e gioia, tranquillità e piacere di vivere, in un paradiso di colori, un’esaltazione di emozioni.
I dipinti riuscirono fortunatamente ad allentare la fastidiosa tensione che lo attanagliava, mitigando, quanto meno, gli impulsi nervosi che assorbivano la mente e le membra, intorpidite dalla improvvisa durezza della muscolatura. Riusciva a distrarsi, a vagare tra i colori, a sognare tra i giochi dei pennelli, ad addentrarsi in un mondo parallelo fatto di luci soffuse e sguardi sfuggenti, paesaggi incantati e suggestive campagne, fughe senza tempo ed istanti estasiati, impressionati su tele che apparivano, semplicemente, come antri magici attraverso i quali accedere a mondi felici e fiabeschi.
L’ingresso nella sala 11 fu accompagnato da un lungo sospiro. La tensione che, pian piano, si era sciolta riaffiorò inesorabilmente non appena ebbe varcato l’uscio. Si guardò attorno, la stanza era ampia ma, al contempo, consentiva un ovattato raccoglimento, indispensabile per godere la vista di quei capolavori. Le pareti rosse ospitavano diversi dipinti, di varia grandezza e dalle più disparate scenografie. Ogni tela aveva una propria luce sovrastante, che, sapientemente posizionata, modellava il soggetto, consentendo al dipinto di esprimere vitalità ed emozioni.
Impiegò poco ad individuarlo. Un vago sorriso spuntò agli angoli delle labbra. Si avvicinò a piccoli passi, quasi a non voler arrecare disturbo a quei colori sognanti e sfuggenti.
S’intitolava ‘In ascolto’.
La figura femminile, in estatica posa di totale rapimento, disegnava un volto dai lineamenti sfuggenti e lineari, semplici e morbidi. L’atmosfera sognante che sgorgava da quegli occhi era la stessa che ammirava nello sguardo intenso della sua Amanda. Uno sguardo che, ormai, riviveva solo nei sogni, spezzato dai bruschi risvegli che lo soggiogavano da molto tempo e che proseguivano con lacrime salate e sporche per un amore perduto.
L’incanto fu rotto dal rumoroso ingresso di una ragazza grassottella, seguita da un nugolo d’individui assorti ed accaldati. Si dirigevano verso di lui. Ebbe il tempo di scansarsi per lasciar posto, dinanzi al dipinto, ai nuovi avventori. La ragazza grassottella, evidentemente una guida del Museo, iniziò la cantilena: “Questo che vedete alle mie spalle è il quadro più importante della sala 11. S’intitola ‘In ascolto’ e fu dipinto nel 1874 da un maestro della Scapigliatura milanese di nome Tranquillo Cremona…”
La litania sarebbe durata a lungo, perlomeno la guida aveva tutta l’intenzione di concentrare i propri sforzi nell’esaltazione di quel quadro, esposto per la prima volta al Museo. Lui già sapeva tutto, aveva ammirato il dipinto nelle riproduzioni stampate su mille libri per rivedere la sua Amanda. Avrebbe voluto che quel quadro parlasse e la donna in estatico rapimento, ammiccando, lo chiamasse a sé, accogliendolo magicamente fra le sue braccia…
“… esso costituisce un dittico con l’ opera ‘La melodia’, che potete ammirare alla vostra sinistra; non sfugge l’atmosfera evanescente e la pennellata filamentosa….”
Quanti attimi gli tornarono alla mente in quell’istante, quanti abbracci, quanti momenti di passione, quanti sorrisi e promesse.
D’un tratto il suo sguardo perso fu risvegliato da una voce. Non poteva non riconoscere quel suono che tante volte inebriò il suo cuore, vibrando sulla pelle. Il respiro si accorciò e percepì nuovamente il fastidioso effetto della gola secca. Avvertì un lieve tremore agli arti superiori, quasi una sensazione d’inspiegabile torpore.
“Sandra, fai la brava, non correre….”. una bimba paffutella trotterellava sorridendo tra le gambe dei visitatori, felicemente distratti dall’allegria che stillava quella bimba. Non poteva certamente avere alcun interesse nei confronti delle opere d’arte, protagoniste silenziose, che pendevano delicatamente dalle pareti.
“Dai, torna qui e stai ferma, fai la brava….”. Quel tono non sarebbe mai riuscito ad essere minaccioso e severo, non era nella natura di quell’angelo.
Attese qualche attimo per guardarla. Era lei. Era proprio LEI. Alta, statuaria, di una bellezza infinita. Era venuta in quel Museo, come aveva scritto la signorina Hunnigan. Era venuta per specchiarsi negli occhi di quella fanciulla dallo sguardo rapito e sfuggente, attratta da una melodia di profumi e colori.
Il cuore gli balzò furiosamente in gola, le tempie ripresero a galoppare una corsa folle di passione e tormenti.
