racconti » Racconti brevi » In quel campo da calcio di Kiev
In quel campo da calcio di Kiev
Quel giorno, nel Febbraio del 1943, faceva freddo. Quel freddo che solo l'inverno ucraino poteva presentare. Una brezza gelida si alzava, quella mattina, nei pressi della città di Kiev. A Babij Jar, per l'esattezza. Questo era il nome del fossato, dove, nelle notti del 29 e del 30 Settembre di due anni prima, a dieci giorni dall'invasione nazista dell'Ucraina, vennero gettati i corpi esanimi di 33mila ebrei. Trucidati da scariche di fucili. E quel giorno, quel gruppo di uomini, vestiti di pezze e denutriti, sapeva a cosa stava andando incontro, in piedi sul ciglio di quella che ormai era divenuta una fossa comune. Di fronte a loro, una schiera di soldati dalla divisa scura e col simbolo dell'aquila sul taschino destro pronta a fare fuoco, con i fucili spianati. Mancava solo l'ordine per l'esecuzione.
Ormai la sorte era segnata. Ma nella massa di prigionieri, ce n'erano tre che il destino lo avevano già sfidato. E battuto. Di fatto firmando la propria condanna a morte su un campo di calcio, qualche mese prima.
Si chiamavano Nikolai Trusevich, Aleksey Klimenko e Ivan Kuzmenko, ed erano, rispettivamente il portiere, il capitano e l'attaccante della gloriosa squadra della Dynamo Kiev.
Il 19 Settembre 1941 la Germania invadeva l'Ucraina, che era una delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Ogni attività che poteva divertire, distrarre e dare qualche speranza alla gente, veniva bandita. I cittadini ribelli venivano torturati e mandati nei campi di concentramento, mentre coloro che preferivano collaborare con il nuovo regime venivano graziati. I restanti erano costretti ai lavori forzati, alla fame e alla lotta per la sopravvivenza. Ovviamente gli sportivi non se la passavano meglio. Squadre e circoli venivano sciolti, per cui chi viveva di sport, doveva arrangiarsi come poteva. E anche al calcio toccava la stessa sorte. Ed ecco che poteva succedere, durante una camminata per le strade di Kiev, di incontrare qualche giocatore di calcio importante, costretto alla fame e vestito di stracci. Proprio in questo modo, Josif Kordik, di professione panettiere e di origine tedesca, quindi ben visto dagli ufficiali nazisti, nella Primavera del 1942, incontrò l'ormai ex portiere della Dynamo Kiev, Trusevich. Grazie a qualche sotterfugio e a delle conoscenze Kordik riuscì a portarsi in panetteria il giocatore, come aiutante. Ma non si fermò qui, e dopo una ricerca incessante tra i quartieri della città, riuscì a ritrovare e in qualche modo sfamare ben otto elementi della prestigiosa squadra. A cui si aggiunsero tre membri della Lokomotiv Kiev. In quel momento, Josif era ancora ignaro di aver contribuito alla creazione di una leggenda. La leggenda dello Start, la squadra che sconfisse il nazismo.
Di lì a poco, per fatalità, i tedeschi decisero di organizzare un torneo di calcio. In apparenza, illudendo la gente di un ritorno alla normalità, in sostanza per dimostrare di essere più forti degli ucraini, non solo militarmente, ma anche nel loro sport nazionale. Kordik non perse l'occasione e iscrisse la sua squadra. Al mini campionato presero parte anche quattro squadre formate da soldati tedeschi, due da romeni e ungheresi loro alleati e una da ucraini sostenitori del nuovo regime. L'esito delle partite iniziali era scontato, per quanto spossati e debilitati a livello fisico, i giocatori dello Start erano pur sempre dei professionisti. E la differenza con le altre compagini era notevole. I collaborazionisti ucraini del Rukh vennero sconfitti 7-2, quelli romeni 11-0... La squadra volava, sei partite, sei vittorie, 38 gol fatti. E le conseguenze di questi risultati furono strabilianti. La gente, sempre più numerosa, affollava le recinzioni dello stadio Zenit, teatro delle sfide, per veder giocare quei fenomeni. Come se lo Start rappresentasse la speranza di rivalsa per coloro che da troppo tempo ormai subivano ingiustizie, vessazioni e umiliazioni dal crudele invasore. Gli ufficiali nazisti, sempre presenti ai bordi del campo di gioco, con tanto di mitragliatrici per evitare qualsiasi tipo di disordine o tentativo di fuga, inizialmente non si preoccuparono più di tanto perché erano convinti che la loro formazione, il Flakelf, costituita da militari della Luftwaffe ben allenati e soprattutto ben nutriti, potesse agevolmente sconfiggere l'improvvisata e malmessa banda ucraina, distruggendo i sogni del popolo.
