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È un mondo difficile
Milano. Linea rossa della Metro. Ultima carrozza. Me ne sto seduto, assorto nei miei pensieri, mentre il treno corre. Fermata Amendola: sale una bionda sulla trentina. La vedo con la coda dell'occhio. Pare in salute. Viso rubizzo e trucco da contadina inurbata. Prende posto vicino a me. La mente continua a macinare pensieri. Sguardo fisso in avanti. La donna comincia a parlare in russo. Come un fiume in piena. Chissà cosa mi sta dicendo. Non voglio sembrare scortese. Esco per un momento dalla trance e pesco, non senza fatica, nel mio repertorio linguistico. Mi giro di lato, la guardo, sorrido, e dalla bocca mi esce: - Dobryj vecher!
L'energumena si gira, si toglie l'auricolare, spegne il telefonino, e mi guarda severa, forse pensando a una avance. Nei suoi occhi minacciosi leggo a caratteri cubitali: F A N C U L O! In perfetto accento padano. Capisco adesso che non stava parlando con me. Arrossisco e bofonchio una scusa. Avevo fraint... Mi alzo di scatto, la porta si apre, scendo come una lippa, e mi porto fuori tiro. Prima che la donna dalle braccia da lottatore e le cosce da Dio salvi il re ci ripensi, mi insegua, e mi metta le mani addosso.
Chi l'ha detto che conoscere le lingue facilita la vita? Se lo incontro gliene dico quattro
Gennaio. Sto camminando a lunghi passi in Viale Piave. Accucciata sul marciapiede, come in preghiera alla Mecca, una donna tutta infagottata tende la non più pargoletta mano, percorsa da un delirium galoppante. Fa un freddo da infarto. Vicino allo zero. In un empito da buon samaritano mi viene un'idea. Faccio dietrofront e raggiungo la bancarella delle cineserie. Dopo una rapida occhiata afferro un paio di guanti di lana. Sei euro. Ritorno dalla donna che, testa bassa, ripete senza sosta i suoi inchini come stesse recitando il mea culpa. Con gesto lento e garbato le prendo la mano e vi appoggio sopra i guanti. Lei, senza scomporsi, li porta al viso. Se li avvicina agli occhi, che sono nascosti dal fazzoletto che le avvolge la testa. Sembra sorpresa. Suspense di almeno un minuto. Poi, lentamente, cambia ritmo e sfila, da sotto il vestito, la mano libera. La mostra tremante ma non troppo. Riesco a vedere solo il pollice e il medio. Quest'ultimo è teso. Verticale. Diritto come una candela. In preda ad un rigor algidus. Ora si muove a scatti. Sussulta. Si direbbe quasi... esortativo. Penso: poveretta, le mancano tre dita. Magari ho fatto una gaffe. Sarebbero state più indicate due manopole. Poi, a scoppio ritardato, mi assale un dubbio... una voce interna mi dice: - Ci sei o ci fai? Disciules! Disciulati! - Ah, vuoi dire che... Cazzo! Guarda te, vai a fare del bene!
