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Battesimo
XC: PROLOGO
Un forte rombo attraversò tutto il villaggio. Il vento fletteva e rifletteva ad uno ad uno i fili d'erba sui colli circostanti. Così i brividi lungo la schiena al contatto dell'acqua gelata. La pioggia batteva incessante, dettando invano il tempo nelle vie, sui tetti delle case. Sui resti di quella che era la chiesa del paese, su quei corpi fino a poco prima ospiti di vita. Era domenica, così era usanza dei paesani trovarsi entro le Sacre mura della casa del Signore. Ma solo l'inferno trovarono.
I pochi atei e non praticanti si riversarono nelle vie. L'abitazione del sacerdote, prima nascosta dietro la chiesa e il campanile, si ergeva ora, imponente quanto impotente, come monumento alla memoria della divina punizione appena impartita.
In mezzo ai resti era ancor visibile, miracolosamente intatto, l'altare in pietra, semplice, portato qualche anno prima da coloro i quali diedero i natali al piccolo borgo, per onorare il loro dio.
Solo alcune travi, precipitate dal tetto della struttura, parevano esser riuscite a scalfire il sacro masso, poggiandosi su di esso, quasi a riacquistare l'originale posizione, ricreando vagamente il tetto spiovente che pochi minuti prima reggevano.
Tutto taceva. Lo stesso fiume rispettava il silenzio delle poche anime testimoni della sciagura. Solo la pioggia sembrava non accorgersi del disastro.
La Nera Madre attraversava ancora le macerie, prendendo con sé le poche vite ancora legate al loro corpo.
Niente le sfugge, modello di uguaglianza, di accortezza, di amore. Tutti di fronte a lei si perdono, di nessuno mai scorderà il volto, lo sguardo, il primo e l'ultimo respiro. Niente le sfugge.
Niente, tranne lui. Un pianto si consumava, lieve, non lontano dall'altare, tra quelle travi, protezione e prigione di colui che solo era sopravvissuto. Unico perdonato dal misericordioso Dio.
Avvolto in fasce, il piccolo doveva essere il protagonista di quel giorno di festa. Nel suo novantesimo giorno di vita si stava apprestando a metter piede in quella comunità che lo avrebbe cresciuto, nutrito, educato, protetto in vita, salvato in morte.
Con le poche forze rimaste urlava, flebile il grido, e si dimenava. Ormai i panni che lo scaldavano erano imbevuti di acqua e polvere. Sentiva freddo il bimbo, cercava il corpo tiepido della madre, che mai più avrebbe potuto accarezzare. Non capiva dove fosse, perché fosse lì. Le poche, confuse immagini di quegli ultimi istanti passavano davanti ai suoi occhi scuri, prive di significato. Troppo piccolo per comprendere quegli eventi. Non si rendeva conto della presenza della morte, come mai si era reso conto di essere al mondo. Piangeva. La pioggia lo scherniva, mescolando i deboli gemiti al suo picchiettar crudele sulle macerie.
Piangeva, e non sapeva perché.
I
Il suo nome era speranza, i suoi lineamenti solo un'idea, in quel dì troppo vicino. Era notte fonda, o mattina presto, quando il pastore prese tra le braccia per la prima volta il figlio, nato da pochi istanti.
L'aveva fatto tante volte, con le pecore, così aveva deciso di assistere lui stesso la moglie, lavandaia molto più giovane di lui, nel momento del parto.
Le urla di dolore della donna svegliarono i vicini, che accorsero all'abitazione della coppia. Presto la gioia investì tutto il paese. Il piccolo appena nato, avvolto in un panno di lana, assimilava le prime immagini, fatte di ombre indefinite, che il mondo gli offriva. Tante mani lo carezzavano, molti volti sorridevano rivolti a lui. Traumatica l'immersione in questo universo, in cui non aveva neanche avuto il tempo di poter identificare i suoi genitori. Ma questo a lui non importava. Chi erano in fondo i genitori? Cos'erano? Domande che non trovavano spazio nella vuota mente dell'infante.
