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Tre col resto di tre
Erano tre in quella famiglia. Tre come il numero perfetto, tre come l'ora segnata dall'orologio rosso sulla cappa della cucina, tre come il numero delle bollette scadute già da un mese.
Marco, era l'orgoglio della madre, Anna. Per farlo studiare aveva, negl'anni, svolto i più umili lavori. Era passata per i bagni di un'auto grill di Salerno, aveva pulito le scale di un palazzo di dottori, i più rinomati di Napoli. Si era alzata alle cinque del mattino per sfornare pagnotte di grano dal forno sotto casa. Quella di Milano. Aveva fatto da madre ad un bambino in cui riconosceva tutto il buono concepito nella sua vita.
"Sei il mio piccolo grande uomo ", diceva, mentre gli portava la colazione , ancora con le mani sporche di farina ed i vestiti che odoravano di pane caldo.
"Forza. È ora di andare a scuola" e dandogli un bacio sulla guancia, lo tirava giù da letto.
Aveva solo sette anni, ma conosceva già il posto dei suoi vestiti, sapeva lavarsi i denti, senza lasciare il dentifricio ai bordi del lavandino, sapeva infilarsi il grembiule e prepararsi la merenda.
Il pane della mamma, con la marmellata di fragole del discount.
"Marco, non ti preoccupare, faccio io."
"Mamma, sono grande, e poi vado di fretta. Il bus mi aspetta."
"Fai il bravo a scuola, mi raccomando."
"Lo so, tutte le mattine mi ripeti la stessa cosa".
"Dì a papà che lo saluto".
Uscito lui, iniziava a rassettare quel buco di casa, in cui vivevano in tre, ma esistevano in due.
Le lavatrici da stendere al sole, i letti da rifare. Le finestra da aprire, il bagno da pulire, le piante da annaffiare, le magliette da stirare, il sugo, per il pranzo, da preparare.
Inciampava di continuo, le mani sempre in movimento: il secchio, la scopa, il mocio, il detersivo.
Correva. Come se qualcuno la aspettasse fuori da lì, come se dovesse partire per andare altrove.
Sapeva bene che non poteva farlo, non più almeno.
Il suo posto era lì tra le mura rancide di quella casa che le stava stretta.
Sin' da piccola aveva amato l'idea di girare il mondo, lo diceva sempre ai genitori: "Da grande non sarò un medico come voi. Andrò in tutti i posti che non conosco.
Nessuno le avrebbe mai potuto spezzare quel sogno, neanche Antonio.
Si erano conosciuti nei corridoi dell'aulario, compagni di corso, si erano scambiati appunti, avevano condiviso sigarette e caffè ristretti senza zucchero.
"È occupato? Le chiese lui, una mattina d'ottobre durante la lezione di Inglese".
"No."
"È iniziata da molto?"
"mezz'ora, almeno."
"Come ti sembra il professore?"
"Non saprei. Scusa, ma vorrei seguire se non ti dispiace".
La guardò durante tutto il tempo, sul quaderno degl'appunti solo il disegno di un cane.
Anna pensò fosse uno sciattone, uno di quelli che entra in un'aula universitaria perché non sa che strada prendere. Non fu un pensiero che tenne per sé, glielo disse, quello stesso giorno a lezione terminata.
"Allora, Ciao."
"Certo che eri interessatissimo"
"Prego?"
"Dico, ti è piaciuta molto la lezione?"
Antonio, sorrise.
"Si, certo, moltissimo. Sai, non amo molto scrivere."
" Forse non ami studiare, non ti ho visto molto entusiasto."
"Faccio finta di non aver sentito, parliamo di cose serie:Come ti chiami?"
"Piacere Anna"
"Antonio".
"Scusa ma devo scappare, alla prossima."
L'indomani si rividero. Stessa lezione, stessa aula, stessa ora. Le tre del pomeriggio.
Era l'ultimo corso del Venerdì . L'università non era affollata come le prime ore del mattino. Antonio si sedette alla terza sedia della seconda fila, proprio come il giorno precedente. Era arrivato lì con la speranza di rivederla. Gli erano sempre piaciute le ragazze poco cordiali e ligie al dovere.