Mi sono sempre chiesto perché la gente è razzista. Quali barriere dividono una razza dall'altra. Quali pregiudizi. Quali interessi. Quali tabù. Eppure, tolto il colore della pelle, qualche tratto somatico, le abitudini, il modo di vedere il mondo, la lingua, e forse la religione... Poi penso a quando salgo in tram, è l'ora di punta, gente che spinge e si accalca; càpito proprio sotto l'ascella di un nero africano che si regge alla maniglia pendula. Non faccio in tempo a rimpiangere di non aver optato per una sana camminata tra lo smog, che subito mi trovo avvolto da un effluvio di aglio, cipolla, peperoncino, coriandolo, misto all'odore di selvatico dell'agnello, con un pizzico di sudore speziato, e astinenza da sapone... Da venir meno. Sono tenuto in piedi dai corpi di quelli che mi stanno attorno. Potrebbe sembrare culo, in effetti meglio sarebbe - potendo - svenire e cadere lungo disteso. Darsi per morto. Cerco di girarmi dall'altra parte, e un cinese attaccato al suo cellulare mi mitraglia nell'orecchio con quella sua lingua tarantolata. Il tram frena di colpo. Ci incliniamo tutti all'unisono. Prima in avanti, poi indietro. Sembriamo la coreografia di un video di Michael Jackson. Si riparte. Un bambino nero, seduto davanti a me, mi guarda e, notando le smorfie che si susseguono sul mio volto, ghigna come un matto. Scimmiotta i miei stringimenti di naso, con una faccia da schiaffi. Gode, il fetente. Se ne approfitta che non posso muovermi. Comincio ad agitarmi, si fa per dire. Chiedo educatamente permesso: - mi scusi, dovrei scendere... - In effetti mancano tre fermate: meglio portarsi avanti col lavoro per non ritrovarsi al capolinea. Ad un tratto sento una fitta lancinante ad un fianco. Il gomito appuntito di un'anoressica indiana preme alla ricerca del suo centro di gravità permanente. Penso: perché non ti nutri, figlia mia... magari con un po' di Kebab. La situazione non ha annichilito la mia verve. Con un colpo di reni mi sottraggo. A furia di piccoli passi guadagno la porta. Le sono contro. Con la faccia spiaccicata sui vetri. Il tram si ferma. Mi ritraggo un po' per non correre il rischio di lasciare il naso tra le ganasce del soffietto. Sono a terra. In tutti i sensi.
Strana la vita: sali sul tram che sei per l'eguaglianza fra i popoli, bendisposto verso tutte le razze del pianeta, la globalizzazione, i matrimoni misti, le adozioni a distanza... e scendi che ti ritrovi fottuto razzista. Per fortuna dura poco. Basta una boccata d'aria fresca.
Cammino per Ferrara, la città delle biciclette. Ogni giorno ci sono in giro più bici che pedoni. Anche per questo è patrimonio non dell'umanità, ma dei ciclisti. È qui che è nato il primo antifurto elettronico per velocipede, e sta per essere messo a punto quello collegato al satellite. Permetterà di ritrovare il mezzo rubato in Piazza Ariostea anche a Pechino. Tutti: giovani, vecchi, donne, bambini, militari, ragazzi, e invalidi inforcano la loro bici al mattino e vanno dappertutto, in lungo e in largo, a briglia sciolta, come in una prateria del West. Fino a sera. Ferrara è l'unica città, pare, dove i ciclisti hanno la precedenza su tutti. Pedoni compresi. Anche questi devono cedere il passo. SCAN - SAR - SI. Pena il ricovero in ospedale. Se va bene. Vi venisse mai in mente di rapinare una banca, sapete già quale mezzo utilizzare per la fuga: una superbike a pedali, cambio Shimano o Campagnolo a 150 rapporti.
Dicevo, sto camminando con un amico in piena zona pedonale. Discutiamo del più e del meno: chi va a pensare che anche lì siamo in pericolo. Improvvisamente, sento uno scampanellio isterico alle mie spalle. Senza voltarmi, mi scanso. Opto per la destra, così, a intuito. Una donna ci passa in mezzo come una scheggia. Non faccio in tempo a rallegrarmi per lo scampato pericolo, che vedo arrivare di fronte a me un extracomunitario su di un ferrovecchio cigolante. Mi punta ridanciano: sembra la copia spiaccicata di Eddie Murphy. Non c'è ombra di cattiveria in lui: è che non sa proprio andare. Come un torero, lo evito per un soffio. Arriva un giovane emulo di un pistard. Corre a tutta birra. Ho due possibilità. Destra o sinistra. Tertium non datur. Guardo il folle dritto negli occhi. Credo di aver intuito la traiettoria ma, sul più bello, inciampo. Lui mi sfiora, si gira, impreca, e grida: i vecchi rimba... a CASAAAA!