In breve tempo l'intero paese si radunò nella piccola abitazione per dare il benvenuto al neonato, portandovi la sua vita ed i suoi suoni. Lacrime di gioia, accompagnate da grida e schiamazzi, erano versate dalle più anziane, mentre cori di festa e felicità si alzavano dall'assemblea. Gli uomini scherzavano tra loro e si congratulavano col nuovo padre; i più piccoli si avvicinavano con la madre al nuovo arrivato, stupiti e curiosi di fronte a un così tal miracolo che, inconsapevoli, avevano già vissuto.
Come un'onda, nuove sensazioni, magia, investirono il piccolo, che si vedeva passato di seno in seno dalle giovani compaesane, che ancora non avevano conosciuto il piacere del dar la vita.
Pochi istanti, e i suoni ovattati, che appena percepiva nel grembo materno, presero forma davanti ai suoi occhi: persone, cose, animali che popolano questo mondo. Ed anch'egli era finalmente pronto ad occupare il posto che gli spettava su questa terra.
L'alba era ormai prossima, quando le donne cominciarono a rincasare e gli uomini si avviarono ai campi o a svolgere le loro attività. Il cielo lentamente si riempì di nuova luce, il nero sbiadì, lasciando spazio all'azzurro che avrebbe fatto da sfondo alla nuova giornata di lavoro. Ma il piccolo non attese l'astro. Affaticato dalla vita, a cui doveva ancora abituarsi, nel bel mezzo della festa, nonostante gli schiamazzi, aveva abbandonato il paese, mettendo piede per la prima volta nel meraviglioso luogo ove i desideri trovano forma e vita.
I sogni non accompagnarono il primo sonno del poppante. La piccola mente ancor vuota non seppe dar corpo ad alcuna idea. Del resto, il niente costituiva ancora i pensieri della creatura.
Nonostante il festeggiato si fosse ritirato, la baldoria era proseguita tutta la notte. Gli ospiti si erano sentiti il dovere di sfamare gli invitati, dando fondo a tutto ciò che potevano offrire. Così, tra cibi e bevande, la gente rideva e scherzava. La comunione tra la grande famiglia della comunità riempiva quelle mura di allegria e amore. Amore per la vita e per quel Dio che riempie col suo soffio vitale i corpi meritevoli della sua grazia; così allo stesso modo vengono recisi i fili delle marionette difettose. E questo Dio gradisce, apprezza le lodi del paese che festeggia la più grande dimostrazione della sua bontà e potenza.
Benedetti saranno così coloro i quali coltiveranno l'amore e lavoreranno perché la vita possa generare altra vita ed essere santificata innanzi a Lui.
La vita potrà essere ingiusta con questi, ma il buon Signore glorificherà costoro nel Suo regno. Tuttavia Nessuno pone veto ai capricci di Colei che di ogni anima è consorte.
XXX
Il sole, ormai alto in cielo, aveva già percorso metà del tragitto che l'avrebbe portato oltre l'orizzonte, quando il bimbo manifestò il suo risveglio con pianti e urla.
Era ormai passato un mese da quando era iniziata questa nuova vita: il piccolo, puntualmente, si destava rivendicando il seno materno, per poi riprendere sonno dopo essersi saziato. La madre, desiderosa di riprendere a lavorare, ma mai stanca di crescere la sua creatura, tra una poppata e l'altra si dilettava nella pulizia della casa, ormai immacolata.
Nonostante la fatica, non passava giorno in cui la donna non rendesse grazie al Signore per l'immenso dono che aveva ricevuto.
Così, dopo aver rimesso a dormire il bimbo, si era portata alla finestra, mirando il cielo privo di nuvole. Fu in quel momento che il pastore varcò la soglia dell'abitazione e corse incontro alla compagna, abbracciandola.
Il gregge era stato chiuso nel recinto per qualche ora, prima di partire nuovamente, così l'uomo ne aveva approfittato per tornare dalla famiglia.
