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16 Agosto, la processione di San Rocco
Anche quest'anno era arrivato il 16 agosto.
Il santo arranzava a poco a poco per le stradine di periferia, con il cagnolino sempre al suo fianco. Camminava dondolando a destra e a sinistra, trantolando, come dicono le vecchiette del paese. Davanti e dietro di lui tutta Aci Ruoti, colorata e col sorriso del giorno di festa.
Prima della statua, i chierichetti erano infila come i soldatini, tutti vestiti di bianco come le pecore a ripetere le stesse parole del prete come i pappagalli. C'erano tutti. Il figlio della Nunzia, bravo figlio, bello in carne che sembrava davvero una pecorella; l'ultimo figliolo della macellaia, che con tanta carne che aveva nel negozio ne avesse data un po' ai figli, uno più magro dell'altro, che se tirava un po' di vento e non avevano lo zainetto sulle spalle se ne volavano subito ad Aci Lucano. C'era il figlio di Menga Maria, che tutti chiamano "il figlio di Menga Maria", non perchè non sappessero il nome, ma perchè non sapevano chi fosse il padre. C'era pure Alfredino, che era il bambino prediletto di Don Michele, zi prev't, che lo nominava sempre e lo prendeva come esempio per gli altri bambini, e diceva di essere il suo padre spirituale, tanto che in paese sullo spirituale non ci credeva nessuno, ma sul padre qualcuno ci aveva fatto le sue scommesse.
Dietro la statua suonava la banda del paese. Trombe, piatti, grancassa, flauti e anche un clarinetto. Tutti bravi musicisti. Anche il maestro suonava la tromba, ma non era di Aci Ruoti, e nemmeno gli altri trombettisti, e i flautisti, e i percussionisti, perchè, se fossero stati tutti compaesani, la banda non avrebbe fatto venti metri prima che scoppiasse una forte lite. Quello che suonava i piatti, però, era del paese, ed era pure bravo!
Appresso alla banda camminava la processione dei cittadini, che chiamarli fedeli sarebbe stato troppo. Sotto il sole cocente di agosto chi parlava del calciomercato e del Milan che non era più uno squadrone; chi, invece, parlava del cognato che con la gamba zoppa ancora si preoccupava di andare a lavorare; chi parlava di Gino l'idraulico, lu tubbist', che con tutte e due le gambe sane non ne voleva proprio sapere di schiodarsi dai tavolini del bar. Ognuno aveva i suoi conti da fare e suoi amici di cui sparlare, che più che una processione sembrava l'intervallo di una partita di terza categoria, quando tutti i tifosi si alzano dalla tribuna e si avvicinano agli spogliatoi per sentire cosa si dice dall'altro lato della rete.
Meno male che c'erano sono le anziane comare, che il giorno di festa lasciavano le chiacchiere davanti la chiesa e per tutta la processione canticchiavano lo stesso stornello, con acuti da cornacchie, che quando il prete diceva l'Ave Maria, tutte in coro cantavano: "Evvia Sand'Rocc', Sand'Rocc' evviva. Evviva Sand'Rocc' e chi laaaa creò".
Non erano vecchiette eretiche, il sesso del santo lo conoscevano bene. Il problema era che lo stesso coro lo cantavano anche ad Aci Avigliano, alla festa della Santissima Maria del Carmine: "Evviva Maria, Maria evviva. Evviva Maria e chi laaaa creò". Nessuno, però, aveva mai spiegato a quelle vecchiette che non bastava cambiare solo il nome del santo nella canzone, ma dovevano concordare pure tutti gli articoli e gli aggettivi!
Il coro delle vecchiette continuava con urla sempre più alte. Davanti il prete pregava al microfono, da solo. Quattro passi dietro di lui c'era il vice sindaco, vestito a festa anche lui, dopo che aveva fatto tanta fatica a togliersi dalle mani lo sporco del calcestruzzo. Non che fosse un grande lavoratore, anzi, in paese si diceva che si grattava la cuglia dalla mattina alla sera e, se non fosse per il sindaco, la sua impresa edile sarebbe fallita già da anni. Era una fortuna che il primo cittadino pensasse a tutti i suoi elettori, soprattutto a quelli che avevano famiglie molto grandi e parenti dappertutto: fu così che Mariuccio cul'e ppoltron' riusciva a mettere le mani nel calcestruzzo, un po' di qua e un po' di là, un appalto quì e uno lì.