Anna giunse qualche minuto dopo di lui, Antonio la guardò entrare dalla porta. Con gli occhi cercò disperatamente il suo sguardo, tentando di attirarlo a sé. Non ci riuscì, camminava sempre a testa bassa. Si sedette di fianco a lui, non perché le interessasse la sua compagnia. Semplicemente le conveniva essere quanto più vicina al professore. Sarebbe stata più attenta alla lezione. Appena seduta, iniziò , con una certa metodicità, e schematicità a prendere appunti, Sul suo quaderno dalla copertina geografica.
Lui la guardava, cercando di essere il più discreto possibile, sperava che prima o poi avesse staccato gli occhi dal foglio e che la sua mano avesse smesso di scrivere. Gli mancava il pretesto per iniziare a rivolgerle la parola, senza rischiare di essere liquidato come il giorno prima.
Sul braccio di Anna un frase tatuata in rosso:-Viaggiare è per sua forma esistere-. Antonio l'aveva potuta notare, perché Anna, per un attimo, si era tirata su la manica della camicia
"Che cosa vorrà dire? "
"Perché il rosso, poi?"
Ad un certo punto, Antonio fu catapultato fuori da suoi pensieri.
"Dieci minuti di pausa."-Urlò il professore-
Finalmente Anna si era fermata.
"Pensavo volessi scrivere anche della pausa"- Gli disse sorridendole-
Anna, senza scomporsi, gli rispose: Non hai proprio nulla di meglio da fare?
"In realtà Sì, qualcosa ci sarebbe, offrirti un caffè se ti fa piacere.
Anna alzò lo sguardo. "Accetto solo perché è proprio quello che mi ci vuole, in questo momento. Accennò un sorriso."
"Bene, me lo farò bastare."
Stavolta la risata di Anna fu piena. Al distributore, prese il suo caffè ristretto senza zucchero, ignara che avesse incontrato gi stessi gusti di Antonio. Quando se ne rese conto, si sentì per un istante più affine a quel ragazzo così diverso da lei.
"Ti inaridisci come è tuo solito, se ti faccio una domanda?"
No, dimmi pure, Antonio. È così che ti chiami, giusto?
Esatto.
Quella frase che hai tatuata, è tua?
Anna sorrise e si toccò il braccio, quasi a volerlo coprire.
"Non è mia, ma non so chi l'ha scritta. La lessi sul muro di una metropolitana, e siccome rispecchia il mio pensiero ho deciso di tatuarmela addosso."
" In che senso rispecchia il tuo pensiero?"
" Amo la libertà, e l'idea di poter arrivare a conoscere i luoghi, meravigliosi, di questo pianeta. Nuove culture. Credo che il mondo sia stato creato apposta per essere esplorato, per essere vissuto in ogni sua sfaccettatura."
Antonio, in genere, non amava questi discorsi. Era stato, da sempre, un ragazzo insicuro, odiava rischiare. Le persone come Anna erano, per lui, poco concrete.
Lei, però, aveva qualcosa di diverso. il fervore con cui raccontava dei suoi sogni lo entusiasmava. Incuriosiva.
"Ed il rosso? Cosa c'entra?"
"Bhè , mettiamola cosi: il rosso è il colore della passione, e la mia, è racchiusa tutta in questa frase. Ora entriamo in aula, la lezione è ricominciata da un pezzo".
Entrambi si risedettero ai loro posti, ma nessuno dei due faceva le stesse cose di prima.
Anna, davanti al foglio bianco, stava rivalutando la leggerezza di quel ragazzo, all'apparenza così superficiale, ma che aveva saputo dimostrarsi interessato alle sue idee. Antonio era ormai fulminato. Quella ragazza le piaceva sul serio.
Dal giorno seguente iniziarono a frequentarsi. Scoprendosi, giorno dopo giorno, tanto diversi, quanto complementari l'uno dell'altra. Non si lasciarono mai più. Fino a quando, lui, ad un anno dalla laurea decise di mollare tutto Non lei, ovviamente.
Quando Antonio si trasferì a Milano per essere assunto come commesso in un negozio di scarpe nel centro commerciale della città, Anna avrebbe voluto porre fine a quella storia, anche se durata due anni. I suoi sentimenti , però, furono più forti della paura che qualcosa potesse cambiare.
