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Riflessioni
Lo osservo, guardandolo un po' di sghimbescio, mentre si fa la barba.
Ha sempre fatto fatica a radersi perfettamente, specialmente nei punti lungo la curva delle narici.
Più o meno tutti lo hanno preso in giro per questo, commentando di come il fatto dipendesse dalla conformazione piuttosto prominente del naso, anche se Lui continua a definirlo "naso da profilo greco".
Si sforza... Dio se si sforza!... di provare ad apparire un po' più giovane, e di assomigliarmi il più possibile, ma i tempi sono cambiati... Lui è cambiato.
Si aggiusta i capelli arruffati, quasi con un gesto di stizza.
Quando non stanno non stanno, mormora un po' seccato, aggiungendo un altro bolo di schiuma gel per provare comunque a sistemarli.
È passato un bel po' dalla prima volta che ci siamo visti.
Quella prima volta me la ricordo bene... ci siamo incontrati il giorno del compleanno di sua madre, Santa Donna, quando Zia Chicca le aveva fatto uno dei suoi stupendi regali riciclati.
Uno specchio da parete a tutta figura che, evidentemente, doveva aver recuperato, di seconda mano, da una delle sue amiche della Milano Bene.
Quel glorioso relitto degli anni quaranta, non era affatto male.
Forse un po' démodé, con tanto di cornice dorata finto barocco, ma aveva la sua dignità intonsa, così come intonso doveva essere il valore commerciale, rivalutato dagli anni di servizio che ne avevano fatto un pezzo d'antiquariato.
Effettivamente, però, con l'arredamento di quella casa ci azzeccava poco o nulla, e mamma Bruna, al di là del ringraziamento di prammatica, imposto dalla sua immancabile cortesia di facciata, non poteva certo ritenersi entusiasta del presente fattole dalla Zia.
Che importava?... ben altri ringraziamenti le doveva.
Ci ritrovammo uno di fronte all'altro, quasi all'improvviso.
Io che entravo dal portone, accompagnato dalla zia, e da due omaccioni grandi e grossi che non avrei più rivisto, e lui che, correndo incontro a Chicca, irrompeva, con la solita energia chiassosa, nell'antisala, dov'era destinato ad essere appeso lo specchio.
Si spaventò.
Non so se fu la mia, o la presenza di quei due adulti sconosciuti, ma lo vidi con uno sguardo impaurito, nascondersi dietro alle sottane di sua madre.
I due sconosciuti se ne andarono, e la sua testa iniziò un timido capolino oltre la gonna della mamma, per dare rapide occhiate, via via sempre più divertite, verso di me, che, da pari età (io sono più giovane, anche se di pochissimo e, anche se non lo ammetterà mai, gli anni che ho li porto meglio di Lui), stavo facendo altrettanto.
Poi iniziò a parlarmi, e per quanto le sue parole risultassero sbiascicate e apparentemente senza senso, Io, incomprensibilmente, le capivo perfettamente.
Era come se il loro significato, imperscrutabile ai più, si delineasse con chiarezza nella mia mente, non appena quel torrente di suoni sregolati misti a bava, cominciava a eruttare dalla sua bocca.
Quel tipo ne aveva di cose da dire.
Andò avanti una buona mezzoretta a raccontarmi di storie e di cose che perlopiù conoscevo di già, ma che finalmente potevo condividere con chi avesse più o meno il mio stesso punto di vista.
E poi era curioso... proprio come me, che per un pelo non sbattevamo la testa uno con l'altro, tanta era la curiosità di osservarci da più vicino.
Negli anni abbiamo continuato a frequentarci, un po' per piacere e diletto, un po' per necessità.
Si può proprio dire che siamo cresciuti insieme.
Litigando, condividendo, piangendo e sorridendo più di una volta in intimità.
Io gli sono sempre piaciuto, e forse anche un po' troppo, tanto che ci fu un periodo in cui ho pensato mi stesse diventando gay.
Gli piacevo al punto da spingerlo a cercare, per tutta la vita di assomigliarmi.
Solo che per farlo, Lui si doveva sbattere come un pazzo, ogni santo giorno, mentre Io, alla fine, mi ritrovavo sempre perfettamente in ordine, senza fare nessuno sforzo.
