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Solitaria
1
Una pietra cadde nello stagno…
Si svegliò e capì di essere solo.
---... solo…sono morto…---
Non era il senso di solitudine che si prova quando il letto è freddo e non c’è nessuno accanto da cui poter spillare un po’ di calore umano… no, era solo, assolutamente solo. Non capiva il perché lo sapesse così nettamente e assolutamente ma fu la prima sensazione che ebbe appena aprì gli occhi e si mise a fissare il tetto.
Tutto attorno a lui si trasformava, faceva caldo, si trovava all’inferno. La luce arrivava da un punto che egli non poteva vedere ed era rossa, arancione, verde, azzurra, era luce di fiamma, luce di dannazione
---…probabilmente uno scherzo dei miei occhi…---
Un odore di vecchio impregnava l’aria. La schiena gli doleva e si sentiva stanco e pesante. Con un non piccolo sforzo alzò la mano destra e se la portò davanti agli occhi e la guardò, anzi l’ispezionò tutta come se la vedesse per la prima volta in vita sua. Aveva le unghie lunghe e sporche. Dietro di lui vedeva solo buio, nessun ricordo. Si tastò la faccia tutta imperlata di sudore.
---... ho la barba devo tagliarla…---
Chiuse gli occhi, si appoggiò la mano sul petto, aspettò e ascoltò.
---... sono o non sono morto?... ---
Il silenzio era di tomba… o quasi. Sentiva solo il suo respiro e il tambureggiare ritmico del suo cuore. Faceva rumore, il suo corpo faceva il rumore di una vecchia macchina diesel in bruttissime condizioni che lo percuoteva e gli rimbombava nel cervello.
Il flashback
---…una volta ero in acido a casa di Betty e stavamo guardando la tv solo che io non la guardavo io ero quelle linee bianche che passano ogni tanto sullo schermo ero un disturbo e mentre pensavo a tutto questo l’unica cosa che sentivo che mi teneva aggrappato alla realtà era il mio respiro il battito del mio cuore e le onde di sangue che s’infrangevano nelle mie tempie…---
fu fortissimo e lo spaventò; il cuore e il suo respiro si fecero sempre più presenti. Non era un suo ricordo, lo sapeva benissimo! Non sapeva cosa volesse dire essere in acido, non conosceva nessuna Betty… Se non erano suoi i ricordi, allora di chi erano?
Si sforzò di ricordare qualcosa che appartenesse a lui ma non ci riuscì. Era come pensare al sapore di qualcosa: pensi di sapere com’è, sai com’è, ma quando tenti di afferrarlo tutto, allora ti rendi conto che non ce l’hai veramente, che non è tuo, che è solo una sensazione lontana. Per lui era così: sapeva ma non ricordava. E il ricordo era lontano.
---…però se penso e sudo vuol dire che sono vivo…---
Aprì di nuovo gli occhi e scostò le coperte. Tutto sapeva di polvere. Si puntellò con i gomiti, si alzò e urlò…
Lo scricchiolio che fece il letto sotto il suo peso gli trapanò le orecchie e gli entrò dentro il cervello, in profondità. Un fischio come di corde di una chitarra scordata iniziò a penetrarlo e il suo corpo iniziò a tremare e lui ricadde nel letto e il rumore che fece fu più forte di un esplosione nucleare e gli occhi lacrimavano e lui rimase zitto ad attendere la fine della tempesta, piangendo in silenzio, silenzio che era assoluto come assoluta la sua solitudine, una solitudine che gli attanagliava la mente e non lo lasciava respirare, lo soffocava.
S’immobilizzò attendendo che il fischio si attenuasse; poi, lentamente e prestando la massima attenzione a non produrre il minimo rumore, girò la sua testa corvina verso sinistra. Il cuscino e le lenzuola erano di un rosso acceso che gli faceva bruciare gli occhi; a fianco al letto c’era un comodino di legno tutto impolverato su cui era appoggiata un’abatjour, un bicchiere d’acqua pieno a metà di un liquido marrone che, probabilmente, prima si sarebbe potuto definire acqua e un libro che aveva un titolo illeggibile, ricoperto tutto di polvere
---... tutto ricoperto di tempo…---
Impiegò cinque minuti a mettere il primo piede per terra, e fu soddisfatto nel sentire una tiepida moquette al posto di un gelido pavimento di piastrelle; i muscoli duri come il marmo, il mal di testa opprimente (tu-tum tu-tum) e la paura di provare ancora quel dolore incredibile e nauseante lo fecero procedere con la cautela di un funambolo che si trova a trenta metri dal suolo con un solo piede appoggiato su un filo interdentale. Dopo dieci minuti era in piedi, sotto di sé la moquette impolverata.