Per un anno vissero la loro storia d'amore da pendolari, tra il monolocale di lui, le ferrovie dello Stato e la casa a Sorrento dei genitori di Anna. Si sposarono dopo la laurea di lei, Antonio aveva fretta di porre fine a quella distanza. Crearsi una famiglia, però, non faceva parte di un progetto immediato. Anna doveva realizzare il suo sogno. Si era iscritta all'Orientale di Napoli, anche per questo. Diventare genitori, a volte, non è un progetto. È solo un realtà che ti travolge e ti impone il cambiamento.
Quando qualche mese dopo, Anna scoprì di essere incinta, qualcosa si spezzò, s' interruppe. La prima reazione dopo la notizia del ginecologo fu rabbia. Rabbia nei confronti del medico, che avrebbe dovuto rassicurarla-era andata lì per questo-, rabbia nei confronti di Antonio, che non era stato in grado di rispettare i suoi sogni. Rabbia verso se stessa, che non avrebbe dovuto né innamorarsi, né sposarsi. Quel bambino che stata per nascere, era un richiamo alla realtà; avrebbe, per sempre, vincolato la libertà a cui auspicava.
Ad Antonio non dispiaceva l'idea di essere chiamato Papà. Appena Anna gli disse che presto sarebbero diventati genitori, iniziò a progettare i cambi di pannolini, le notti insonni, le gite al parco e il gelato alla Domenica.
Lei, invece, non esisteva più. Non poteva, incatenata nei ruoli di casalinga, moglie e futura madre, stava snaturandosi. Si svegliava solo per preparare la colazione ad Antonio e poi tornava a letto. Una mattina mentre lui si trovava ancora al piano di sopra, fu scosso da un fortissimo botto. Scese giù in cucina. Le mura imbrattate di caffè, la moka aperta in due sul piano cottura, ed Anna seduta al tavolo, le mani tra i capelli. i cocci delle tazzine a terra e lei che piangeva disperata.
"Anna, tranquilla, non è successo niente. Sono cose che accadono."
"A me no, non sono mai accadute e non dovrebbero accadere. Guarda che donna sono diventata."
Effettivamente, era diversa. Quell'energia che possedeva quando Antonio l'aveva conosciuta era sparita. Non si curava più.
Sempre con la solita tuta grigia, le ciabatte ed una fascia azzurra tra i capelli.
"Come sei diventata? sei sempre la stessa, solo con qualche anno in più, ti aiuto io a pulire, ed il caffè stamattina lo andiamo a prendere al bar, come ai vecchi tempi".
Antonio, fingeva solo per sdrammatizzare, ma si era accorto dei segni di depressione manifestati dalla moglie.
"No. Non mi va di uscire, per favore vattene".
"Anna, ma perché ti comporti così, dammi la possibilità di aiutarti."
"Vuoi aiutarmi? Sparisci."
Con veemenza, lo spinse verso la porta;Antonio prese le chiavi della macchina e senza aggiungere altro, si precipitò fuori da quell'appartamento in subbuglio
In quello stesso momento, Anna, corse sul terrazzo :Seduta a terra, con le gambe incrociate si stringeva tra le mani la pancia.
"Io non sono madre, non voglio esserlo". Mentre si ripeteva queste parole, la violenza con cui picchiava l'addome aumentava di colpo in colpo. Si sdraiò, il viso rivolto verso il cielo. C'era sole, Anna cominciò ad esalare respiri lunghi e profondi. Quello, era l'unico posto dell'appartamento in cui poteva sentirsi libera, anche se incatenata. Era prigioniera di stessa. Aveva sposato Antonio credendo d'amarlo, era convinta che quell'uomo così' accorto alle sue parole, che la riempiva di attenzioni avesse potuto renderla felice. Quando capì che gli aveva permesso di rubarle il sogno di una vita, quello per cui aveva fatto sacrifici, fu tentata di lasciarlo. Ogni volta che provava a farlo le mancava il coraggio, si sentiva egoista. Da quando l'aveva sposato, Anna, imparò a conoscere il senso di colpa.
