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La Foresta Indaco
C'era una volta, in un luogo segreto e nascosto di una foresta in cui é sempre primavera, una famiglia di ricci. Vivevano al sicuro sotto un meraviglioso e profumatissimo cespuglio di gelsomino e la notte uscivano ad ascoltare i suoni della natura e a fare qualche passeggiata per il bosco in cerca di cibo. Il piccolo Faby era il più piccolo dei tre fratellini. Mamma riccio, appena era nato, aveva urlato a gran voce: "Che dannazione! Un figlio riccio con gli occhi da cerbiatto!". Così Faby cresceva e i suoi aculei si rinforzavano giorno dopo giorno, ma si sentiva sempre più triste e diverso dagli altri fratellini. Una notte, rimasto solo davanti a una pozza d'acqua illuminata dalla luna, si specchiò e vide la sua immagine riflessa. Vide la profondità, la dolcezza e la vulnerabilità dei giovani occhi di cerbiatto e si sentì solo pensando al fatto che mai nella vita avrebbe potuto incontrare un riccio uguale a lui. Decise quindi che i suoi aculei sarebbero stati la sua salvezza e che avrebbe fatto in modo che diventassero più appuntiti e fitti di quelli dei suoi fratelli: lo avrebbero difeso da ogni pericolo e l'avrebbero fatto sentire più forte. E fù così. Ogni volta che un qualsiasi animale si avvicinava a Faby, che esso fosse una farfalla, un cinghiale o una lucertola, lui si appallottolava minaccioso e riusciva sempre a isolarsi da tutto sentendosi protetto e al sicuro.
I giorni passavano e il nostro giovane amico viveva con la sua famiglia trascorrendo silenziose giornate al fresco del biancospino e notti intere a scovare insetti da mangiare o ad ammirare la sontuosità della foresta. Ma si sentiva solo, tanto solo.
Dopo quella notte in cui, ancora cucciolo, aveva visto i suoi occhi di cerbiatto, non aveva più osato specchiarsi nelle pozze d'acqua. Ma sapeva che i suoi occhi erano diventati ancora più profondi e dolci. Lo capiva dallo sguardo di Mamma e Papà Riccio e da come lo trattavano i suoi fratelli: lo lasciavano in disparte, non lo invitavano mai a giocare. Sentiva che avevano paura di lui.
Una notte, nonostante un forte temporale che faceva schioccare la pioggia come una grande frusta contro la siepe, Faby decise di uscire da solo nel bosco in cerca di cibo. Camminò tutto il tempo con gli aculei tesi e fitti per ripararsi, ma la pioggia gli impediva di vedere bene dove stesse andando. Così, proprio durante il rombo assordante di un tuono, andò a sbattere contro qualcosa di molto robusto ma allo stesso tempo morbido come la buccia di una pesca. Si fermò immobile, chiudendo gli occhi e si concentrò per appallottolarsi con tutta la forza che aveva. Sentì contro il naso qualcosa di umido e caldo. Era terrorizzato ma la curiosità ebbe la meglio e così decise di guardare contro che cosa era andato a sbattere: vide due immensi occhi di cerbiatto che lo fissavano. Distolse subito lo sguardo.
Il cerbiatto, anzi, la cerbiatta, aveva il lungo collo piegato a terra e annusava curiosamente Faby, che in quel momento aveva gli occhi sgranati come se avesse visto un fantasma.
"Ciao riccio. Io sono Fiore" disse la cerbiattina.
Faby aspettò un po' a rispondere, ma alla fine decise di parlare: "Ciao Fiore. Io sono Faby. Non mi farai del male, vero?".
"Certo che no, perché dovrei farti del male?".
"Perché sono un riccio con gli occhi di cerbiatto".
Fiore indietreggiò leggermente e girandosi mostrò a Faby la sua piccola coda scodinzolante: era composta da una moltitudine di aculei lunghi, irti e affilati che brillavano sotto le gocce della pioggia.
Faby era incredulo.
"Vedi Faby, anch'io sono una cerbiattina con la coda di riccio. Non é stato bello nascere così, anche perché tanti animali scappano al mio passaggio per paura di essere punti. Però é servita a tenermi lontana dai pericoli che tante volte ho incontrato in questa strana foresta". Continuò, con sguardo triste: "Però la cosa più brutta non é questa, ma il fatto che nessuno si sia davvero mai soffermato ad ammirare i miei occhi".
Per qualche minuto calò sulla foresta un silenzio mai sentito, mentre Faby e Fiore rimanevano immobili. E ad un tratto cessò di piovere. Si alzò un vento tiepido che mosse le foglie degli alberi producendo una musica dal suono dolce e melodioso.
Per la prima volta da quando era nato, Faby si sentì travolgere da una grande calore che riscaldò tutto il suo piccolo corpicino. Sentì che i suoi aculei si ammorbidivano sotto lo sguardo attento della cerbiattina e decise di prendere coraggio e osservarla attentamente negli occhi. Erano bellissimi e profondi, come i suoi, solo un po' più grandi. Anche lei, ammorbidita da quello sguardo, sentì nel profondo del cuore una grande pace e la sua coda si distese e gli aculei diventarono morbidi e leggeri come tanti piccoli steli di fiori di campo. E in quel preciso istante i due animali vennero avvolti da una abbagliante luce color indaco che sprigionò i suoi raggi illuminando tutta la foresta.
Da quel momento in poi tra il riccio e la cerbiattina nacque un grande e profondo legame. Le occasioni in cui riuscivano ad incontrarsi non erano molte, ma durante quei brevi e meravigliosi momenti la luce non smetteva mai di brillare. Tutti gli animali iniziarono a parlare di quei raggi misteriosi che, quando brillavano, facevano sentire tutti più felici e leggeri.
Faby saliva in groppa a Fiore e rideva felice mentre lei correva agile nella foresta.
I nostri amici non ebbero più paura di essere loro stessi e iniziarono ad accettare la loro diversità, comprendendone il vero valore.
Tutti i ricci della foresta arrivarono al cespuglio di gelsomino per ammirare la bellezza degli occhi di Faby e tutti i cerbiatti andarono a trovare Fiore per poter vedere la sua coda forte ma docilmente distesa in una piccola matassa di morbidi aculei.
E da quel momento la foresta divenne incantata e prese il nome di Foresta Indaco.
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