Era strano, non era stato come ridestarsi da un sogno ma più che altro come dormire, dimenticare un po’ di se stesso, risvegliarsi e comprendere che il mondo è andato avanti e che noi siamo gli unici a essere rimasti indietro. Anzi, ad essere gli unici punto e basta.
La stanza non era molto grande ed era abbastanza spoglia. Oltre al letto e al comodino, un armadio a due ante e una sedia su cui erano appoggiati dei vestiti completavano l’essenziale arredo della camera da letto. La luce che illuminava la stanza proveniva da una finestra. Si avvicinò piano e quando guardò fuori rimase sconvolto.
Tutto era avvolto in una luce irreale, color seppia, oro, arancio, verde, azzurro… la luce si trasformava sotto i suoi occhi, anzi, pulsava, come se fosse viva. Il mondo cambiava il suo volto. Il cielo era tutto percorso da nubi e il sole non si vedeva.
---…la luce…in campagna, si si, mi ricordo, in campagna… un giorno mi sono svegliato al tramonto e la luce era la stessa… ero con… Con chi? Chi ero? Chi? Cioè, chi sono? Effequalcosa…cazzo…---.
In quel momento si accorse di essere nudo e si sentì a disagio. Indossava solo un paio di calze nere
---…mia mamma mi ha sempre detto di non dormire con le calze ma io ho sempre avuto paura fin da piccolo fin da quando una notte sentì quella cosa viscida strisciarmi sul piede mentre stavo per addormentarmi da allora senza calze non mi sento sicuro…---.
Si diresse a piccoli passi verso la sedia, lasciando delle leggere orme sulla moquette sporca.
Il fischio era diminuito e il mal di testa stava allentando la sua presa. Si vestì in fretta: un paio di jeans logori, una camicia verde a scacchi e una T-shirt nera.
Ispezionò la stanza in cerca delle scarpe ma l’unica cosa che trovò fu un pacchetto di sigarette sotto il letto e fortuna volle che, tale pacchetto, fosse pure provvisto di accendino bic verde.
Fu strano, non si ricordava niente di lui, chi era, cos’era successo
---…perché qualcosa era successo qualcosa di storto e su questo non ci pioveva…---
e, soprattutto, non si ricordava nemmeno che fumava, ma appena vide il pacchetto di sigarette iniziò a bramare la sua amica bionda, la voleva ardentemente. Mentre si accendeva la sigaretta sbavava e quando la carta e il tabacco iniziarono a bruciare l’odore che produssero gli fecero dimenticare per la prima volta da quando si era svegliato che era solo. Furono cinque minuti in cui non pensò a niente se non a gustarsi la sua paglia.
Inspirò l’ultima boccata d’aria inquinata e poi spense la sigaretta buttandola dentro il bicchiere sul comodino. Doveva ricordarsi di procurarsi delle sigarette perché quelle trovate non erano molte.
Provò ad accendere la luce dall’interruttore che si trovava sopra il letto ma le lampade non si illuminarono. Se l’aspettava, tutto sarebbe andato storto.
Prima di lasciare la stanza lanciò un ultima occhiata al panorama che si trasformava oltre la finestra
---…mi sono sbagliato non è viva …sta morendo…---
poi si trovò in un corridoio scuro. Sulla sinistra c’era una porta bianca semiaperta e dalle piastrelle che riusciva a intravedere
---…tipiche piastrelle da bagno…---
capì che quello era il bagno.