Adesso, era anche peggio. Si sentiva colpevole di non riuscire ad essere felice, di non provare gioia come una buona madre dovrebbe.
Stette immobile, una mezz'ora. Quando aprì gli occhi, Il sole non c'era e il cielo era diventato grigio, cupo. Sembrava che le pesasse sulla testa. Quello stato di calma che l'aveva pervasa per un po', sparì di colpo. L'aria cominciò a mancarle, si sentiva debole, fu per questo che non si mosse. Neppure quando, avvertì qualcosa caderle sulle palpebre. Un fulmine, un tuono, una goccia ed un'altra ancora. ;il diluvio.
I capelli gelidi che gocciolavano, la tuta inzuppata d'acqua le si era attaccata addosso , più provava ad alzarsi meno riusciva a farlo; più si ripeteva di stare calma, più un nodo le saliva alla gola. Raggiunse la porta del terrazzo strisciando come un serpente, allungò il braccio, tirò la maniglia per ben due volte, ma scivolava , chiese aiuto, ma quando si rese conto che nessuno poteva sentirla, si raggomitolò sul pavimento, e tra lacrime e singhiozzi attese, sepolta da un forte senso di impotere, che cessasse di piovere. Era ancora bagnata, quando, riuscita a rientrare in casa, cominciò a rassettarla;fingendo che nella fosse accaduto. Quando Antonio, rientrò la sera, trovò la cucina ripulita, che aveva ripreso il suo colore originario, l'arancio, ma le macchie di caffè ancora ben visibili sulle pareti.
Sul tavolo all'angolo, la cena pronta per essere riscaldata, di fianco al piatto un post- it. "Scusa per stamattina, in questo periodo sono molto nervosa"Da all'ora, Antonio ed Anna iniziarono a vivere da soli, seppur nella stessa casa. Si salutavano solo quando si incrociavano, ma nessuno dei due andava a cercare l'altro. Una sera, mentre Anna era seduta sul letto e beveva la sua solita tisana alle erbe, si rivolse ad Antonio, che le dava le spalle fingendo di dormire:
"e se poi non ti piaccio più?, se ti dovessi stancare di me e anche di lui?"
Antonio, meravigliato da quel piccolo sforzo comunicativo, fatto da Anna, cercò di assecondarlo con naturalezza.
"Anna, ma che dici? Io ti amo, amo quel bambino che porti in grembo. Amo la nostra famiglia."
"Io non lo so più se ti amo, non so se sarò in grado di crescere questo figlio nella maniera giusta, non so più nulla".
"Anna, non tormentarti, non serve. Ce la faremo, insieme, vedrai."
L'abbracciò e la strinse a sé. Anna, si sentì per un attimo, di nuovo al sicuro ed Antonio, pensò che fosse tornata da lui, la donna che aveva sposato.
Nelle settimane seguenti, vissero fingendo;l'uno per il bene dell'altra. Anna si sforzò di essere moglie premurosa e una donna impaziente di diventare madre. Trascorreva le giornate, a fare compere per il bambino:tutine, pigiamini, scarpine. Anche la cameretta volle imbiancarla lei. Antonio, finse che quel repentino cambiamento della moglie, rientrasse nella norma. Affrontare la realtà , gli avrebbe fatto troppo male, Anna, rappresentava il suo equilibrio. Non avrebbe potuto rinunciarvi. Non la lasciava quasi mai da sola, ad eccezione delle ore che era costretto a trascorrere fuori casa per lavoro, l'accompagna va a tutte le ecografie, parlavano, ma nessuno dei due chiedeva all'altro come si sentisse.
Quella mattina di Novembre, Antonio era andato a lavoro, come al solito, da qualche mese faceva anche turni di straordinari. C'era Neve, quando Anna lo andò a svegliare, gli propose di non andare, era troppo rischioso.
"Resta a casa. È pericoloso"
"Anna, tranquilla, stamm'a Milano, mica a Napol'"
"Se ti dovessero venire i dolori chiamami".
