racconti » Racconti brevi » Gallerie
Gallerie
Il traffico era quasi inesistente.
Di tanto in tanto, qualche auto sfrecciava nella carreggiata opposta e talvolta, capitava di vederne qualcuna anche nel proprio senso di marcia.
Il sole scendeva mesto, mischiandosi ai freddi colori del mare. Erano quasi le 21. Quella sera non si vedevano stelle e la lugubre atmosfera minacciava l'arrivo di un temporale notturno.
Non c'era spazio per la luna. Il gigantesco letto d'acqua salata acquisiva toni cupi e tetri, assumendo le sembianze di una vasta distesa di petrolio.
Ancora pochi chilometri e poi la strada si sarebbe addentrata in una serie di lunghe gallerie, alcune delle quali, in ristrutturazione.
Marina lo sapeva e la cosa la spaventava, ma non aveva altra scelta. La strada più veloce era quella.
Era di ritorno da un week-end favoloso a base di abbuffate di pesce, sole, mare, e tanto divertimento. Tre splendidi giorni alle cinque terre con Matteo, il suo ragazzo, marinaio in licenza e in odore di promozione.
Ed ora si ritrovava da sola, in viaggio verso casa, pronta a dover affrontare quella decina di bocche oscure che trapassavano le montagne.
Nutriva una particolare ossessione per le gallerie, specie per quelle lunghe e poco illuminate. Spesso le capitava in sogno, di percorrerne una senza mai uscire, senza mai vedere un solo spiraglio di luce.
Aveva quasi raggiunto la prima, lunga solo 800 metri. Era la più corta. Un piccolo antipasto di ciò che la aspettava.
La luce giallastra degli anabbaglianti perse efficacia, non appena l'auto varcò la soglia. L'illuminazione era talmente potente che si sarebbe potuto viaggiare a fari spenti. Marina la percorse in pochi secondi, accelerando il più possibile per guadagnare al più presto la tanto bramata uscita.
All'esterno, però, la attendeva una violenta pioggia che la costrinse a rallentare, vista la scarsa visibilità del manto stradale. Le linee bianche che delimitavano le corsie, infatti, erano offuscate dalla polvere e dal terriccio che i TIR stracolmi di sabbia lasciavano cadere costantemente durante il loro lento viaggio.
Le gocce picchiettavano con insistenza sul parabrezza, espandendosi come piccole macchie d'olio, impedendo alle spazzole dei tergicristalli di aver il tempo necessario per pulire bene.
Il forte temporale disturbava il segnale radio e Marina si ritrovò in compagnia di un fastidioso e monotono fruscio.
Seconda galleria. Un cartello bianco, fissato nei pressi dell'entrata, dichiarava 1540 metri. Marina iniziò ad ansimare, riuscendo a percepire nel petto il ritmo dei battiti che il suo cuore scandiva.
Era dentro. Questa volta la scarsa luce rendeva le cose ancor più complicate.
Le immagini che arrivavano dagli specchietti retrovisori erano come telecamere spente, dietro di sé l'oscurità avvolgeva tutto quanto. La fioca luce dei fanali anteriori, lasciava intravedere ombre sinistre che si componevano distorte sulle pareti del tunnel.
L'auto aveva percorso solo 600 metri. Le rimaneva ancora quasi un chilometro. Per lei, era un eternità.
Era avvolta nel silenzio. Le casse continuavano a ronzare e sulla strada non c'era anima viva.
Altri duecento metri. Ma la soglia era ancora un amica sconosciuta.
Spinse in maniera decisa l'acceleratore, raggiungendo i 130 km/h. Voleva lasciare al più presto quell'incubo.
L'uscita era dopo una curva secca. Troppo secca per essere affrontata a forte velocità.
Le sue palpitazioni erano ormai pari a quelle di un ragazzino davanti al suo primo film dell'orrore; aveva il corpo attraversato da gelide vibrazioni e gli occhi inchiodati al vetro, nell'attesa di scorgere la tanto desiderata via di fuga.
La strada scorreva e si percepiva a vista d'occhio che le pareti del tunnel si stavano schiarendo. Le rocce assumevano tonalità sempre più pallide e si iniziava a intravedere qualche riflesso di luce.
Marina diede un altro colpetto all'acceleratore. Quest'ultimo, le fu fatale.
L'intera galleria era ormai avvolta dalla luce, ma l'uscita, stranamente, non si vedeva ancora. Ora le sembrava di sentire qualche rumore in più, una sorta di bisbigli, sottili frammenti di frasi sussurrate da più voci, delle quali non capiva la provenienza.
Proseguiva dritta e spedita, ancor più veloce di prima. Ora la strada era illuminata di un bagliore intenso, che le impediva di capire dove si trovasse.
L'ultimo suo ricordo era quello di aver imboccato una curva e di aver visto da lontano un barlume di luce. Poi più nulla.
La sua mente non le restituiva nessun altra immagine. E lei continuava il suo viaggio, senza chiedersi il perché.
Matteo, aveva gli occhi umidi. Era dura trattenerle, ma le sue lacrime volevano anche loro essere degne protagoniste. Ne avevano tutto il diritto.