Ho deciso: la prossima volta che esco di casa mi armo di muleta e mazza da baseball. Voglio proprio vedere!
Che bello! Non si può più fumare nei luoghi pubblici. Nemmeno negli uffici privati. È un progresso. Un segno di grande civiltà. Ma come ogni conquista porta con sé degli effetti collaterali. Accade spesso di vedere capannelli di persone sul marciapiede - ci sia il sole o tiri vento - che fumano nervosamente. Sembra quasi la sigaretta del condannato. Poi, appena finito, rientrano con aria triste ai loro posti lavoro. Non ci sarebbe niente di sconveniente se avessero quel minimo di senso civico di dotarsi di un piccolo posacenere da tasca e metterci il mozzicone. E non li fiora nemmeno l'idea, al limite, di spegnerlo e gettarlo nel cestino dei rifiuti. Gesto troppo civile. Invece, ad un popolo di menefreghisti coglioni, si addice di più lordare i marciapiedi. Con gesto distratto, a volte di spregio, quasi stizzito. Ma verso chi? La vita, forse? Risultato: le strade sono piene di cicche che sembrano tanti bossoli di pallottole per le strade infuocate di una Beirut di triste memoria. Vabbé, direte voi, tanto ci pensa la nettezza urbana a togliere tutto. Quale nettezza? Quale urbana? Lasciamo perdere. A Milano, con i nuovi sistemi di pulizia delle strade che non prevedono lo spostamento delle auto, cicche, cartacce, lattine, e chi più ne ha... sono capaci di rimanere in strada per giorni, settimane, a volte mesi. Viene da rimpiangere Bangkok. Lì, se ti vedono gettare qualcosa o sputare, ti fanno un cazziatone da sollevarti da terra, e poi ti stendono con una multa che ti ricordi per un pezzo. D'altronde, basta pensare a come siamo capaci di conciare le nostre spiagge o a cosa non troviamo in mare, per capire che siamo un popolo di incivili e di zozzoni. Avremo anche fatto i soldi. Possederemo abiti vistosamente griffati, Rolex d'oro di due chili, Hummer da papponi, ma di strada ne abbiamo fatta poca. Non solo siamo al centocinquantesimo posto delle classifiche mondiali per affidabilità della classe politica, ma credo saremo negli ultimi per educazione e senso civico.
Meno male che sei mesi fa ho smesso di fumare. Porto abiti non riconoscibili. Ho rispolverato il mio Swatch. E il fuoristrada l'ho venduto da un pezzo. Appena sono arrivato all'età della ragione.
Con l'avanzare dell'età si diventa sempre meno visibili. Per arrivare alla totale invisibilità. E senza bisogno di ricorrere alla scoperta di Griffin. Non parlo solo del fatto di non attirare più sguardi su di sé, di destare qualche interesse pruriginoso, parlo proprio di quella caratteristica che fa sì che nessuno ti vede più. Sparisci alla vista del mondo. Ci sei, respiri, ti muovi, cammini, ma per la gente attorno non esisti. Prima di stamattina pensavo fosse soltanto un modo di dire, un'iperbole per rappresentare una fase della vita. Una sorte di lenta dissolvenza prima di lasciare questo mondo. E, invece, no.