Spinse la porta con due dita, dolcemente, sperando di non fare rumore e ringraziando nel frattempo la moquette che attutiva i suoi passi. Così com’era avvenuto per le sigarette, appena vide il cesso rischiò di farsela addosso e dovette correre in punta di piedi, il pavimento gelido
---…mi sto pisciando addosso, cazzo, non devo fare rumore…---
Si sbottonò la patta, prese in mano il suo membro moscio e pisciò, godendo, sentendosi svuotato e leggero, pronto a conquistare il mondo. Per terra, ai piedi del gabinetto, giaceva un rotolo di carta igienica nero. Nella vasca da bagno le tendine erano marcite e alcuni anelli di sostegno avevano ceduto; un asciugamano giallo era appoggiato sul bordo della vasca vicino ad una candela chissà da quanto tempo spenta. Dietro di lui il lavandino incrostato e uno specchio sporco e impolverato. La sua immagine distorta lo guardava mentre lui constatava che era rimasto indietro con le bollette dell’acqua. Con la manica della camicia aprì uno squarcio tra lo sporco e poté ricordarsi com’era. Aveva i capelli scuri (non riusciva a capire se castani o neri per colpa della strana luce che avvolgeva la realtà) e due profonde occhiaie gli cerchiavano gli occhi (verdi?) iniettati di sangue. La barba
---…devo tagliarla a lei non piace a… non piace a chi? ---
era ispida e lunga.
“Chi sei?” chiese alla figura che lo guardava, alla figura estranea, come estranea era la voce che sentì uscire debole dalle sue labbra, una voce aliena, lontana.
Uscì dal bagno e percorse il corridoio guardandosi attorno, cercando di far risalire a galla quei flashback improvvisi. I quadri che erano appesi alle pareti non gli furono d’aiuto tranne che per un piccolo ricordo
---…lui voleva farcelo pagare 100 euro ma io insistevo sui 80 perché era un falso una stampa ‘Dalì vero’ diceva lo spagnolo… alla fine lei l’ha convinto a scendere fino a 50 ed io ero felice e quando lo raccontavamo agli amici scherzavamo su di chi fosse il merito…---
che lampeggiò nella sua mente.
Alla fine del corridoio giunse in sala. In mezzo ad essa si trovava un tavolo rotondo apparecchiato con avanzi di chissà che cosa e una bottiglia d’acqua. Un brontolio sommesso si alzò dal suo stomaco e la fame e la sete lo presero tra le loro forti braccia nerborute. Si avvicinò al tavolo correndo e girò subito la testa di lato coprendosi la bocca e trattenendo un conato di vomito: il tavolo era ricoperto di vermi bianchi che si contorcevano e che mangiavano e che rumoreggiavano di viscido.
Inghiottì l’acquolina che gli si era formata in bocca disgustato dalla sola idea di quei vermi
--- …che si mangiano la mia carcassa… ---
Si diresse verso il frigorifero bianco, grande, da consumatore vorace.
Appena l’aprì questa volta non riuscì a trattenersi e vomitò
---…com’è possibile? Non mi ricordo niente non mi ricordo di aver mangiato non mi ricordo quando mi sono addormentato… e poi… la barba le unghie… ho dormito tanto ed è impossibile che io non abbia digerito questo cibo…---
una vera e propria cena.
Gli acidi gastrici gli bruciavano la gola e la bocca era diventata guasta. Si coprì il naso con il colletto della camicia e riaprì il frigo: l’odore era pungente e nauseante, tutto là dentro era andato a male, non c’era niente che era sopravvissuto al Tempo… Inesorabile, prima o poi l’ha vinta su tutti il Tempo…
Ormai i borbottii si erano trasformati in ululati e presto sarebbero diventati crampi se non si fosse mosso in fretta per cercare velocemente qualcosa da mettere sotto i denti.
Iniziò ad aprire gli sportelli sopra il piano cucina e trovò subito la sua salvezza: scade il 31/12/2012. Scatolette di tonno, di carne, di fagioli!
Aprì un cassetto dove trovò delle posate tutte impolverate; prese una forchetta e la pulì con la camicia e dopodichè assaggiò un po’ di tonno con la punta della lingua. Quindi, si divorò la scatoletta e poi un’altra con un pacchetto di cracker integrali.