Così, nei miei confronti, Lui ha sempre provato un sentimento misto di odioamore (volutamente tuttoattaccato), preso tra i fuochi dell'ammirazione, del narcisismo, della fatica e dell'invidia.
Dal canto mio, devo dire di essermi subito affezionato a quel tipo.
Mi piaceva il suo modo di essere.
Come si muoveva, come si vestiva, come gesticolava.
Mi piaceva quasi sempre anche il suo modo di pensare, e di porsi di fronte a me e alla gente.
Con quella punta d'ironia e di disincanto, che dava sempre l'impressione che Lui la sapesse lunga su qualsiasi argomento si stesse discutendo, anche se, in realtà non era sempre esattamente quella la verità.
Intelligente quanto basta, educato sempre, cordiale, un po' narcisista ed egocentrico, ma non tanto da risultare fastidioso, socievole ed estremamente spiritoso.
Dal nulla riusciva quasi sempre a tirarti fuori una risata.
E poi era uno che pensava... cazzo quanto pensava!
Aveva il cervello acceso 24 ore su 24 e i pensieri gli si formavano nella testa ad una velocità inverosimile, tanto che spesso si sovrapponevano uno all'altro senza soluzione di continuità, e s'impastavano in un tutt'uno inscindibile di ricordi, cose da fare, parole da dire, idee, pensieri e poi... sogni, Gesù quanti sogni!
Piccoli, grandi, magnifici, irrealizzabili, possibili, per il tempo futuro, per quello immediato.
Io lo capivo quando stava per andare in over dose di miraggi.
Me ne accorgevo quando c'incontravamo la mattina presto nel bagno di casa.
Bastava guardarlo negli occhi per capire.
I suoi occhi mi guardavano, ma parevano perdersi oltre la mia figura, verso un punto indefinibile del mondo che stava dietro alla mia spalla.
E poi, tutto ad un tratto accadeva.
Quell'immane massa scomposta di tutto ciò che l'immaginazione umana può concepire, non riusciva più a restare compressa nello spazio troppo angusto della sua mente, e iniziava a tracimare dalle sue labbra sotto forma di parole, come in un rigurgito inevitabile, a liberare l'anima di tutto quello straordinario sognare.
I sogni gli sgorgavano dalla bocca come l'acqua di un fiume in piena, e si riversavano nel lavandino, mescolandosi al sapone e al dentifricio.
Le sue parole erano un po' come il suo sguardo, partivano nella mia direzione, ma non erano rivolte a me.
Mi trapassavano come fossi un fantasma, e si dirigevano verso un qualcosa là fuori, un qualcuno la fuori, una vita la fuori, oltre il muro, oltre la casa, oltre il quartiere, la via, il paese... oltre il mondo la fuori.
Un po' mi spaventava quell'eruzione di fantasia e, a mio modo, cercavo di ricondurlo alla realtà, preoccupato com'ero che non mi impazzisse del tutto, e che potessi perdere un così caro amico.
Mi paravo d'innanzi a lui e, guardandolo fisso negli occhi, lo facevo riflettere su come stavano in realtà le cose... gli ricordavo chi fosse, dove eravamo, come vivevamo... chi eravamo, in questa vita reale, in questo tempo reale.
Quasi sempre, un po' per merito mio, un po' perché, come vi ho già detto, non era affatto stupido, appena cominciava a vivere un pezzetto del giorno vero che gli veniva incontro, riusciva a calmierare quella sommossa di emozioni interiori, adeguandole alla realtà del suo vivere.
Però non li abbandonava mai i suoi sogni, e questo miracolo individuale aveva su di lui un effetto ancor più miracoloso.
Egli sorrideva e cantava.
Il canto... Ecco, in quello, Lui è decisamente superiore a me, lo ammetto.
La sua voce calda e bassa è decisamente intonata, e si fa ascoltare volentieri.
Io, invece, quelle poche volte che ho provato ad emettere un suono, ho ottenuto solo una specie di stridio lamentoso... da far accapponar la pelle.
Meglio non ritentare, meglio stare ad ascoltarlo, e goderselo in invidiosa attenzione.
Lui no... Lui sapeva cantare proprio bene, e ascoltarlo era trascinante e coinvolgente.
Così, non appena iniziava, anch'io lo seguivo con passione, in una specie di muto play back di cui non sapevo fare a meno.
