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Le conseguenze dell'amore
"Manda il ragazzo, per il caso Ferranti" aveva ringhiato il direttore al caporedattore, "... così..." ma non ero riuscito a sentire il resto. Probabilmente voleva dire che in questo modo si sarebbero liberati - per manifesta incapacità - di un ennesimo pivello. I colleghi me l'avevano detto, che questa era una prassi abituale, in quel giornale: affidare ai novellini un caso disperato. Se ce la facevi, voleva dire che eri proprio in gamba, o almeno che avevi culo, il che non guasta mai, quando si cercano le notizie. Se - cosa molto più probabile - fallivi, avevano buoni motivi per farti fuori.
Io avrei preferito dedicarmi ad altro, ma - come ultimo arrivato - non potevo certo rifiutarmi.
Il caso Ferranti era una storia strana: non si sapeva neanche se definirlo un caso di cronaca o di costume. Ad ogni modo, i fatti erano questi.
Il gestore di un albergo a ore, prospiciente il parco fluviale, aveva comunicato alla polizia che una coppia di anziani, un lui e una lei intorno ai sessant'anni, non erano più usciti dalla camera che avevano chiesto il giorno prima per un paio d'ore, e non rispondevano al telefono. Sapeva bene di rischiare una multa salata per non aver loro chiesto i documenti, ma temeva di andare incontro a guai peggiori se non fosse stato lui stesso ad informare le autorità.
All'arrivo degli agenti era entrato con loro nella camera, dove i corpi dei due amanti giacevano senza vita, nudi, abbracciati, apparentemente senza ferite, con una specie di sorriso sui volti ormai cadaverici; entrambi avevano le labbra aperte, come se stessero parlandosi nel momento della morte. Sul comodino, dalla parte di lei, un pacchetto di sigarette con l'accendino, ma non vi erano cicche nel posacenere e non si sentiva odore di fumo.
Furono fatti subito i rilievi del caso, prima per verificare la possibilità di un assassinio, poi - mancando ogni indizio che potesse portare in quella direzione - di un duplice suicidio. Anche questa ipotesi però non era suffragata da alcuno dei soliti elementi presenti in casi simili. Non vi erano armi nella stanza, del resto i cadaveri non recavano segni di violenza, né vi erano barbiturici in giro di alcun tipo. Non era neanche possibile che si fossero reciprocamente soffocati coi cuscini. Si pensò a un doppio infarto, e fu disposta l'autopsia.
I medici che sezionarono i cadaveri non avevano mai visto un caso simile. Se un arresto cardiaco evidentemente c'era stato, non vi erano però elementi che spiegassero che cosa l'aveva provocato. I due cuori, e tutti gli altri organi esaminati, erano in condizioni perfette, compatibilmente con l'età dei soggetti. Non vi era traccia di sostanze stupefacenti, né di medicinali, salvo una presenza trascurabile di Sildenafil nel corpo dell'uomo. Vi erano presenze del suo seme nella vagina della donna e sulle lenzuola.
Il questore aveva convocato una conferenza stampa per il pomeriggio e lì mi stavo appunto recando. Tempo perso, perché non venne fuori nulla che già non si sapesse, e i soliti appelli, a chi fosse in possesso di qualche informazione utile, di rivolgersi alla polizia.
"Già, buoni quelli!", sentii farfugliare alle mie spalle.
Era una donnina minuta, vestita in modo dimesso, con le labbra eccessivamente ricoperte dal rossetto, di un'età presumibilmente fra i sessanta e i settanta.
"Non si fida, eh?", buttai lì con nonchalance.
"Neanche un po'", rispose pronta la donnetta.
"Ma quindi lei sa qualcosa che potrebbe aiutare le indagini..." insinuai.
"No, no, dicevo così per dire", si schernì subito.
La sua smentita non mi convinceva per niente e così decisi che, visto che la conferenza stampa era stata così breve, potevo impegnare un po' del mio tempo ad approfondire la questione.