La sete aspettò poco a farsi sentire. In fondo al mobiletto magico trovò tre bottigliette di Energizer da mezzo litro che si scolò in cinque minuti e che ringraziò con un rutto sommesso e lungo.
Ora era a posto, l’unica cosa che voleva era sedersi cinque minuti perché la testa gli girava terribilmente pure se i tamburi avevano smesso di suonare.
Si buttò sul divano impolverato e chiuse per un attimo gli occhi, buttandosi in una dimensione fatta di strane esplosioni di luci e colori e forme. Ancora non lo ricordava ma da piccolo prima di dormire si divertiva a fissare la lampada accesa montata sopra il suo letto e poi a chiudere gli occhi e guardare quelle decine di figure che si trasformavano sotto le sue palpebre (un dinosauro poteva benissimo diventare un uomo con bombetta il quale, a sua volta, si trasformava senza problema in una strega o in un gremlins). Quando l’immagine di una chiave svanì inghiottita dall’oscurità, egli aprì gli occhi.
---... ok cerchiamo un paio di scarpe e vediamo di uscire da qua e di trovare qualcuno a cui chiedere… a cui chiedere aiuto si mi sa che è proprio una di quelle situazioni in cui puoi solo chiedere aiuto per quanto sono assurde da credere e spiegare… scendiamo in strada…---
Le scarpe le trovò subito nel ripostiglio vicino alla porta d’ingresso, un vecchio paio di Adidas consumate.
Si leccò le labbra, inghiottì saliva e si fece coraggio.
Aprì la porta e fu sputato fuori casa.
La porta dietro di lui si chiuse.
Tonf!
Con meraviglia si accorse che il rumore non gli aveva procurato nessun dolore, ma solo fastidio e odio perché la sua presenza sanciva già quello che sapeva e che gli faceva male: sei solo, scemo!, ecco cosa sembrava dire. Sei solo e io continuerò a dirtelo quando cammini, quando starnutisci, quando schioccherai le dita e quando urlerai che mi odi… ascoltami bene perché io sono il Silenzio…
Chiamò l’ascensore e si appoggiò alla parete di fronte ad aspettare il suo arrivo.
…
Con un imprecazione si scostò dal muro contro cui era appoggiato: niente elettricità oggi! Si girò in direzione delle scale (era strano come, pur non ricordando niente, inconsciamente sapesse molte cose senza rendersene conto).
Attaccato alla porta c’erano due cartelli, uno sopra l’altro, che dicevano PIANO 60 e USCITA DI SICUREZZA?" GIU’ PER L’ESODO. Spinse i maniglioni antipanico e iniziò a scendere le scale di marmo impolverate mentre i suoi. Scendeva e scendeva, sempre più velocemente, gli sembrava di scendere fino al centro della terra, si aspettava da un momento all’altro odore di zolfo, caldo sempre più soffocante e qualche diavolo dispettoso con rispettivo tridente che si divertisse a punzecchiargli il culo. La sua testa girava e i muscoli delle sue gambe scricchiolavano mentre continuava a scendere ancora e ancora, sempre più giù, sempre di più. La eco dei suoi passi si spegneva lontano, lentamente, non c’era nessuno.
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All’improvviso si accasciò su di uno scalino, i muscoli che urlavano, i polmoni che cercavano di afferrare più aria possibile, il sudore che gli scendeva dalla fronte e gli cadeva negli occhi bruciandoli. Non avrebbe mai pensato che scendere quelle scale infinite fosse così difficile. Il suo corpo tremava.
“OOOOOOOOOHHHHHH” urlò e il silenzio gli riconsegnò la sua voce.
Si protese oltre il passamano e guardò giù, una spirale di scale che si perdeva nell’oscurità, una spirale di scale senza fine. “VAFFANCULOOOO!”
Si rialzò e ricominciò la discesa.