Amanda, presa per mano la piccola Sandra, si avvicinò al dipinto. Si fermò estasiata davanti ad esso, lo ammirò a lungo, ne divorò ogni più piccola sfumatura. Certo che quella fanciulla le somigliava proprio, come tante volte aveva affermato l’uomo col quale, per anni, aveva vissuto una passione travolgente, un amore tanto intenso quanto tormentato. La vista del quadro le risvegliò sentimenti sopiti ma mai cancellati, sempre vivi in attesa di riesplodere. Ricordi lontani si spalancarono nella sua mente, fotogrammi di vita vissuta ed assaporata, mano nella mano con quell’uomo che impersonava il suo futuro, il suo mondo. Intorno a lei era un via vai di avventori, tutti desiderosi di ammirare opere che difficilmente sarebbero tornate in quella città, ma lei non avvertiva nessun rumore, nessuna voce. Persa nei ricordi, era schermata dalla vita che scorreva inesorabilmente accanto a lei. Stava vivendo un sogno, e quel dipinto era l’accesso.
Lui non smise un solo attimo di contemplarla. I suoi occhi aggredirono quella figura fiera dai modi regali e dall’innata eleganza. Non era cambiata per nulla, nonostante gli anni fossero trascorsi lentamente. Ora, però, aveva una bimba, un frugoletto cui donare tutto il suo amore e le attenzioni necessarie. Evidentemente, qualcuno aveva colmato il vuoto che lui aveva lasciato, Amanda aveva una spalla su cui poggiarsi affrontando le difficoltà della vita. Contrariamente a lui, non era sola. La signorina Hunnigan gli aveva sempre detto che avrebbe dovuto rifarsi una vita, frequentare altre donne, riaffacciarsi sul palco della vita da attore protagonista e non da comprimario, impegnato solamente a chiudere il sipario di una rappresentazione ormai drammaticamente conclusa.
Era tempo di andare. L’aveva rivista. E riassaporata. Per l’ultima volta. Lentamente cercò di guadagnare la porta d’uscita, ma in quel momento un gruppo di turisti gli sbarrò involontariamente il passo.
“Cos’hai mamma?” udì la voce della bambina, con un’inflessione apprensiva.
Alzò gli occhi e lo sguardo incrociò il suo. Amanda l’aveva visto, l’aveva notato e riconosciuto.
Lo fissò intensamente, senza proferire parola. Sarebbe stato inutile. Forse l’emozione le contorceva la gola, inibendole ogni espressione, fosse di stupore o di sorpresa. Entrambi non riuscivano a distogliere lo sguardo l’uno dall’altra, un attimo eterno li legò ancora una volta, una tenaglia strinse quei battiti che, un tempo, scandivano all’unisono rintocchi dorati di una vita insieme.
Amanda schiuse delicatamente le labbra…quante cose avrebbe voluto dire, chissà. Un lieve rossore le scivolò sulle gote, segno di un’emozione fervida e struggente. Gli occhi presero a brillare, una luce triste e tenue, quasi sfumata. Estasiata e rapita, come la fanciulla del dipinto. Del loro dipinto.
“Mamma, perché piangi?” domandò sommessamente la piccola Sandra, ancora troppo pura per comprendere le contaminazioni del cuore. Una lacrima si fece strada lentamente sulla guancia di Amanda. Non si curò neppure di asciugarla, non avrebbe avuto senso.
Lui abbassò lo sguardo ed uscì dalla sala 11. Si diresse stordito verso la porta, la cassiera lo salutò gentilmente ma lui non se ne avvide.
Quel giorno l’avrebbe rivista. Così volle il destino. Era scritto nel cielo, inciso nella dura roccia della sua esistenza che avrebbe avuto la fortuna di rivivere, per l’ultima volta ancora, quelle emozioni lontane. Si erano riaffacciate prepotentemente in un giorno di sole. Era felice e non riuscì a trattenere le lacrime che impetuosamente erompevano dagli occhi stanchi.
Prese la macchina e corse via, non seppe mai per dove, ma ormai non aveva più alcuna importanza. In fondo, era un bellissimo giorno per morire.
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0 recensioni:
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Anonimo il 23/05/2012 15:11
si, non è male. Brava!
Anonimo il 23/05/2012 15:10
si, non è male. Brava!
Anonimo il 14/02/2011 14:14
piacevole.
Suz
- Veramente ben scritto Antonello. Si fa leggere tutto d'un fiato, eil finale è stupendo! A rileggerti Claudio
Anonimo il 29/09/2007 11:54
Scrivi bene... lettura che trasporta.
- Bel racconto scritto molto bene. Complimenti
- triste,,, molto commovente,,,
- Racconto bellissimo. Non aggiungo altro, complimenti Antonello. Ciao, Duccio.
- Eccomi a leggerti, come promesso. Sei riuscito a farmi vivere le scene, le emozioni, i silenzi tra pennellate di colori stridenti e altri più sbiaditi. Il finale è fantastico. BRAVO
MD L. il 24/02/2007 14:53
Lettura intrigante. Stile molto ben calibrato nelle descrizioni e nelle emozioni. Prosa asciutta e moderna.
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