Dopo aver salutato la moglie, si portò lentamente verso la culla, attento a non svegliare il piccolo.
Gli occhi scuri cullavano il bimbo, avvolgendone i sogni con tutto l'affetto che un genitore prova nei confronti della sua creatura. Con lenti e attenti movimenti, il giovane portò la mano destra a carezzare il figlio dolcemente. Questi però, in quell'istante, aprì i piccoli occhi scuri, sorridendo a quel tale che tante volte sentiva muoversi attorno a sé. Un'identità non era in grado di dargliela ancora, ma percepiva il suo amore e lo comprendeva quel poco che bastava a dargli sicurezza e renderlo felice in cuor suo di averlo con sé. Sarebbe dovuto maturare ancora, però, per cominciare ad ascoltare e decifrare i segnali del suo arido cuoricino, che ancor non poteva distinguere amore e odio.
Con accortezza allora il padre prese in braccio il piccolo. Uscì quindi e si avviò verso il luogo in cui aveva lasciato il gregge, seguito dalla moglie. Il cielo sereno ricambiava il sorriso del pastore, orgoglioso di portare per la prima volta il figlio in mezzo a quelle bestie che ormai da anni lo accompagnavano attraverso i prati e i colli di tutta la regione. E in cuor suo viveva la speranza che un giorno tutto questo sarebbe passato al primogenito, così com'era stato per generazioni.
Affrettava il passo l'uomo, eccitato come un bambino. Dietro lo seguiva la giovane compagna. Il passo era più lento, incerto. Così come lo erano i suoi pensieri. La felicità mascherava le preoccupazioni della donna, che temeva di perdere per il mondo anche il figlio, dopo l'amato. Mai tanti pensieri avevano attraversato contemporaneamente la sua mente, creando un intreccio di gioia, dovuta alla felicità del marito, e di paura. I ricordi del grande e le previsioni per il piccolo si accavallavano nella testa della ragazza. Così la paura creava confusione, che a sua volta alimentava il timore. Cercava di capire, ma più si sforzava, meno comprendeva e meno si rassicurava. E pregava. Perché Dio avrebbe dovuto darle tanto, per poi portarle via tutto in questo modo? Perché mai il Signore misericordioso giocherebbe così coi sentimenti dei suoi figli? Pregava lei, e continuava a porsi queste domande, senza trovare risposta. Si vedeva sottrarre tutto ciò che riceveva. Sentiva dentro di sé la colpa crescere, colpa per aver messo in dubbio la bontà divina, colpa per avere rimpianto i momenti in cui aveva ringraziato Dio per ciò che ora le veniva meno. Ma Egli sa che lei non ha colpe, e la perdonerà, poiché verrà il giorno in cui lei comprenderà la grandezza del disegno divino.
Il tempo passò veloce. Presto venne la sera, i tre rincasarono per la cena. Messo a dormire il bambino, pure gli sposi si coricarono.
Troppo poco durò quella notte, a cui si susseguirono per la donna molti sonni solitari.
Osservava crescere il piccolo, insieme alla sua gioia e al suo amore per lui. Ma anche insieme alle sue paure.
LX
Il sole era ormai sul punto di tramontare, anche se in pochi se ne rendevano conto. Era stata infatti una giornata molto cupa: scure nubi incombevano sulla valle e dalle prime ore del pomeriggio grosse gocce di pioggia avevano iniziato a cadere. Così, per tutto il giorno, le vie del villaggio erano rimaste vuote, invase solo dall'acqua.
Tuttavia la vita proseguiva all'interno delle case, e le famiglie ne approfittarono per riunirsi attorno ai focolari. Ma la spietata atmosfera che avvolgeva le strade del paesino si era permessa di varcare la soglia dell'abitazione di una giovane lavandaia, di un pastore e della loro creatura, di appena due mesi.