---…e se fosse tutto un incubo? Come un racconto che avevo letto… il protagonista scendeva le scale e continuava a scenderle senza arrivare mai al piano terra… scendeva scendeva e alla fine davanti a lui appariva una porta di ferro arrugginita… ecco lui a quella vista divenne felice era riuscito ad uscirne finalmente e da solo senza l’aiuto di nessuno… ecco si mi ricordo che sorrideva ancora quando dopo aver aperto la porta si ritrovò davanti agli occhi altre scale che andavano sempre più giù sorrideva ancora…---
I piani si susseguivano ma lui non ci faceva più caso, il suo corpo andava avanti da solo, non era più comandato dalla sua mente persa nei ricordi, nei pensieri più strani
--- …una cicogna porta un fagotto con dentro un vecchio decrepito con il pannolino. “Ehi signora cicogna, sei ancora sicura di non aver sbagliato strada?” Ahahahahahahahaha… ---
continuava a scendere e la sua mente vagava
---... il valore d’uso della merce è quella caratteristica che… hai comprato la Nutella?… undicisettembreduemilauno i gemelli muoiono in guerra… non ho mai pensato di esserlo! Mamma perché fai così? Non dirlo a papà!… il nostro rapporto non è più come prima penso che… allora esci stasera? Andiamo a berci una birra o andiamo al cinema… il suo rendimento questo mese è calato perché?… è morto… lasciami stare voglio stare solo! Solo! SOLO!!!! ---
finché non cadde a terra senza forze, la faccia schiacciata contro il freddo pavimento, il sangue caldo che iniziava a fuoriuscire da sopra l’arcata sopraccigliare destra.
--- …And who in her lonely slip who by barbiturate who in these realms of love who by something blunt and who by avalanche who by powder who for his greed who for his hunger and who shall I say is calling? And who by brave assent who by accident who in solitude who in this mirror who by his lady's command who by his own hand who in mortal chains who in power and who shall I say is calling?... ---
La sua mente piano piano vacillò una, due volte e si spense lasciandolo in un sonno confuso e nero dove egli era sordo e muto e poteva vedersi in uno specchio urlare.
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Riaprì gli occhi.
--- …dove sono?... ---
Iniziò a ricostruire cos’era successo, quel poco che sapeva di quello che era successo.
Nella caduta aveva sbattuto la testa che ora gli doleva e gli pulsava come se una tribù di africani si fosse insediata dentro. La macchia di sangue per terra era ancora fresca.
--- … non è passato tanto tempo… ---
Si mise seduto e aspettò che il mondo intorno a lui smettesse di girare.
--- …gira gira gira e fa male… non posso prendere nemmeno un aspirina perché il dottor Brown me le ha proibite… ---
Contò fino a tre e poi si tirò su, il ginocchio che cedeva, la testa che scoppiava in mille frammenti di shrapnel.
E barcollando riprese la discesa.
E mentre scendeva il rumore dei suoi passi divenne lo zoccolo duro e caprino del demonio, il suo respiro ansimante, i soffioni della buia tana. Sudava copiosamente, la maglietta incollata al suo corpo come una seconda pelle. Andava avanti per inerzia, lo sguardo sempre fisso a terra, unico pensiero arrivare alla fine di quelle scale, non aveva importanza cosa gli si sarebbe parato davanti, quale visione macabra, quale schiaffo in faccia… no, l’importante era arrivare, finire…
Si sentiva come la vittima di un grande scherzo, del più grande scherzo del mondo. Chissà dove si erano nascosti tutti gli altri? Magari, aperta una porta se li sarebbe trovati tutti lì, ad applaudirlo e a dargli grandi pacche sulle spalle e allora anche lui avrebbe riso delle scherzo ben riuscito e…
… e capì subito che così non era e mai sarebbe successo appena il suo sguardo si posò sul foulard rosso fuoco che giaceva per terra, che stonava come la risata di un pazzo durante un film drammatico, che stonava con tutto quello che aveva intorno che già di per se era stonato…
Giaceva lì, tra il 24esimo e il 23esimo piano.
Si mise seduto su uno scalino e stette a fissarla.
--- …che cosa vuol dire?... ---
Non ne aveva proprio idea e di sicuro non sarebbe riuscita a darsi nessuna spiegazione plausibile.
Ricominciò la sua discesa stando ben attento ad evitare di toccare l’oggetto.
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…
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C’era quasi.