Era vestito con l'abito bianco. Quello di rappresentanza.
Guardava con dolore la sua dolce amata. Era piena di tubi. La linea verde, sul monitor si alzava e si abbassava, a ritmi regolari.
Il padre di Marina era in piedi, con le braccia incrociate sul petto e le spalle alla finestra. Il dito indice picchiettava sul bicipite sinistro e gli occhi erano fissi sulla figlia. Il suo sguardo, cupo e preoccupato, si accompagnava a quello della moglie, seduta al suo fianco. La scarsa luce che penetrava attraverso il vetro proiettava le loro ombre, allungandole fino a sormontare il letto, come se volessero in qualche modo proteggerla con i loro corpi.
Accanto alla porta d'ingresso, due vecchie zie erano intente a recitare il rosario, e riempivano l'ambiente con le loro monotone e incalzanti litanie.
Ogni tanto, spuntava un medico che dava un occhiata alla cartella clinica della paziente, mentre un infermiere, controllava flebo e monitor. Poi i due uscivano insieme, senza pronunciare una sola parola.
La porta si richiudeva e tutti quanti ripiombavano nel terribile silenzio. Quel silenzio, che spesso faceva più paura di mille parole.
Mentre Matteo scrutava ogni angolo della stanza, le sue attenzioni si fermarono per un istante su di una figura a lui poco gradita, che dall'alto contemplava, con i suoi occhi colmi di pietà, la disperazione di tutti. La osservava con una certa indifferenza e per un istante fu quasi sul punto di abbandonare la stanza.
Nel frattempo, ripensava a quello che era successo qualche giorno prima.
Si era precipitato come un forsennato sul luogo dell'incidente, mentre i vigili del fuoco tagliavano la fusione di lamiere.
Il muso dell'auto formava un corpo unico col retro del camion. La ragazza era intrappolata al posto di guida, con il viso affondato nell'airbag.
Una corsa disperata verso l'ospedale più vicino e senza tanti preamboli, l'operazione. La milza era spappolata ed entrambe le gambe rotte. Aveva perso molto sangue.
Marina rimase più di sei ore in sala operatoria. I medici le salvarono la vita, ma non riuscirono a risvegliarla dal coma in cui era precipitata a causa dei molteplici problemi che il suo corpo aveva subito. Le sue condizioni rimanevano gravissime.
La sua giovane vita era appesa ad un filo sottile, manovrato dalle mani di Dio. La scienza e la medicina avevano già fatto tutto il possibile e ora, forse, c'era solo bisogno di tanta fede. Ma in quella stanza, c'era qualcuno che non sapeva nemmeno cosa fosse.
Matteo non credeva in nessun Dio e in nessuna divinità simile. Il suo concetto di vita era molto semplice e pragmatico.
Sosteneva che anche l'anima dell'uomo aveva un inizio ed una fine: nasceva e moriva insieme al corpo che la ospitava. Riteneva poco attendibile il fatto di credere in quello che la maggior parte della gente, chiamava aldilà. Secondo il suo punto di vista la vita dell'essere umano era raffigurata in quattro passaggi fondamentali: si nasce, si cresce, si invecchia e si muore. Non esisteva nessun paradiso o inferno dove poter continuare.
Sin da piccolo aveva sempre avuto una forma di ostilità verso i crocefissi e gli oggetti di culto. Si era sempre rifiutato di andare a messa con i genitori e di frequentare le lezioni di catechismo. Suo malgrado però, fu obbligato ad essere presente durante l'ora di religione a scuola; purtroppo per lui, era uno degli ingredienti necessari per la sua promozione. La sua visione nella vita di tutti i giorni escludeva l'aspetto spirituale che le cose, le situazioni e le persone avrebbero potuto mostrare.
Ed ora si ritrovava, senza capirne il senso e senza poter fare niente, ad osservare con quanta passione le due donne anziane di fronte a lui, in quella stanza di ospedale, lodavano quella piccola raffigurazione in bronzo del loro Gesù e con quanta parsimoniosa pazienza recitavano di continuo le loro preghiere, a lui completamente sconosciute.
Erano passati tre giorni dall'operazione, ma i medici con il loro atteggiamento schivo, non lasciavano intravedere segnali di ottimismo.
Matteo si era trasferito temporaneamente a Genova, nell'appartamento di Marina. Tornava a casa tutte le sere, con la morte nel cuore. Non riusciva più a mangiare. Quando si metteva a tavola e il suo sguardo cadeva su quella sedia vuota, che di solito ospitava il dolce sorriso di Marina, lo stomaco chiudeva i battenti. La maggior parte delle volte si alzava e apriva il frigorifero, versava del latte in una tazza, lo intiepidiva e lo beveva. Poi andava a dormire, sperando di sentire il telefono squillare e una voce gioiosa dall'altro capo del filo che gli comunicava il risveglio di Marina.
Invece niente, l'atmosfera di quella stanza era sempre la solita : una triste fotografia, con la protagonista della scena stesa a letto, tenuta in vita da una serie di macchine attaccate al corpo, e una dozzina di occhi colmi di dolore che vegliavano su di lei, nella speranza di un miracolo.