A Mariuccio la fascia di sindaco piaceva molto. Lui, che nella vita aveva sempre guardato tutti dal basso verso l'alto con servile reverenza, andava fiero nel vedere tutta quella processione stargli alle spalle, come se fosse diventato qualcuno che contava veramente.
Anche il sindaco era uno che contava molto, e come se contava: i numeri delle famiglie che abitavano in campagna li sapeva a memoria. Era un primo cittadino molto impegnato, Lino Carancello, che tutti i giorni stava nel capoluogo di provincia, tanto che nessun barista si ricorda quand'è stata l'ultima volta che lo avevano visto prendere un caffè in paese. Andava a fare sempre colazione fuori e si ritirava all'ora di pranzo con la sua Mercedes classe E, leggendo il quotidiano locale con un amano, mentre guidava con l'altra e col ginocchio.
Chissà che fine aveva fatto in quel giorno di festa? In molti mormoravano che fosse andato a prendere un'altra statua da mettere all'uscita del paese, come quella che aveva messo all'ingresso, vicino il campo sportivo, che tutti dicevano che l'aveva messa lì solo perchè c'era anche la casa del fratello. Tutte le vecchiette del paese erano allegre di vedere il santo che proteggeva l'entrata della città. C'era voluto zi Cicc' l'autista per capire che quella era la Madonna e non San Rocco, perché non c'era il cane. C'era voluto Ming crai mo ven' per capire che quella non era nemmeno la Madonna, ma una donna col costume del paese. Non era difficle capirlo, visto che al posto delle mani angelicate aveva delle dita fatte apposta per preparare i cauzungiedd'.
Assenza del sindaco a parte, questa processione aveva, però, una novità che attirò su di sé le chiacchiere di tutti i paesani. Lo sguardo chiacchierone degli aciruotesi si era posato sui portatori del santo sin da quando la processione era partita da n'gap lu pont'. Soltanto i criaturi che correvano avanti e dietro al santo non si erano accorti di nulla, per loro era tutto normale.
Anche per Rocchino. Inseguiva gli amichetti della scuola, facendo slalom tra una persona e l'altra, attirandosi i vituperi di tutti. Arrivati alla crocecchia, zi Nicola lo bloccò improvvisamente. Gli si avvicinò e gli strinse la mano. "Peste, sempre a correre stai. Statt' nu poc' arr'fin'." e mentre parlava gli stringeva la mano sempre più forte. "Mi raccomando dai gli auguri a papà mo che torni a casa, capi'?". Gli lasciò la mano e se ne andò verso i suoi parenti.
Rocchino era contento che zi Nicola lo aveva lasciato, con quelle mani enormi da meccanico, ancora sporche dell'olio di ieri.
In effetti, gli auguri non glieli aveva fatti a lui, perchè all'anagrafe risultava nato con il nome Antonio. Rocco si chiamava il padre, e siccome il bambino, crescendo, sembrava la sua fotocopia, gli avevano dato lo stesso nome del padre, e se non fosse nato dalle gambe della madre, la gente penserebbe che il figlio non era proprio il suo. E per tutti in paese era Rocchino, che pure a casa lo chiamavano così, che quasi la nonna si era dimenticata che si chiamava Antonio come la banar'ma del defunto marito.
Finalmente tutta la processione arrivò alla crocecchia. Lì c'era un muretto sul quale si faceva riposare il santo e poi si ripartiva freschi d'acqua. Zi prev't cercava di attirare a sé le attenzioni della folla con un sermone sulla bontà e sulla carità che bisognava riservare ai poveri, agli ammalati e agli ospiti, ma nessuno gli porgeva attenzione. Chi stringeva la mano a destra, chi salutava i parenti del Belgio che rivedeva ogni anno solo il 16 agosto.
Rocchino si era fermato alla fontanella insieme agli altri criaturi come lui. Dopo aver corso per tutta la prima parte del percorso, aveva bisogno di farsi una vepp'ta. Si avvicinò all'acqua e vide che c'era già qualcuno che stava bevendo. Rocchino alzò la sua piccola testolina e guardò negli occhi quel cristiano.
"E tu chi sei?", gli chiese. Era sempre stato sfacciato, scriteriato, vutuperio, come dicono i vicini di casa.