Altra capacità in cui era superiore a me, era indubbiamente l'oratoria.
Quando era in giornata riusciva a tenere discorsi intricati, con una dialettica così chiara e fluente che, per quanto articolati e complessi, gli argomenti venivano sviscerati con chiarezza e semplicità, e, alla fine, chiunque li ascoltasse, restava a domandarsi come mai, ad una cosa così semplice, non ci fosse arrivato da solo.
Io, contrapposto a Lui, potevo essere definito una specie di muto che, più che con le parole, era avvezzo a farsi capire con le espressioni e con gli sguardi.
Sono così da sempre, non so perché Io non abbia il suo dono nell'esprimermi oralmente.
Forse è perché ascolto anche troppo e rifletto tutto il tempo... così può darsi che le parole mi restino bloccate dentro, senza più trovare il modo di uscire.
Siamo andati avanti così parecchi anni.
Lui che sognava, cantava e sorrideva, e Io che lo ascoltavo con pazienza, lo consigliavo, lo ammonivo, insomma... gli ero amico.
Poi, poco alla volta, ha iniziato a cambiare.
Con il passare degli anni, con le vicissitudini della vita reale, ha iniziato pian piano a perdere pezzetti di sogni, fette di sorrisi e la voglia di cantare.
Alla fine la sua depressione ha coinvolto anche me, e, ora, e già da un bel pezzo, non ci guardiamo quasi più.
All'inizio ho provato a tirarlo su di morale, suggerendogli che, nonostante tutto, non fosse tutto da buttare e che, sebbene il tempo stesse passando, poteva ancora dare e prendere molto dal mondo, ma non c'è stato nulla da fare.
L'ho visto intristirsi giorno dopo giorno e, dopo qualche litigio, abbiamo preso praticamente ad ignorarci.
Ora... neppure canticchia più.
Pensa?... forse, ma sta molto attento a cancellare i pensieri, appena gli si formano nel cervello... immediatamente, man mano che si delineano, con meticolosa attenzione.
Non tutti, certo... solo quelli che possono fargli male, quelli che lo potrebbero ferire.
Lo capisco, a quelli non potrebbe resistere, lo ucciderebbero.
Non riuscirebbe più a sorreggere questo castello di coscienti illusioni, questa pantomima di se stesso.
Da qualche tempo però, lo devo proprio dire, sembra vada un po' meglio.
Non che sia tornato quello di prima, quel Lui probabilmente non lo rivedrò più, ma qualche sorriso in più l'ho intravisto e, almeno, come sta facendo ora, pare abbia ricominciato a prendersi cura di se stesso... Buon segno!
È iniziato tutto dopo quella terribile scenata che mi fece quattro settimane fa.
Lì, le cose erano veramente rotolate in fondo alla china... aveva proprio toccato il fondo.
Ricordo che tornò a casa infuriato e, senza darmi spiegazioni su quello che fosse successo, né su quello che covava dentro il suo cuore, mi chiese di rispondere a domande a cui, lui solo, poteva trovare risposta, e quando Io mi rifiutai di rispondere, limitandomi ad allargare le braccia, in un'espressione di disarmata impotenza, vidi il suo sguardo, carico di un odio che non gli avevo mai conosciuto, accompagnare il moto del suo pugno destro verso di me.
Fermò la sua mano a pochi millimetri dal mio volto... fu la certezza che quel gesto avrebbe incrinato per sempre la nostra lunga amicizia, a trattenerlo, o la paura che ha di me?... Lui lo sa bene che so essere molto vendicativo, quando qualcuno comincia a rompermi sul serio.
Comunque, meglio così... Io gli voglio, e gli vorrò sempre bene e, quindi, è un riflesso inevitabile che, sei Lui sorride, anch'io sia felice.
Non so, con precisione, cosa sia accaduto, ma credo centri quella tipetta bruna che ha cominciato a frequentare alla fine di ottobre.
Va bene... ancora parla poco, e non ha ancora ripreso a cantare, ma qualcosa indubbiamente si sta smuovendo.
Ad esempio ha ricominciato a scrivere, pratica che aveva ormai praticamente abbandonato.
Ai suoi tempi d'oro Lui amava scrivere.
Non sono ben bene a conoscenza di quel che scrivesse, perché, a differenza della facilità con cui mi esponeva i suoi pensieri con le parole, delle cose che scriveva, è sempre stato un po' più geloso e, raramente, mi dava l'opportunità di leggere i suoi lavori.