Alle tre del pomeriggio le doglie arrivarono, Anna partorì Marco, senza che Antonio potesse essere al suo fianco
Quando le appoggiarono Marco tra le braccia, fu travolta da una gioia immensa:Il calore di quel corpicino, annullò tutte le sue paure. In quell'attimo, capì che cercava proprio quello. Non avrebbe mai conosciuto il resto del mondo, le bastava quella piccola parte.
La portarono in camera, Anna nel tragitto, teneva Marco stretto a sé. Ad Antonio, non stava pensando, c'era solo lei col suo bambino.
Gli infermieri che la sistemavano erano piuttosto agitati.
"Stanno operando un uomo d'urgenza, un incidente in auto, c'è bisogno di altro personale al piano di sopra."
"è grave?"-chiese Anna-
"Si, credo di si, signora. Il mio collega dice che ha riportato diversi danni."
Mi dia il bambino, torniamo più tardi per la poppata".
"Anna fece fatica a separarsi da Marco, gli diede un bacio sulla fronte e lo affidò all'infermiera."
"e pensare che quell'uomo di cui stiamo parlando, prima che lo portassero in sala operatoria delirava, parlava di una certa Anna che deve partorire
Chissà dove si trova adesso questa povera donna"
Ad Anna si gelò il sangue nelle vene. Antonio.
"Scusi, come si chiama quest'uomo, chiese Anna mentre sperava che non si trattasse di suo marito."
Signora stia calma. Ha ragione, le ho rovinato questa gioia immensa. Sa, noi qui siamo abituati. In un ospedale c'è un po' di vita concentrata. C'è chi nasce, chi si salva e chi muore."
"Stia zitta per favore, le ho chiesto: come si chiama?"
Anna piangeva disperata, l'infermiera capì che forse la donna di cui parlava quell'uomo, era proprio di fronte a lei"
"Oddio, signora, mi perdoni. Io.. io non potevo sapere. Vado a chiedere"
"Anna scese dal letto, correva nel corridoio come una matta. I dottori, i bambini che piangevano, il rumore dei carrelli, quella terribile puzza di Alcol. Adesso gli odori, i rumori, li sentiva tutti. Non era più da sola con Marco"
"Signora, che ci fa in corridoio, ha appena partorito, è pazza? Venga con me. "
"La smetta. Allora? Come si chiama?"
L'infermierà esitò, e poi disse: "De lucia."
"Delucia Antonio?"
" Oddio, è mio marito, portatemi da lui"
Anna urlava, si era piegata in due sul pavimento.
"Lo stanno operando, signora, stia tranquilla"
L'infermiera dovette chiamare aiuto, per portare Anna nella sua stanza.
Le soministrarono un calmante.
Quando si svegliò chiese di Marco e di Antonio.
"Marco sta bene, Anna."-Le disse l'infermiera.
"Antonio l'hanno operato. È fuori pericolo, ma..."
"ma...?"
L'infermiera si sedette di fianco ad Anna, le prese la mano
"Ha riportato una lesione alla colonna vertebrale, non riesce a sentire le gambe, ha perso sensibilità"
Anna inerme, non riusciva a pronunciare parola.
"Devi essere forte."
Bevve un sorso d'acqua, poi chiese:Non potrà più camminare?
"Temo di no, ma è vivo Anna. Pensa a questo"
Si sforzò di pensare a quelle parole tutti i giorni, quando dovette imparare ad accudirlo, a medicarlo, a dargli da mangiare.
Quando la soffocava il senso di colpa, eh si, Anna si sentiva colpevole anche di quell'incidente. Per questo si prendeva cura di lui, per redimersi la coscienza.
Antonio, invece, si era salvato. Alui importava questo, gli interessava vivere, seppur in modo diverso.
La forza la trovava nelle cure di Anna, che non si sentiva affatto sua moglie, ma molto simile a quell'infermiera dell'ospedale.
Amava marco, le sue carezze, le sue premure.
Amava quando correva nella stanza, e facendo attenzione a non fargli male, saltava sul letto lo baciava per dieci minuti.
L'amore era la sua forza, e quel numero tre.
Tre come le ore di fisioterapia al giorno, tre come le Domeniche al mese in cui andavano al Parco mentre Marco spingeva la carrozzina. Tre come le parole che gli sussurrava tutte le notti prima di andare a letto.
Ti amo, papà.
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