Ed anche questa notte sta per arrivar a metà, volgendo lo sguardo al penultimo giorno di settembre. Cicale che cantano a tempo accelerato, portano con se le ultime note d'un estate che legalmente è già finita, ma la calura di questi giorni tende a raffigurarla come un artiglio aggrappato ad una parete di fragile tufo.
Si lascia assaporare la pesantezza della malinconia e del costante gioco programmatico che s'incatena ad una sorta di meccanismo sul passare dei giorni. Disperatamente ne cerca sul calendario quelli di un colore diverso, sperando così di riuscire a spezzare anche solo per un paio d'ore la dentatura ad incastro della monotonia di sapere cosa farai.
La cosa che mi ha fatto riflettere, è come s'insinua la mediocrità degli attimi, la paragonerei alle ruote di un'autobus di linea. Si consumano sempre alla stessa maniera. L'unico modo che hanno di sfuggire alla pressione dell'usura è sperare che salgano meno persone. Quello di toccare qualcosa di diverso è desiderare che vi sia una buca nuova sul loro sentiero. Quello di sentire una cosa nuova è l'auspicio che arrivi la pioggia.
Se il sudore fosse piombo e la voce lastra di vetro, il rischio di farsi male risulterebbe pesante come un cappotto bagnato e affilato come un foglio di carta.
La paura non è rappresentata dal suo significato, ma dal significato che noi stessi diamo ad essa.