"Sa, io sono un giovane giornalista precario", cercai di impietosirla, "hanno affidato questo caso a me perché non lo voleva nessuno e perché ormai si sa tutto quello che c'era da sapere, cioè niente; dovrò tornare al giornale con la coda tra le gambe e ammettere di non essere riuscito a cavare un ragno dal buco" (le frasi fatte fanno sempre un buon effetto sulle persone semplici).
"Così avranno una buona scusa per non riconfermarmi; mentre, se solo avessi il modo di trovare qualche informazione di prima mano, potrei magari ottenere un contratto definitivo e sistemarmi".
Le chiesi se davvero non sapesse nulla di più di quello che era a conoscenza della polizia, e se non avesse voglia di accompagnarmi all'albergo dove era successo il fatto, nei pressi del parco.
"Se proprio vuole, tanto è vicino a casa mia", rispose.
Accettò volentieri l'offerta di un caffè al bar vicino all'hotel e chiese timidamente, sedendosi, se poteva averlo corretto. Ad un mio cenno il cameriere portò i due caffè, con due bicchieri e la bottiglia del Fernet, lasciando tutto sul tavolino.
Bevuto che ebbe il caffè abbondantemente corretto, riempii con l'amaro il suo bicchiere (ed anche il mio, per non metterla in imbarazzo).
Continuammo a chiacchierare del più e del meno per un po', mentre lei si scolava il suo bicchiere.
"E lei non beve il suo?" disse, accennando al mio bicchiere ancora pieno.
"Ma no, guardi, ne avrei voglia, ma oggi sono un po' disturbato di stomaco, è meglio che eviti. Anzi, se le fa piacere, lo beva pure lei, tanto ormai è versato..."
"Se è così ...", non si fece pregare e tracannò anche questo.
"Perché vede..." (la tripla dose di Fernet cominciava a fare effetto), "io davvero non so nulla che possa interessare alla polizia, però quei due... li conoscevo"
"Caspita!" esclamai, avvicinando la mia sedia alla sua e riempiendole ancora una volta il bicchiere. "Mi racconti tutto: alla polizia non diremo niente, perché tanto di quelli non c'è da fidarsi, ma magari avrò qualcosa di più da scrivere nel mio articolo e chissà che non ci scappi la conferma del posto..."
"Per la verità, di lui so solo quello che mi ha raccontato lei, ma lei sì, la conoscevo bene, eravamo diventate amiche, anche se non da molto"
"Cominci dall'inizio, mi racconti tutto senza tralasciare nessun particolare, io ho tutto il tempo che vuole, parli che io non la interromperò più".
"Martina l'ho conosciuta il mese scorso proprio qui vicino, al parco. Era seduta tutta sola su una panchina di fronte alla mia. Sembrava agitata, continuava a guardare l'orologio e strizzava gli occhi come per vedere meglio lontano, lungo il viale di accesso al parco. Dopo un po' incominciò a sbuffare e a ciondolare la testa, finché - dopo un'ultima occhiata all'orologio - con un'alzata di spalle si drizzò in piedi di scatto e fece per andarsene.
Io sono una che si fa i fatti suoi, però quella signora, così perbene e dall'aspetto raffinato, aveva un'aria talmente turbata che mi venne spontaneo chiederle se avesse qualche problema."
"Ma no, è che avevo un appuntamento e quello str... e invece la persona che aspettavo mi ha dato buca: è un comportamento che mi manda in bestia!"
"Eh, cosa vuole farci" la consolai "è capitato anche a me, più di una volta, tanto che ormai ci ho fatto l'abitudine".
"Sì, ha ragione, non vale la pena arrabbiarsi per così poco, è che una investe tanto tempo e spende tante parole per poi.." e non terminò la frase, ma - con l'aria un po' afflitta - si sedette al mio fianco, accendendosi una sigaretta.
Per farla breve, venni a scoprire che Martina, vedova da alcuni anni ma ancora vogliosa di godersi un po' la vita, si era iscritta a un sito di incontri per singles.
Quel pomeriggio aveva appunto il primo incontro dal vivo con un signore col quale aveva avuto uno scambio di corrispondenza per diverse settimane e che la intrigava molto.
