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Un fuoco nel bosco
Il Sole stava calando sul cielo d'estate, screziato qui e là di nuvole bianche e soffici, cui i giochi di luce conferivano un colorito bluastro, mentre lassù, in alto, i primi astri avevano iniziato a brillare, come a volere delimitare il confine tra la notte ed il dì.
Lo scenario era quello di un bosco di abeti, percorso da un sentiero a zig-zag che si protraeva per una decina di chilometri circa, separando il piccolo paesino di Loggiano dalla cittadella locale.
Giuseppe ed Antonio, due contadini di un paese poco distante, avevano appena lasciato Loggiano tra le lacrime e l'amarezza d'una persona cara appena perduta: avevano, infatti, assistito al funerale di un loro vecchio amico, Lorenzo, residente proprio in centro di Loggiano.
A nessuno era stato consentito di vedere la salma del defunto: a quanto pareva, era una misura cautelare per evitare d'infondere il panico tra i presenti.
Stando alle dicerie della moglie e della stretta cerchia di testimoni, Lorenzo era stato ritrovato ai margini della boscaglia, probabilmente di ritorno da una battuta di caccia, orrendamente mutilato.
Gli esperti avevano avanzato l'ipotesi dell'aggressione d'un orso, sebbene in quei paraggi non se ne vedessero più da decenni, oramai; fatto stava che, secondo le testimonianze, lo sventurato era morto dissanguato, probabilmente a causa delle numerose ferite che aveva riportato su tutto il corpo, mentre le ossa, quasi per uno strano scherzo del destino, sembravano essere state tutte rotte, come a volere certificare che, in agonia del dolore, l'uomo non avrebbe in alcun modo potuto raggiungere qualsiasi rudimentale forma di soccorso.
E, per altro aspetto, come altrimenti avrebbe potuto fare? Le gambe, infatti, gli erano state strappate di netto, con una furia sovraumana: per questo l'ipotesi più plausibile era stata, oltre ai vari segni identificativi di morsi e contusioni, quella dell'attacco d'un orso.
Ad ogni modo, Giuseppe ed Antonio ancora non riuscivano a credere alla sfortuna della vita: avevano parlato con Lorenzo giusto due settimane prima dello sfortunato fatto, concordando, peraltro, la conclusione d'un contratto di mezzadria per condurre gli affari anche in terra extraurbana.
Erano sempre stati amici, sin dalla nascita, essendo tutti originari di Loggiano, e, sebbene con gli anni i rapporti si erano poco a poco affievoliti, tra di loro era sempre rimasta un'intesa particolare, un'amicizia incondizionata.
Dopo il funerale, avevano tardato un po', essendosi trattenuti a consolare la moglie e i figli del defunto, e per questo, quando intrapresero il cammino verso casa, si era già fatto molto tardi.
Il Sole, oramai, aveva totalmente lasciato il posto al firmamento nero e trapunto di stelle che luccicavano come diamanti, mentre il loro scricchiolare tra i rametti secchi degli abeti era accompagnato dal melodioso verso dei grilli.
Nessuno dei due osava parlare, sebbene tra di loro aleggiasse un'atmosfera di tensione, in cui si materializzava unicamente un solo pensiero: "lui non c'è più".
Avevano appena attraversato il fiume che delimitava il confine tra i due comuni: a quel punto, sarebbero stati in totale balia del buio della foresta.
La Luna, quella sera, tardava a rischiarare il loro cammino, quasi lo facesse apposta, cosciente del fatto che nessuno degli uomini aveva con sé una rudimentale fonte di luce. Avevano sì preparato delle torce, ma, proprio prima di partire, la fretta aveva loro giocato un brutto scherzo, inducendo entrambi gli amici a dimenticarle sopra il camino del tugurio che condividevano.
Oramai, erano più di due ore che vagavano per la foresta, praticamente alla cieca, essendo, come dicevo, la luce degli astri insufficiente per permettere loro di vedere oltre un palmo dal loro naso.
In lontananza, sentirono il suono d'un campanile rintoccare i dodici colpi di mezzanotte. Sembrava tremendamente lontano: probabilmente, dannazione a loro!, si erano persi a causa del buio pesto.
Anche i grilli sembrava avessero smesso di cantare.
I due amici continuavano a cercare un contatto l'uno nell'altro, come a volersi assicurare reciprocamente che nessuno dei due restasse troppo indietro.
Proprio mentre temevano d'essere oramai perduti, e che se non fossero immediatamente usciti dalla foresta sarebbero anche loro stati sbranati dagli orsi -sempre se veramente ce n'erano-, videro tra gli alberi il luccicare di qualcosa: una luce aranciata. La luce d'una fiamma, senza ombra di dubbio.
Il tutto accompagnato da un flebile suono di tamburi e di voci che cantavano con allegria.
I due, nonostante non potessero realmente vedersi, si scambiarono un'occhiata incredula: quella aveva tutta l'aria d'essere una festa, ma chi sarebbe stato così pazzo da festeggiare a mezzanotte inoltrata in una foresta da brivido come quella? E, soprattutto, cosa dovevano fare? Proseguire per la loro strada, oppure raggiungere quel misterioso falò, esaminare di cosa si trattasse e, magari, chiedere almeno una torcia a fiamma per rischiarare il loro cammino?
Erano persi, soli, ed in balia di potenziali orsi. Che altro avrebbero potuto fare?
Iniziarono ad incamminarsi verso quel fenomeno misterioso.
Sembrava che il vociferare allegro della gente, così come la tenue luce aranciata, aumentasse in ragione dei passi compiuti.