Trascorsero alcune settimane e il senso di vuoto che avvertiva, cresceva sempre di più. Solo in quella camera d'ospedale, inaspettatamente e lentamente, il disagio si attenuava. Frequentandola tutti i giorni, ebbe la sensazione che in quella stanza succedesse qualcosa che non riusciva ad identificare, ma sentiva che in qualche modo riusciva a rasserenarlo. Era come se tra quelle mura, ciò che percepiva lo aiutava a sentirsi meno solo.
Ci mise qualche giorno per comprendere ed accettare ciò che gli stava accadendo. In particolare, fu un sogno a rivelargli tutto quanto.
Era sul ciglio di un crepaccio.
Ad una decina di metri, sull'estremità opposta, vedeva Marina, a piedi nudi e vestita in modo semplice, come piaceva a lui. I lunghi capelli biondi svolazzavano e la maglietta aderiva perfettamente al suo corpo, mostrando la genuinità delle sue curve. Lei non sorrideva, ma lo guardava con aria perplessa, come se non capisse perché non facesse niente per raggiungerla. A dividerli, una sottile fune traballante.
Osservava impaurito quel pezzo di corda sfilacciato che ondeggiava sotto i suoi piedi e che lo separava da lei, ma non trovava il coraggio di proseguire e non capiva il perché dovesse affrontare quel percorso.
Poi, quando una voce, comparsa dal nulla, lo incoraggiò a credere di potercela fare, tutto gli fu chiaro...
Il mattino seguente si svegliò e si presentò all'ospedale prima del solito. Si sentiva come un aspirante scrittore con in testa l'idea per il suo primo romanzo, impaziente di gettare su un foglio bianco tutto quello che aveva da raccontare.
Quel giorno niente ascensore e niente code per attenderlo. Salì le scale con rapidità, ansioso di arrivare e di tirare fuori tutto quello che aveva dentro.
Quando varcò la soglia della stanza, tutto quanto gli sembrò immobile e silenzioso più del solito. Aveva l'impressione che ogni cosa e persona al suo interno, sapesse del suo arrivo e fosse in attesa di ascoltarlo.
Con gli occhi lucidi, puntò dritto verso il letto e posò un bacio sulla fronte di Marina. Poi si inginocchiò al suo fianco e prese tra le sue, la mano di lei.
" Signore " disse guardando Gesù negli occhi, "da troppo tempo ho camminato da solo, sulla strada sbagliata. Ma ora che il mio cuore ha capito i miei errori, vorrei attraversare questo difficile momento della mia vita accanto a te.
Ti prego, aiuta questa ragazza a risvegliarsi e se lo ritieni giusto, donale la possibilità di costruire il suo futuro insieme a me."
Subito dopo aver pronunciato quelle frasi, lasciò la mano di Marina e si inginocchiò di fianco alle zie e si mise a pregare con loro, lasciando tutti quanti di stucco.
Un anno dopo, esattamente nello stesso giorno, come se il destino avesse voluto farlo di proposito, Matteo correva nuovamente verso l'ospedale.
Marina era sul sedile posteriore, con le gambe leggermente allargate e le mani sulla pancia. Le sue dita accarezzavano con dolcezza la piccola creatura che stava per arrivare.
Matteo spingeva l'auto divincolandosi nel traffico, preoccupandosi di controllare attraverso lo specchietto, la sua futura moglie che svolgeva il ciclo di respirazione che le avevano insegnato al corso preparto.
Dopo essersi risvegliata dal coma e dopo essersi ristabilita completamente, Marina aveva ripreso la sua attività di maestra d'asilo e aveva iniziato i preparativi per il matrimonio. Era sempre stata titubante sulla decisione di sposarsi, ma dopo quello che era successo, aveva piacevolmente cambiato idea.
Ricordava poco o niente dell'incidente. Le ultime immagini che la sua memoria aveva conservato provenivano dal suo inconscio, qualche attimo prima di risvegliarsi dal coma. C'era un uomo, in piedi, in fondo al tunnel di luce in cui lei camminava. Mentre lo raggiungeva lo sentiva pronunciare con disperazione il suo nome. Lo riconobbe e fu felice. Poi con grande stupore vide ciò che in vita sua non avrebbe mai immaginato: quell'uomo aveva un rosario al collo. Quell'uomo era il suo futuro marito.
Lasciando increduli tutti quanti, Matteo aveva abbandonato la carriera militare.
Prima dell'incidente, le sue ambizioni erano quelle di diventare un alto ufficiale della Marina e di poter vivere di quel lavoro.
Poi, dopo aver scoperto l'importanza di credere in Dio e dopo quello che era accaduto, aveva deciso di trovarsi un lavoro normale e di impiegare parte del suo tempo libero per aiutare le persone in difficoltà.
Si iscrisse ad una associazione di volontariato che operava nei reparti ospedalieri che ospitavano malati terminali.
A tutti quanti, raccontava la sua conversione ed insegnava a credere in Gesù.
Diceva di aver trovato il coraggio e la volontà di camminare in equilibrio su di una fune, tesa tra due montagne. Diceva a tutti di aver scoperto il cammino della fede.
123456
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0