Mi trovavo fermo al semaforo, a piedi, in attesa del verde. Ero calmo, sereno, non avevo nessuna fretta. Era una bella giornata di sole. Mi sentivo stranamente ben disposto verso il prossimo. A tal punto da poter perfino chiudere un occhio davanti alla stupidità umana. Ed ecco che arriva il verde. Mentre faccio i primi passi, con la coda dell'occhio, vedo sulla mia sinistra un suv - un Land Rover Defender nuovo di pacca - allineato a me. Parte e svolta. Non accelera, prosegue quasi a passo d'uomo, e per poco non mi tira sotto. Mi scanso un po', mentre lui procede lento. Passa dietro sfiorandomi. Io mi giro, e vedo al volante un vecchio over ottanta, con tanto di cappello a tesa larga. Guarda avanti: occhio fisso, sorriso da cerebroleso. Non so quanti di voi lo sanno, ma chi guida tenendo in testa il cappello, il berretto, la cuffia di lana, o il parasudore è un vero pericolo pubblico. Forse la stretta gli impedisce una corretta circolazione del sangue, che in questo modo ha grosse difficoltà ad irrorare il cervello. Non so se sia davvero così. Ma fateci caso. Non se ne salva uno. Il vecchio ebete va così lentamente che, ripresomi dalla sorpresa, e con il sangue che pompa a mille, picchio violentemente sul finestrino e gli grido con tutto il fiato che ho in gola: - STRONZOOO!!! Perché non guardi dove vai?
Lui non fa una piega, non mi degna di uno sguardo, continua per la sua strada. Col suo sorrisetto da scemo. Mi ricompongo, guadagno velocemente il lato opposto della strada. Riavvolgo tutto il film e mi rivedo l'intera scena. Quello che mi sorprende, e lo dico senza compiacimenti narrativi, è la seguenza del momento in cui lui mi sfila davanti al viso a rallenti. E, ripensandoci, capisco che lui, il vecchio rimba, non mi ha né visto né sentito. Per lui non c'ero. Realizzo così di essere diventato invisibile.
Non mi resta che fare la prova del nove. Domani vado al parco e, appena intravvedo una giovane che fa jogging, apro l'impermeabile e sventolo tutta la mercanzia. Chissà: se va, ha le gambe! Altrimenti, se lei non fa una piega, sono davvero invisibile.
In qualche parte del mondo, un piazzista entra da un cliente. Fa una piroetta, accenna un cu-cu con un sorriso contenuto a stento dalle orecchie, si rotola sul pavimento come uno stuoino, e supplica il negoziante di camminargli sopra. Poi lo intrattiene con esilaranti storielle da caserma. Gli bacia mano, culo e attributi con grande trasporto. Forse la scena è un po' imbarazzante ma ci sta. Rientra nell'ordine delle cose. Tanto, anche se il negozio dovesse cambiare gestione, il nuovo titolare non lo criticherebbe certo per il pirotecnico ed esuberante servilismo riservato al suo predecessore. Anzi.
Dalla parte opposta del mondo, un primo ministro, ex piazzista, ha l'incauta e bizzarra idea di riservare gli stessi graziosi salamelecchi a un controverso e molto chiacchierato uomo di stato. Un tantino dittatore. Domanda: nel momento del tramonto e della cacciata di questo raìs, può l'ex piazzista, insieme al Paese che rappresenta, pretendere un occhio di riguardo da parte della nuova gestione? È vero che i rapporti fra governi non si dovrebbero basare su simpatie o antipatie, ma solo su interessi, equilibri e ragioni di stato, ma siamo tutti persone di mondo e sappiamo che la natura umana è quello che è. Per poco che possa contare un gesto, uno sgarbo, o un comportamento politicamente osé, se io - a parità di offerte - mi trovassi a scegliere fra due o più pretendenti aspiranti a sfruttare parte delle mie ricchezze, opterei senza dubbio per il candidato meno sciocco, subdolo, ruffiano, o maldestro. E voi?
Se il mio fiuto non m'inganna, abituiamoci all'idea di lasciare ferma l'auto per parecchi fine settimana. I prezzi di benzina e gasolio, già oggi in orbita, fra non molto, anche grazie a certe incaute manifestazioni di affetto, andranno alle stelle. E ci resteranno per un bel pezzo. In compenso, scenderà l'inquinamento e ci guadagneranno salute e portafogli.
Meno male! Non sempre il piazzista vien per nuocere.
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