La donna aveva atteso invano per tutto il giorno il compagno, di ritorno col gregge dal pascolo. Il tempo inclemente infatti l'aveva costretto con le bestie in un anfratto non troppo distante da casa, ma non abbastanza vicino per permettergli il rientro.
L'attesa era stata inoltre tutt'altro che noiosa. Il piccolo già da diversi giorni manifestava i sintomi di una forte influenza. Lei, troppo giovane, troppo ingenua per assistere il malato da sola, sperava nell'aiuto del più vecchio e saggio marito. Ma non si presentò il soccorso desiderato. Inutili le preghiere, inutili le grida rivolte al cielo.
Rotti gli argini, le acque corrono, ovunque, senza meta, travolgenti, strappando alla terra ciò che con essa finora avevano contribuito a creare. Così i brividi percorrevano le piccole membra, e tante, strane, nuove sensazioni vorticavano nella testa del pargolo. Allo stesso modo, così come passavano, scorrevano via, lasciando dietro a sé tabula rasa, terre private in un attimo della propria identità millenaria. Si svuotava in fretta la mente del bimbo; solo una voce risuonava costante, che lo invitava a piangere. Perché? Non importava. E lui piangeva e strillava, paonazzo il volto, bollente la fronte. Di tanto in tanto le urla erano interrotte da violenti colpi di tosse e affanni dovuti alla malattia. Così passavano le giornate finché, esausto, il piccolo si arrendeva al sonno.
Il silenzio allora offriva compagnia alla giovane, rimasta sola, lasciata sola. I pensieri che affollavano la sua mente erano rivolti tutti al Signore: preghiere affinché il bimbo guarisse, affinché il pastore tornasse, affinché tutto ciò finisse. Pregava per scacciare la solitudine, parlava col suo dio per cercare conforto. Monologhi. Da tempo, dentro di sé, percepiva un distacco, che col passare dei giorni veniva accentuandosi, con l'Onnipresente, che da molto pareva non visitare la sventurata famiglia. In tal modo la fede a poco a poco veniva meno, e speranza e devozione lasciavano spazio alla rabbia di chi si sente perso, impotente, senza la propria Guida. Senza sapere così quale strada percorrere, arrivando a guadare il fiume dell'oblio e della sofferenza, della disperazione e del rancore.
Ma come portare rancore nei confronti di Colui che dona la vita e tutto ciò che essa comporta? La distanza genera dubbi e paure, che sanno dell'odio di chi si sente tradito e di diffidenza. E la fede si irrigidisce, e si spezza il legame che collega l'anima a chi ne tiene le redini.
Prese ancora il panno, già umido, e lo immerse nel catino, cosicché si impregnasse di acqua fredda. Lo poggiò quindi sulla fronte del piccolo privo di sensi. Lo sguardo materno cullava il bimbo, mentre grosse lacrime scorrevano luogo i dolci lineamenti del suo viso. Un amaro sorriso pieno di dolcezza rivolse a ciò che del suo amore ancora le stava accanto. Distolse lo sguardo poi, non riuscendo a sostenere la vista del piccolo stravolto. La tristezza prevalse allora sulla tenerezza e fu un'espressione cupa quella che sondò il cielo, forse in cerca di risposte, di Qualcuno.
Rimase sola quella notte. Soffrì, attendendo il pastore fino a ora tarda, prima di lasciarsi andare alla stanchezza e trovare difesa e conforto da quella vita in un altro mondo, fatto di eterni momenti di felicità, ove il tempo lascia il suo posto ai giochi della mente e alle fantasie di chi ha bisogno di un rifugio e del calore di se stesso, quando vien meno l'affetto del proprio compagno e del proprio Creatore.
XC: BATTESIMO
Quella mattina, come di consueto, fu il bimbo a cantare prima del gallo. Era particolarmente presto, il cielo ancora completamente buio, quando si destò la creatura, cominciando le sue grida mattutine, a cui i vicini si erano ormai abituati. La donna, sentendo il pianto del figlio, lo raggiunse di corsa. Ormai abituata a quella situazione percorreva il solito tratto meccanicamente, nonostante la debole luce lunare che permetteva la visione di qualche ombra, non di più.