"Sono un portatore del santo, non lo vedi l'abito!" e il signore continuò a bere.
"Non è vero, è una bugia. San Rocco è bianco, perché tu sei negro?"
Il signore alzò la testa, lo guardò per un momento, poi abbassò lo sguardo, sorridendo, e andò a prendersi il carico sulle spalle.
Il sole scottava forte sulla pelle. Il sudore si appiccicava sotto le ascelle. I criaturi non si facevano problemi: col cappellino in testa, correvano ovunque.
Rocchino correva e sudava, e sua madre non aveva forze per stargli appresso tutto il giorno, che ci vorrebbero quattro cavalli per tenerlo fermo quel bambino. Meno male che oggi c'era la processione, così non passavano nemmeno le macchine, e lei stava più tranquilla.
La processione era finita e San Rocco era finalmente arrivato nella sua chiesetta piccolissima, che riusciva a contenere soltanto venti persone: zi prev't, il sindaco e i portatori con tutte le loro famiglie. E con tutti i soldi che il prete si prendeva dalle vecchiette per le messe poteva pure allargarla quella chiesa, ma niente. "Piccola è la chiesa, ma grande è il cuore del santo", diceva. Però, quando veniva a piovere tutte quelle vecchiette nel cuore del santo non ci entravano mica, e si bagnavano tutte come i pulcini di zia Rosa.
I criaturi avevano smesso di correre, ma di sentire la messa sotto al palco non avevano voglia, e si andavano a sdraiare sull'erba verde o davanti le bancarelle delle caramelle, che a Rocchino piacevano molto. I camion dei paninari era pieni di affamati, che si toglievano la fame con un panino e una birra, perchè non gli piacevano i cusciniett' fatti in casa dalle mogli. E così sentivi le bestemmie delle signore, appena vedevano i loro mariti con il panino in mano!
Rocchino e suoi amici erano seduti sull'erba, dietro la bancarella dei giocattoli, che lui non comprava più perchè a sei anni era già grande.
"Ma secondo te perché quello là era negro?", chiese Rocchino al figlio di Menga Maria.
"Ma chi? Quello che c'era alla fontana?"
"Eh, sì. Perchè era negro, se San Rocco è bianco?"
"Che c'entra, mica devono essere tutti bianchi per portare San Rocco alla festa. L'hai sentito che ha detto zi prev't, che siamo tutti uguali e tutti fratelli."
"No, non è vero, non siamo tutti fratelli." strappò l'erba da terra e la buttò più in là. "Loro non sono nostri fratelli, non sono come noi."
"Perchè, Rocchì, che hanno fatto?"
Rocchino si alzò in piedi, parlava con voce sicura, che aveva sei anni ed era già grande e molte cose le sapeva bene.
"Non lo sai che quelli vengono qui e ci rubano il lavoro, ci rubano le madri ai nostri papà e vengono a mettere le bombe nelle chiese?!"
"Veramente?" chiese il figlio di Menga Maria, che già non conosceva il padre e non voleva perdere pure la madre. "E perchè fanno così?"
"Perchè sono cattivi... perchè?!... è semplice."
"E che ne sai tu Rocchì, chi te l'ha detto?"
"La televisione. Mia madre la ascolta tutti i giorni prima dei Simpson. Tu non l'hai sentito il telegiornale?"
"No, io a tavola non la guardo mai. Cioè io la vorrei vede', ma mia madre dice che prima devo finire tutto il piatto e poi accende la televisione."
"Eh no, la devi guardare. L'altra sera hanno fatto vedere che questi qua mica dicono le preghiere come le diciamo noi, seduti e con le mani giunte come ci dice zi prev't!"
"No?" chiese sorpreso il figlio della Menga.
"Eh no. Si mettono con le ginocchie per terra e le mani lunghe, e si piegano per terra fino a baciare il pavimento con la lingua. E lo fanno sei, dieci volte."
"Noooo, non ci credo."
"Eh ci devi credere. Tutti così fanno. Ora ti sembra giusto che questi qui vengono a portare San Rocco ad Aci Ruoti? Non sono come noi, non dicono le preghiere come noi. Non è giusto."
Rocchino in piedi aveva convinto l'amichetto. Adesso aveva le mani in tasca, tutte sporche di verde.
"E che più ha fatto vedere la televisione?" il figlio della Menga era curioso.
