Attacco a scrivere la mattina presto. Sono ancora in pigiama quando mi siedo alla scrivania o, molto spesso, al tavolo di cucina dove, con un gesto della mano, ho liberato da tazzine, barattoli e bucce di frutta. D'inverno non è ancora l'alba e accendo la luce piccola, quella sopra l'acquaio. Dalla finestra vedo a malapena ombre grigiastre e il lampione pubblico che spruzza un cono di luce al fondo della calle.
Ho dei personaggi nella testa, la mattina presto, e sono da riordinare perché vogliono uscire di colpo tutti assieme e cercano una via di fuga. Però prima li devo vestire, pettinare, decide che cosa far fare loro.
Chi sono costoro? Le donne, molto spesso, sono me; me stessa in tanti modi e talvolta inquietanti o soprendenti ; gli uomini , invece, li raccatto un poco ovunque e ne metto assieme le parti. Attingo quasi sempre dalla realtà. Volti e persone che ho osservato in autobus o nella sala d'attesa di qualche luogo.
Iniziare non è mai difficile per me, anzi direi che seguo un modo alquanto delirante di scrivere perché butto giù tutto quello che mi affiora e può essere davvero qualsiasi cosa. Leggo solo alla fine della pagina, per scoprire che ho dato la stura da un vero caos di emozioni e di soggetti.
Intanto il caffè borbotta dalla caffettiera e il piccolo pappagallo che vive con me mi pigola il suo buon giorno in attesa di attenzione. È gelosissimo.
Scrivo fino acchè sento la fucina cerebrale in moto, colpi di martello e zigzagare di pialle. Ma appena ho una qualche esitazione nel pensare o comincia a non piacermi la parola sulla carta, mi fermo. Vuol dire che passo all'aspetto riflessivo. La slavina è scesa, adesso si deve mettere in ordine. Riaffioro dalla mia neve farinosa con tutti gli oggetti sparsi all'intorno. Non so se scrivere sia un mestiere; per me si tratta di una esigenza, una forma di vivere il mio io, di catturare il reale ed inventarne un altro. Io gioco con la Lingua Italiana, essa mi offre sempre forme e colori nuovi, talvolta materie molli, da lavorare; altre volte materiali duri come sassi, che non so incastrare da nessuna parte.
Sospendo la mia frenesia appena avverto i passi dei passanti sotto la finestra e la levata della saracinesca del bar, con il classico colpo di spalla di chi la sollevava. Due rumori che mi interrompono la concentrazione, ma che pur mi dicono che devo affrontare la peregrina quotidianità. Quando Toni apre qua sotto il suo bar e accende le prime luci delle vetrine, mi piace pensare che i miei personaggi, ancora abbozzati e un poco indefiniti, se ne scendano da casa mia e vadano da lui, a bere il caffè . Magari si lamentano con Toni per come li ho inventati. Taluni incompleti sono senza naso, o calvi e nemmeno del tutto vestiti. Spesso poi, hanno abiti vintage. Ma Tony , con il suo bonario dialetto, li tranquillizza tutti e offre loro le prime brioches sfornate. Contenti essi escono, magari a braccetto, e se ne vanno per una città che non conoscono, ma dalla quale non potranno mai uscire. Qualcuno di loro ritornerà a tormentarmi e sarà la volta che lo infilerò dentro ad un racconto...