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L'anima di cristallo
Le piume svolazzavano nell'aria, conferendole una lattiginosità morbida. Gli piacevano le piume, gli accarezzavano il viso come quella mano tanto sognata. La mano di un amore vero, carnale e dolce, di quelli che si vedono nei film. Peccato che a lui non interessavano le donne, proprio non gli ispiravano altro che amicizia, una di quelle che si sviluppano tra simili. Che ci poteva fare se percepiva i rumori del mondo con il suo orecchio femminile? Non riusciva a tirare fuori quella mascolinità, che pure esprimeva il suo corpo. Lo guardava allo specchio del bagno e gli sembrava di vedere un estraneo, tanto lo percepiva come tale che un pudore delicato lo obbligava a coprirsi. Vergognarsi di se stesso, questo aveva imparato dalla lezione, che la vita gli aveva insegnato.
Era grato a tutti perchè aveva una famiglia. La sentiva, a volte oppressiva, la sentiva come un fiato caldo, la sentiva come una corda che non si può tendere, la sentiva pesante come un macigno e leggera come una piuma. Era felice che ci fosse, che ci fosse qualcuno che gli segnasse il percorso. Il suo animo, fragile come un cristallo, non avrebbe potuto reggere alle inaspettate malvagità della vita.
Sapeva bene che cosa volesse dire camminare come un'ombra nella speranza di non essere osservato, il fiato corto e il cuore in gola e provare un terrore sconvolgente nell'udire l'avvicinarsi di passi umani.
Aveva ancora bene in mente quei denti enormi che si mostravano sfacciati. Gli erano rimasti in mente più dei volti, quelli si sono cancellati, perchè alla fine sono tutti eguali.
Era diverso, aveva la testa grande e quella voce troppo gentile per la strisciante bruttura umana.
Era lo zimbello, il tiro assegno delle frustrazioni adolescenziali e lui... non poteva che fuggire.
Correre a casa per trovare rifugio tra le braccia calde della sua mamma. Ah la mamma che porto sicuro, grembo in cui versare le lacrime con la certezza che ci verranno asciugate!
Poi di nuovo lo specchio, quello sconosciuto, quelle mani tozze, quel viso.. "non mi piace questo vestito umano che mi è stato dato. Le mie mani dovrebbero essere delicate, vorrei ricamare fiori su fazzoletti di lino, il cui grezzo bianco caldo, accoglierà il naso del mio amato, il mio sposo. Svolazzerò con le mie vesti morbide, le mie gambe slanciate e senza tutti questi peli orribili. Crescerò i miei bambini. Amo i bambini, sento per loro un affetto che, se non fossi stato allenato a frenarmi, diventerebbe morboso.
Le mie mani sono tozze e pelose, le mie gambe idem, non posso svolazzare con vesti morbide. Aguzzini pantaloni sono il mio unico abito".
Rimasero solo sogni e giochi da fare in solitudine. Non c'era possibilità di esprimere questo sentire. Era grato alla sua famiglia, lo aveva protetto e lui oggi aveva la consapevolezza di questo bisogno. La maturità è quando capisci i tuoi limiti e impari a chiedere aiuto.
La maggior parte dell'umanità rimane chiusa e indifferente e non varca la soglia della propria apparenza, teme a scendere negli abissi della sua identità senza ossa e muscoli. Preferisce consolarsi tristemente nella sua stoltezza ubriaca.
Lui non aveva timori, quello che è un problema in questa realtà di carne, diventa una ricchezza nella realtà dell'impercepibile.
Aveva imparato a fiutare l'aria, ad ubbidire senza protestare, a nascondere i suoi pensieri, le sue voglie, i suoi amori.
Per la madre e per tutta la famiglia era un ragazzo fragile che andava rinforzato. In tanti hanno provato a frantumare quel cristallo sottile. In tanti hanno provato a sostituirglielo con del dozzinale vetro.
L'anima per fortuna non si rapisce.
Così dal suo scrigno liberava le piume di quella Lei che conviveva con quel lui ingombrante e violento
Come un sogno rutilante, ballare circondato di carezze sottili e sognare, sognare di spogliarsi di quelle vesti ingombranti.
Purtroppo non scegliamo il nostro corpo e dobbiamo imparare ad amarlo bello o brutto che sia.
A volte la natura gioca scherzi crudeli e inverte gli ingredienti creando miscele esplosive, con le quali convivere sembra impossibile.
Lui imparò a farlo, masticando sale e frustrazione, pur consapevole di evitare lacerazioni di dolore magari insanabili.
Era disabile, una condizione che aveva vissuto con il terrore della vergogna. Era disabile e sembrava una colpa. Era disabile e nessuno lo voleva quando era rimasto orfano.
Era disabilità quella sua femminilità dolce, che tanto fianco porgeva al ludibrio? No, quello era il suo animo incolore e fragile come il petalo di un minuscolo fiore di campo, schiuso per un giorno.
Ma lui aveva una famiglia, non avrebbe dovuto varcare la soglia grigia di un anonimo istituto, lui aveva qualcuno che aveva abbracciato i suoi problemi.
La sua vera identità non si poteva affermare, rimaneva silenziosa e nascosta tra le lenzuola, quando il cielo è pieno di stelle, una piuma sottile, una carezza calda, la brezza notturna dell'estate e il brivido della solitudine.
Forse era disabilità come dicevano tutti, non si poneva più questo problema, si sentiva accettato anche se poco capito, ma in fondo la maturità gli aveva insegnato ad apprezzare il gusto di un segreto.
Sognava però, quello sì, sognava il grande amore, l'eroicità a cui dedicare il suo cuore puro e delicato come cristallo purissimo.
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