Subito lo prese in braccio e lo zittì porgendogli la poppa. Pensava al marito, rientrato il giorno prima, stanco, sperando che non fosse stato svegliato anch'egli.
Dopo aver allattato il bimbo, tornò in camera. Si mise a sedere sul letto, guardando il nero, vuoto di fronte a sé. Recitò le stesse preghiere di sempre, che i suoi genitori le avevano insegnato ai tempi della sua innocenza, ma molto era cambiato. Pregava meccanicamente, così come percorreva ogni notte la stessa distanza dalla propria camera alla culla, senza pensarci. Pregava, ma senza la concentrazione necessaria. Senza la mente e senza il cuore. Senza l'anima.
Si distese quindi, chiuse gli occhi e cadde in un sonno profondo. I suoi pensieri erano tutti rivolti alla mattina prossima, in cui si sarebbe recata in chiesa, nel giorno in cui il piccolo sarebbe entrato a far parte della schiera di quei fortunati che vivono nel nome del Signore, e che in Esso troveranno poi la salvezza.
Ma il suo sonno fu inquieto.
Il primo raggio di sole, debole, filtrato dalle fredde nuvole che coprivano il cielo, fu sufficiente per svegliare la giovane. Non si sforzò ad aprire gli occhi, fece un profondo respiro e sorrise, pensando all'importanza di quel giorno. Un momento, e la felicità fu spazzata via dall'impeto di un vento che da tempo soffiava nell'animo di lei, rafforzandosi sempre più, alimentato dalla sofferenza dell'abbandono, e che ormai si apprestava a esplodere in una terribile tempesta. Allungò la mano per accarezzare e svegliare l'amato con dolcezza, ma quel che trovò fu solo il materasso vuoto e freddo.
Di colpo spalancò le palpebre, si mise in piedi e corse alla porta, seminuda. Guardò in direzione dell'ovile: vuoto. Si lasciò cadere in ginocchio, senza piangere. Si rialzò quasi immediatamente, per poi avvicinarsi alla culla e svegliare e preparare il bambino. Piangeva lui, forse perché svegliato bruscamente, forse perché affamato, forse perché malato. Forse perché percepiva la mancanza di qualcosa che l'aveva sempre circondato in presenza di quella donna che da sempre lo accudiva e nutriva. Perché anche le bestie sono fedeli alla mano che le nutre, così come stanno alla larga da chi prova avversione nei loro confronti.
La donna maneggiava il bimbo freneticamente, lo sguardo nel vuoto. Si chiedeva il perché di un simile gesto, il perché di un tale tradimento, l'abbandono della propria moglie e del frutto del loro amore, nel giorno più importante della sua infanzia. Implorava il Signore di darle delle risposte, quelle che ormai da tanto tempo la sua fede non le sussurrava più all'orecchio. Echeggiò cupo il silenzio nella stanza, e dentro lei.
La cerimonia sarebbe stata celebrata presto, ma la donna si recò in chiesa ugualmente molto prima del previsto.
Sola, affiancata dal figlio, ancora estraneo a quel mondo, osservava il crocefisso, ardente di desiderio di risposte, a partire da una domanda che era arrivata a porsi quello stesso giorno. Ma nessuno seppe dire perché il suo dio l'avesse abbandonata. La passione con cui si rapportava al Cristo, col passare dei minuti perdeva d'intensità, rivelando la rabbia di un figlio dimenticato.
Un picchiettio cominciò a rompere il silenzio, aumentando d'intensità a poco a poco, fino a coprire il rumore dei fedeli che ormai si accingevano a varcare la soglia del luogo sacro.
La chiesa iniziava a riempirsi, ma lei pareva non accorgersene. Chiedeva, ma si sentiva solo più lontana. I pensieri, intrisi d'ira, sfogavano il dolore premendo sui chiodi, a cercare di crocifiggere il figlio dell'uomo ancora una volta.