"Hanno fatto vedere... mettono i maccaturi in faccia alle mogli e le vietano di andare in giro con la faccia scoperta, come se avessero la varicella per sempre."
"Non è vero, Pamela non porta il maccaturo in faccia e il marito è bravo."
"Che c'entra... Pamela è negra, ma è di Cuba. Lì sono diversi, sono tutti bravi. Hai visto che ci dà sempre le caramelle e ci fa giocare con Robertino. In televisione non hanno mai parlato dei cubani che sono cattivi. Poi mio padre dice che a Cuba sono veramente tutti uguali e non si pagano le bollette."
"Si vabbè, ma tuo padre dice così perchè è un comunista, lo sanno tutti ad Aci Ruoti. "Belli i cumbagn', gli ati fatican' e tu magn'"."
"Che c'entra, ad Aci Ruoti dicono così perchè quando ha lavorato al comune non ha fatto aggiustare la piazza agli amici del vecchio sindaco. E poi che c'entra... Non stiamo parlando di mio padre che lavora bene, non come quelli là che non lavorano mai."
"Perchè non lavorano mai?"
"Hai mai visto in televisione... ah già tu non la vedi... vabbè te lo dico io... in televisione non hanno mai fatto vedere quelli negri così che pregano con la lingua a terra che stanno a lavorare... mai... perchè loro il lavoro lo rubano agli altri."
"Non è vero, l'altra sera a casa di Giuseppe alla televisione li ho visti loro che lavorano e vanno a raccogliere le arancie che ci mangiamo."
"Ma che c'entra... uffa, non capisci niente. Quelli mica sono gli stessi, quelli vengono dall'Africa, e comunque non vengono a portare San Rocco in processione."
Il figlio della Menga si era ormai convinto. Quelli non erano come gli altri di Aci Ruoti o come Pamela, erano diversi e cattivi. Stava per chiedere un'ultima cosa a Rocchino quando si sentì chiamare dalla povera madre, che lo cercava da un'ora in tutta la contrada.
"Qua si'!", e giù una salvietta a cinque dita che gli lasciò il segno in faccia per una settimana.
"Quanda vot' t' l'aggia rì, che nun t'aja alluntana' ra mbacc' a me?"
"Mamma stavo parlando con Rocchino. Adesso vengo." si prese qualche secondo di pausa, prima di farle quella richiesta che aveva in testa. "Mamma ma almeno oggi ci vediamo la televisione? Almeno oggi che festa?"
Menga Maria ci pensò su pochi secondi. Poi: "Sì, però ci guardiamo il telegiornale, così almeno ti impari qualcosa, visto che a scuola non ci vuoi andare."
"Sì, sì mamma, mi voglio vedere il telegiornale oggi."
E dicendo così si allontanarono verso la macchina di zi' Pepp'. Rocchino aveva visto la scena ed era rimasto soddisfatto di avergli insegnato qualcosa.
L'amico se n'era andato e si allontanò anche lui, voleva andare a salutare il santo prima di tornare a casa, perchè gli voleva chiedere se poteva farlo fidanzare con Francesca, la sorella della barista, che aveva la casa vicino a lui, ma si vergognava di dirle che era bella come un'attrice.
Davanti alla chiesa, però, vide qualcosa di brutto e Rocchino ci rimase male. Qualcuno stava parlando con lo straniero che aveva portato il santo, quello che pregava con la lingua a terra, quello che rubava il lavoro agli altri. Non gli ci volle molto per capire che quel qualcuno era suo padre.
"A la faccia r' lu cazz... allò è vero che è proprio comunista!"
Schifato, si girò di spalle e se ne andò.
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2 recensioni:
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- IO CHE PORTO IL PRIMO NOME DALLA NASCITA - PER DEVOZIONE MATERNA - NON POSSO PLAUDIRE QUESTO TUO SAGGIO...
QUEST'ANNO COME OGNI ANNO HO RIVISTO LA FESTA A TOLVE, SIA IN AGOSTO CHE DOMENICA SCORSA...
TI SALUTO E TI PLAUDO DI <3
- Un Autore che sa tenere la penna in mano... testo scorrevole.. piacevole.. meritevole di di segnalazione..
degno di essere accostato per freschezza della narrazione ai Grandi Siciliani..
bravo e complimenti!

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