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La paura iniziò a insinuarsi nella sua mente poco alla volta, come un verme in una mela
--- …e se non c’è nessuno nemmeno fuori da questa torre di cemento? No no, qualcuno ci sarà e mi dovrà dare molte spiegazioni... Prima di tutto il portiere… elettricità assente e io pago le tasse, dovrò proprio dirglielo… sempre che ci sia qualcuno ---
e lui rabbrividì.
02
01
L’ultimo piano e avrebbe saputo se era solo, se era arrivato all’inferno o se era tutto uno scherzo. Il sudore che gli colava dalla fronte gli bruciava la ferita sul sopracciglio. Il cuore gli batteva forte. Aveva voglia di una sigaretta, avrebbe calmato i suoi nervi.
Fece l’ultimo scalino camminando, ormai non aveva più forza.
--- …se dietro questa porta trovo un divano, giuro che mi tuffo sopra e non mi alzo più per almeno i prossimi cinquant’anni circa… ---
Davanti a lui la porta USCITA DI SICUREZZA si stagliava alta e maestosa. Egli la guardava come se fosse stata sacra. Dietro di lei la verità, qualunque essa fosse, bella o brutta, giusta o sbagliata.
Fece tre respiri profondi e spinse il maniglione antipanico.
La porta si aprì senza produrre rumore alcuno. L’aria fu smossa. Odore
--- … questo è odore di uomo… di essere vivente perlomeno… ---
Come era successo quando era uscito da casa sua anche ora gli sembrò che una mano invisibile e potente, maleducata, lo spingesse oltre la soglia.
SCENA I
[Fred entra da destra. Nel centro del palcoscenico c’è una poltrona. Davanti a lui si apre una platea immensa di cui non si vede la fine. La platea è costituita da persone nude che hanno la testa chiusa in delle gabbie di ferro.]
Fred: (Esitante. Fa qualche passo verso la poltrona) Chi siete? (Si guarda intorno)
[Silenzio]
Fred: (Gridando) Ooooooh (L’eco si spegne lontano)
[Rumore di gocciolio]
Fred: Vi prego… Mi sentite? (Urla) Rispondete! Perché non rispondete?! (Si siede sulla poltrona) Perché mi guardate? Perché non rispondete? (Si asciuga la fronte sudata con la maglietta. Trema) Rispondete! Chi siete? Cosa è successo qua? Perché…
[Una voce lontana si alza dalla platea. Fred si alza di soprassalto e tende l’orecchio. La voce è molto fastidiosa]
Voce: Niente di cui preoccuparsi caro Fred… Siamo semplicemente… scomparsi…
Fred: Chi ha parlato? Fatti vedere… (Si guarda intorno)
Voce: Non c’è bisogno che io mi mostri…
Fred: Scomparsi?
Voce: Si… puff, scomparsi, spariti, volatilizzati, più, basta, fine, la terra è vuota…
[Silenzio]
Fred: (Si ributta sulla poltrona, è allo stremo delle forze, le mani gli tremano) Scomparsi? (Inizia a piagnucolare)
Voce: Mmh mmh… Difficile da accettare, eh? Più semplice da capire, forse.
Fred: (La sua voce è molto debole) E perché?
Voce: E chi lo sa? Io? Dio? E tu bionda? Tu no? Non rispondi?
[Silenzio. Il gocciolio si fa più presente]
Fred: (Fra sé e sè) Ho freddo
Voce: (Sussurrando) Non parlano (Gridando) ma non sentono nemmeno! (Sospirando) Non provano emozioni… una chitarra senza corde, sisi…
Fred: Mi sento solo
Voce: (Urla) Non vale ora… (Dolcemente) È semplice dirlo ora… È come l’uomo che si pente prima di essere impiccato… L’errore è stato fatto ormai e il perdono verrà forse accettato ma la punizione… quella deve essere attuata, sisi…
Fred: (Piangendo) Perché? Cosa ho fatto? Cosa abbiamo mai fatto? Eravamo perfetti! (Gridando) Perfetti! Perfetti!