Comunque, di recente, qualcosa ha scritto di sicuro, perché l'ho visto poggiare un foglio battuto a macchina sulla mensola vicino allo specchio del bagno.
Ora ha quasi ultimato la toeletta.
Ancora un colpo di mano a ravvivare i capelli... e via.
Mi sorride e si avvia verso la porta, dicendo:
Fatto!... ora si va fuori a cena... augurami una buona serata.
Prende la porta e se ne va, senza attendere risposta.
Che maleducato, Penso tra me e me, come fosse da solo, in casa.
Per la fretta ha scordato il foglio dello scritto, sulla mensola.
Ecco!... come al solito.
Mi fa una rabbia!
Farebbe carte false per impedirmi di leggere ciò che scrive.
Anche questo è scritto al contrario, come faceva Leonardo Da Vinci, quando voleva tutelare la segretezza dei suoi appunti.
È proprio stupido quando fa così.
Chissà cos'è che pensa di potermi tenere nascosto?
Proprio uno stupido, anche perché non sa che, da un bel pezzo, ho imparato a leggerli comunque.
Vediamo...
È una poesia.
S'intitola Chiuso in cantina, e recita così:
Quel poco di me che è rimasto, è nascosto in cantina.
Con la sua faccia da monello.
Con quel sorriso impertinente, che spunta da una ressa d'efelidi di cioccolato al latte.
Con i calzoni consumati alle ginocchia e i gomiti sbucciati.
Furtivo tra i boschi di robinia, e svelto tra i sassi del fiume.
Come un topo di campagna, come una lucertola.
Di ciò che sono diventato non ho coscienza.
Ha cominciato a scendere i gradini poco alla volta, perdendosi in un buio polveroso, finché è sparito in fondo al buco.
Ogni tanto lo sento giocare, a volte gratta all'uscio dello scantinato, e ride... ride di me.
Sfuggente tra le fondamenta della mia casa, rapido tra i ricordi che ho accatastato in fondo alla coscienza.
Come un insetto, come un ratto di sentina.
Ciò che sono diventato non ha il coraggio di scendere le scale.
Troppe paure ammonticchiate, troppi sogni trascurati, troppa incoscienza, e poi voglia, poesia, follia, entusiasmo, abbandonati alla rinfusa, per non inciamparci dentro.
Non ho più gli occhi del gatto o la gamba del furetto, il cuore del lupo, né la fame del leone.
Ma quel bambino continua a ridere di me, che non ho coscienza di ciò che sono diventato.
Non è male... ma è un po' triste... speriamo gli vada bene la serata.
Depresso non lo reggo più... In bocca al lupo, fratello.
Eccoci all'inizio di un nuovo giorno, speriamo sia un buon giorno.
Ieri notte è rientrato molto tardi... e non era solo.
È entrato in casa, silenzioso e furtivo, come un topo d'appartamento, che quasi mi pigliavo uno spavento e, da dietro la porta, sono solamente riuscito a vedere di sfuggita, due figure che s'infilavano in camera da letto.
E adesso è qui, davanti a me, con una faccia beata e soddisfatta, che non gli vedevo più da tempi immemorabili.
Si lava i denti, si rassetta un po' e... Canta!?
Può un po' d'amore riuscire a fare tutto questo?... c'è da riflettere.
Solleva gli occhi verso di me, e li vedo sorridenti.
Fa una smorfia buffa e, intonando una voce cavernosa, a bruciapelo, mi domanda:
Specchio, specchio delle mie brame, chi è il più bello del reame?
Cosa me lo chiede a fare?
Questo è solo lo specchio del bagno di casa sua, e non quello magico della regina della favola di Biancaneve, e Io, in fin dei conti, sono solo la sua immagine riflessa.
Cosa vuole che ne sappia?
Sono più di cinquant'anni che vedo, praticamente, solo la sua faccia, come pensa che Io sia in grado di fare paragoni con tutto il resto del mondo?
Dove va ora?... Apre la porta e se ne va.
Il vento che entra dalla finestra solleva il foglio dalla mensola al lato dello specchio, e lo spinge fin dentro la tazza del cesso.
Sento la sua voce che grida: Amore, scendo in cantina!
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