Il luogo e l'ora dell'incontro erano stati stabiliti da tempo e riconfermati anche da un sms poco prima, ma - inopinatamente - quel gentiluomo non si era presentato.
"Ci sarà senza dubbio un'altra occasione" le dissi, e - dopo un po' di chiacchiere - decidemmo di vederci comunque noi ogni pomeriggio, visto che anche lei abitava lì vicino. Fu così che, confidenza dopo confidenza, diventammo amiche abbastanza intime.
La settimana scorsa mi disse che aveva conosciuto sul sito un certo Sandro, un sessantenne dolce e raffinato, dall'aspetto molto giovanile, almeno in fotografia. Avevano stabilito, di comune accordo, di bruciare i tempi e incontrarsi al più presto.
Il giorno dell'appuntamento (quello prima della scoperta del fattaccio) c'ero anch'io, seduta su una panchina un po' più lontana, dove potevo facilmente vedere senza essere vista. Anche Martina era più tranquilla, sapendo che c'ero io lì vicino, per ogni evenienza, sa, di questi tempi, non si sa mai.
"Come no, più che giusto!" intervenni io, rabboccandole il bicchiere.
"Ma continui, continui, la prego".
Allora, bisogna riconoscere che questo Sandro era veramente un bell'uomo, alto, portamento sportivo, ben vestito. Anche la mia amica si era messa tutta in tiro e i due, seduti vicini vicini sulla panchina, facevano proprio una bella figura.
Capii subito che, per Martina, la prima impressione era stata favorevolissima: la sua bocca era sempre allargata in radiosi sorrisi e annuiva frequentemente alle parole dell'uomo. Anche lui sembrava rapito dalla sua corrispondente, tanto che - a un certo momento - si azzardò a prendere le mani di lei fra le sue.
Da quel momento i reciproci sguardi si fecero ancora più dolci e appassionati e non ci volle molto perché anche i loro visi si avvicinassero e... insomma, se lo può immaginare.
Le loro carezze diventavano sempre più audaci e disinibite e la situazione per me incominciava a farsi imbarazzante, quando Martina, alzandosi insieme al suo cavaliere, mi fece un segno convenuto per dirmi che andava tutto bene e li vidi dirigersi proprio qui, all'albergo.
Eravamo intese che la sera mi avrebbe telefonato per dirmi come era proseguito l'incontro, ma lei sa com'è andata..."
"E non ha alcuna idea del perché della morte?" le chiesi speranzoso.
"Niente, non riesco proprio a spiegarmelo... Ho ancora negli occhi l'immagine di loro due che - mano nella mano - si dirigono a passo svelto verso l'albergo e ne varcano la soglia..."
A questo punto capii che era inutile insistere col Fernet, perché sicuramente tutto quello che la donnetta sapeva me l'aveva ormai raccontato.
La ringraziai e, pagato il conto salatissimo, mi congedai da lei lasciandole il mio biglietto da visita.
Andai subito a relazionare al caporedattore, informandolo della conversazione avuta con l'amica di Martina.
"Bravo, ragazzo, mi sa che da oggi la tua poltroncina è un po' più sicura: adesso vai e buttami subito giù un bel pezzo su questa storia dell'incontro al parco; limitati a questo aspetto, per il resto (le indagini a vuoto della polizia ecc.) ci penso io. Ah, dì al titolista di venire subito da me"
Feci quanto richiesto, raccontando pari pari la storia che avevo sentito, solo infiocchettandola un po' per renderla più emozionante, e consegnai il pezzo.
L'indomani il giornale uscì con un titolo strillato: "La verità sulla morte dei due amanti sessantenni". L'articolo proseguiva poi con "esaurite tutte le altre fantasiose ipotesi, sembra ormai quasi certo che a stroncare la non più giovane vita dei due amanti sia stato un classico, micidiale 'colpo di fulmine': tutti i particolari in cronaca, con un articolo del nostro inviato..." e seguivano il mio nome e cognome.
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