Pioveva forte. Suonarono le campane. La cerimonia ebbe inizio. Sola, si avvicinò all'altare, il bimbo tra le braccia, nel momento del battesimo, guardando il sacerdote scura in volto. Arrivò ai piedi dell'altare e l'uomo iniziò a parlare. Lei non lo ascoltava. Pensava agli avvenimenti che avevano segnato quei tre mesi. La nascita e i festeggiamenti, osservare crescere il proprio figlio. Le gioie, che in così poco tempo si erano tramutate in dolori. La perdita del marito era solo l'inizio: il bimbo sarebbe cresciuto e se ne sarebbe andato, pure lui. E con esso la fede. Sarebbe rimasta sola. Forse lo era già.
E il vento divenne tempesta. Un fulmine. La quiete dopo la tempesta. Le parole che la donna si disse risuonarono in tutta la loro superbia nella navata, così come nelle membra della giovane, svuotate della fede, dell'anima, nel momento in cui restò sola per sua scelta, la scelta di rinnegare il dio in cui aveva sempre creduto.
Il silenzio. Poi un rombo. Le porte si spalancarono al passaggio della Nera Madre, giunta a riscuotere il suo tributo. Cedette la prima, poi la seconda, poi la terza trave, di quelle che reggevano il soffitto. In pochi attimi l'edificio si sgretolò sui presenti, inghiottendo i fedeli.
Di cosa si macchiò la giovane.
E fu dato lei un dito. E la Nera Madre si prese tutto il braccio.
XC: EPILOGO
Il cielo riversò la propria ira sulle rovine. La pioggia incessante scorreva lungo le vie e tra i resti dell'edificio crollato. I testimoni, immobili assistettero alla scena. Troppo debole il pianto dell'unico sopravvissuto per essere udito dai presenti.
Novanta giorni per venire al mondo, saper dare un volto ai propri genitori. Novanta giorni per conoscere il proprio futuro, per vederlo sgretolarsi in pochi attimi. Cosa di tutto ciò poteva capire quella creatura? Non comprendeva dove si trovasse, sapeva solo di aver smarrito il calore della madre. Piangeva invano.
Cosa aveva fatto per meritare tutto ciò? Non lo sapeva, ma in fondo cosa sapeva? Sorridere alla donna che lo nutriva e all'uomo che lo faceva addormentare. Niente di più. Mera esistenza, senza significato. Così come lo era ai suoi occhi ogni evento.
La pioggia perse d'intensità. Ora le urla erano più distinte. Forse qualcuno avrebbe potuto udirle, trovare il bimbo e dargli una nuova speranza.
La Signora Morte aveva ormai compiuto il suo dovere. Vagava tra i cadaveri, vogliosa di saziare i suoi appetiti ancora. Ma una sola anima risiedeva ancora nel corpicino a cui il Signore l'aveva affidata.
Per un peccato cento furono i condannati. Ora il buon Dio giudicherà. Il Maligno prenderà in affidamento colei che su suo esempio si staccò dal suo creatore. Chi sarà giudicato degno verrà glorificato dinnanzi al Signore. Così la Sua volontà si compirà. Perché questo è importante, la salvezza, la vita eterna. Qualcun altro si interessa di dividere il corpo dall'anima.
La capricciosa Morte prese tutto ciò che volle, non curante del volere divino. E il Divino non si oppose alle sue richieste. Lasciò che la Figlia agisse secondo la sua volontà, nel bene e nel male.
La pioggia cessò. Il cielo cominciò ad aprirsi. Il bimbo, gelato, gridava con le ultime forze la sua voglia di vivere al cielo. I testimoni, a poco a poco, iniziarono ad avvicinarsi alle macerie. Le speranze crebbero assieme alle urla del piccolo, che ormai sole rompevano il silenzio del luogo.
Poi tutto tacque. Il Nero Manto calò su di esso.
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