Non impiegarono molto per raggiungere la fonte di schiamazzo e, quando furono abbastanza vicini, poterono constatare che si trattava davvero di un falò.
Per la precisione, si trovavano in una radura di fiori ed erba color lillà, dove una trentina di presenti, sia uomini che donne, ballavano gioiosi attorno alle fiamme alte quanto una persona.
Un gruppetto di questi, invece, intonava delle canzoni popolari, con voci tanto cristalline che parevano il suono di campane dorate, picchiettando i palmi delle mani su tamburi artigianali.
Proprio nell'angolo più illuminato della radura, un'enorme tavolata ricavata da un tronco sul quale era poggiata una tovaglia di lino color crema -la stessa stoffa di cui erano vestiti i presenti- era imbandita di leccornie e dolci d'ogni specie.
I due uomini si sentirono terribilmente fuori luogo: ovvio, le feste paesane erano una delle loro passioni principali, ma quella era davvero strana, a cominciare dalle persone, fino a terminare con il contesto in generale.
I presenti, infatti, quasi fossero tutti fratelli o parenti, erano pallidi come la morte, dotati di profonde occhiaie che facevano sembrare i loro occhi contornati da lividi, eppure dotati d'una bellezza tale che, a confronto, le statue greche che avevano ammirato in un museo tempo prima sfiguravano.
Ballavano agitando le mani al cielo, e, nonostante le canzoni fossero a loro conosciute, taluni di loro pronunziavano strane parole che ricordavano vagamente il latino.
Ma, cosa più strana di tutte, e che sempre aleggiava nelle menti di Antonio e Giuseppe, era: cosa diamine ci facevano a quell'ora, in quella foresta, a festeggiare?
Stavano per sgattaiolare via, quando una donna ravvisò la loro presenza, incitandoli ad unirsi al gruppo.
Di qualunque cosa si trattasse, ormai erano comunque stati visti... che altro fare?
Iniziarono a ballare a ritmo di musica dinanzi al falò, alternando ogni volta un partner diverso, uomo o donna, confondendosi in quella danza orgiastica.
Una ragazza, dai capelli neri come la notte e la bellezza d'una regina egiziana, gli confidò che erano tutti amici, e che si trovavano in vacanza in una cascina poco distante da lì.
Anche il pallore e le occhiaie, a sua detta, era tutta una finzione: si trattava di un trucco significativo per l'anima della festa.
Giuseppe ed Antonio, ad ogni modo, non poterono fare a meno di notare certe stranezze; ad esempio, dopo pochi minuti, notarono un aumento progressivo dei presenti, quasi come se la luce del falò e il canto spensierato fosse una sorta di richiamo.
Alle volte, addirittura, Antonio avrebbe persino giurato di vedere alcune figure gettarsi all'interno del falò per sbucare dalla parte opposta del fuoco, totalmente illesi.
Quando le danze cessarono, poterono constatare di essere almeno una cinquantina, tutti vestiti color crema e tutti ugualmente pallidi, non importava se la storia dei trucchi fosse vera o meno.
Nonostante tutto, i due amici non poterono di certo rifiutare la gentile proposta dei presenti ad unirsi al banchetto che, come aveva mostrato l'apparenza, era davvero ben fornito.
Mangiarono carne, verdura, tuberi, dolci di ogni specie, pesce persino, e bevvero vino a fiumi.
Un po' brilli, dopo avere ballato per almeno due ore, ed avere banchettato fino allo sfinimento, Antonio e Giuseppe si alzarono, decisi, finalmente, ad incamminarsi verso casa.
Prima di andare, però, domandarono se i presenti, essendosi già dimostrati tanto fraterni con loro, potessero essere così gentili da regalargli una torcia a fiamma.
Quasi li avesse letti nel pensiero, una donna alta e dai capelli d'un biondo tendente persino all'avorio, consegnò loro quelli che, a primo impatto, parevano essere due candelabri accesi, scusandosi se non potevano disporre di qualcosa di meno appariscente, ma confermando che, quanto meno, sarebbero loro rimasti come segno di ricordo d'una piacevole serata.
I due amici salutarono calorosamente, ancora increduli di tanta gentilezza, e salutando, s'incamminarono nel bosco.
Non appena furono lontani poche decine di metri, il silenzio sopraggiunse.
Evidentemente avevano smesso di cantare, e, voltandosi alla ricerca del falò, poterono constatare che anche questo sembrava essersi dissolto nel nulla.
Nessuna brace in lontananza, nessun blaterare di qualche ubriaco, nessun rumore di nessun tipo.
Possibile che si fossero immaginati tutto? Possibile che si fosse trattato di una mera illusione? No, ovviamente, e i candelabri accesi che stringevano con entrambe le mani facevano piena prova di questo fatto.
Grazie alla luce che rischiarava il loro cammino, Antonio e Giuseppe trovarono facilmente la strada del ritorno e, in poco più di un'ora, giunsero a casa.
Spensero i candelabri, che poggiarono sul tavolo nella sala da pranzo improvvisata e, spogliatisi in mutande e canotta, si misero a letto.
Quando si alzarono la mattina dopo, raggiungendo il tavolo per bersi una tazza di latte come prima colazione, una sorpresa sconvolgente ed inquietante li attendeva.
I candelabri... non erano affatto candelabri.
Erano gambe; gambe umane lacerate e graffiate, che qualcuno aveva opportunamente modellato e cosparso di paraffina.
Le gambe di Lorenzo!
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