Voce: Non lo eravate, lo credevate… Avete vissuto per secoli e secoli nell’odio… Ma l’esistenza di questo odio alimentava l’esistenza dell’amore… L’uomo aveva un motivo per vivere, aveva uno scopo nella sua esistenza, non il semplice procreare ma il vivere per qualcuno, il vivere per emozionarsi…
Fred: Amore? Odio? Solitudine? So cosa sono le emozioni! Le ho studiate sui libri di…
Voce: (Tono di voce concitato) Studiati? Tsk! E il tuo cuore ha preso fuoco dopo? Il tuo petto è scoppiato? Hai iniziato a tremare senza motivo? Ha desiderato ardentemente il calore di un’altra persona? Li hai provati? (Tono di voce calmo) Forse ora si, ora che sei vicino alla fine forse ti penti, forse avresti voluto provarli. Ma è inutile ormai… Se deve rinascere qualcosa in questo mondo l’erba malata deve essere estirpata…
[Silenzio]
Voce: Pensavate di aver costruito la società perfetta. Nel grande oceano non nuotavano più predatori, ma tanti bei piccoli pesciolini, oh che belli!... tutti uguali…e i pesciolini nuotavano e nuotavano, senza aver più paura che un grande pesce uscisse dalle profondità gelide del loro mondo a mangiarseli tutti quanti, uno-per-uno… Erano felici perché finalmente erano tutti uguali… sapevano tutti le stesse cose, pensavano allo stesso modo, mangiavano lo stesso cibo, avevano gli stessi gusti… Erano ignari del fatto che il pesce grosso era diventato invisibile e li stava ingravidando tutti con il suo sperma… erano spacciati già da molto tempo… ma nessuno se ne accorse… mai una madre ucciderebbe il suo bambino... Dentro di loro iniziò a crescere e a nutrirsi finchè non venne alla luce… L’Apatia…
[Silenzio]
[Gocciolio]
Voce: Eravate ormai tutti uguali ed eravate diventati incapaci di provare emozione alcuna nei confronti di tutto ciò che vi circondava… Un paesaggio, una donna, un figlio, un amico… Niente, inerti, delle macchine fredde…
Fred: (Piangendo) Perché siamo scomparsi? È una colpa forse? Noi vivevamo comunque…
Voce: Ti piace provare emozioni? Ti rialzeresti da quel letto altre milioni di volte vero? Faresti quelle scale altre mille volte se ti fosse permesso… Parleresti ancora con me soltanto per poter sfiorare questa emozione che ti brucia dentro… che persone prima di te avrebbero chiamato odio… Non è vero?
Fred: (Si alza dalla poltrona e gesticola verso la platea) Tu menti! Stai solo dicendo il falso per confondermi! Quello che dici è tutto falso!
Voce: Ho fallito… ed è tutto vero… e triste… Forse ora capisci quanto sia importante stare con gli altri, avere un pubblico, avere qualcuno da deridere, da amare, da odiare, qualcuno che ti guardi pure solo con la coda dell’occhio, qualcuno che si mostri non indifferente nei tuoi riguardi, che sa che esisti e che stai facendo qualcosa… Invece tutto quello che facevate era vostro e basta, non aveva nessun fine, nessun destinatario. Una volta la tua maestra di Leggende e folklore antico vi aveva fatto una domanda a cui tu non avevi mai dato una risposta, ricordi? (Fred sta zitto, si butta in ginocchio davanti alla poltrona, le mani per terra, la testa bassa, trattiene le lacrime) Se un albero cade in un bosco dove non c’è nessuno fa rumore?
[Silenzio]
Voce: Prima avresti risposto di si, la logica dice di si… ma adesso potresti contestare qualcosina, non è vero?
[Silenzio]
Voce: Caro Fred, cara professoressa e cari compagni… No, non fa rumore… e pure se lo facesse non servirebbe a niente, non esisterebbe. No, non fa rumore, cade e basta e nessuno se ne accorge perché nessuno è presente… Se non sei percepito non esisti, se non sei sentito non esisti, se sei solo non esisti e questa è una verità che hai appreso in tre orette circa, una verità che vi è stata nascosta per tutta la vita…Ora, tu non esisti!
Fred: (Fred alza la testa, gli occhi rossi. Con un filo di voce) Io non esisto…
[Il sipario si chiude e tutto è nero]
[Gocciolio]
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