La finale si disputò il 6 agosto 1942. La gente accorsa allo stadio era numerosa e speranzosa di vedere una nuova vittoria dei propri beniamini i quali, non risposero al saluto prepartita. All'"Heil Hitler" non si mossero e nemmeno chinarono il capo. Ai nazisti, evidentemente, quest'atteggiamento non piacque molto, per cui ordinarono ai loro uomini di giocare molto duro e di non preoccuparsi, visto che pure l'arbitro era tedesco... Ma, come nelle belle favole, gli ucraini umiliarono gli avversari con un eloquente 5-1. Per gli occupanti fu uno schiaffo pesantissimo, non solo dal punto di vista sportivo. Quella sconfitta, riportò sorrisi e speranze al popolo sottomesso da troppo tempo. Le prestazioni dello Start furono un simbolo di rivalsa, tanto che prima di quella partita, molte persone fecero pervenire tute, calze e scarpe da gioco ai calciatori, i quali fino a quel momento si vestivano come potevano. Ovviamente il torneo non poteva finire in quel modo ed allora per evitare eventuali imbarazzi e ribellioni, i tedeschi organizzarono una rivincita. Per essere ancor più sicuri di una vittoria, decisero di rigiocare pochi giorni dopo, in modo che la propria formazione potesse annientare fisicamente quella avversaria, molto più stanca e con le energie ormai esaurite.
Il 9 Agosto allo Stadio Zenit, si giocò una nuova sfida tra le due compagini. Lo Start si schierò come sempre con il portiere Trusevich tra i pali, in difesa Sviridovskiy, Korotkikh, Klimenko, Tyutchev, a centrocampo Putistin, Melnik, Balakhin e in attacco Sukharev e Kuzmenko a supportare il grande centravanti Goncharenko. I nazisti, per non lasciare nulla di intentato, designarono come arbitro un ufficiale delle SS. Costui, nel prepartita, intimò ai campioni ucraini di lasciare vincere i rivali e di rispondere al saluto nazista, altrimenti sarebbero stati guai grossi. I giocatori non accettarono e anzi risposero con un "Fitzcult Hurrà" (Viva lo Sport). La tensione a quel punto fu alle stelle. Le intimidazioni passarono dalle parole ai fatti. Il Flakelf giocò duro fin dall'inizio, picchiando gli avversari con entrate censurabili, non fischiate dal direttore di gara. E come fu prevedibile, passarono in vantaggio con un gol in nettissimo fuorigioco. A quel punto lo Start cominciò a giocare alla solita maniera e in venti minuti realizzò la bellezza di tre gol. Il pareggio firmato da Kuzmenko con un tiro da fuori area ben angolato, fu il preambolo alla doppietta di Goncharenko, il grande bomber della Dynamo Kiev. Nell'intervallo, un altro ufficiale si presentò davanti agli ucraini, minacciando la loro vita se non avessero fatto vincere i tedeschi. Dopo un tempo così duro, e l'accumulo della fatica, la seconda frazione risultò molto impegnativa e sofferta. Infatti i soldati della Luftwaffe riuscirono addirittura a pareggiare. Anche la gente che attraverso le reti guardava la partita, a quel punto, cominciò a perdere le speranze. Si stava mettendo molto male per i loro beniamini. La sofferenza era tanta, le forze allo stremo. Ma dove non arrivò il fisico, ci pensò la mente, l'orgoglio, la voglia di vincere molto di più di una partita, farlo per quelle persone, trepidanti, che non avevano più nulla, né soldi né cibo, ma solamente il tifo per loro. Un'ultima speranza. E i campioni non tradirono, altri due gol nel giro di pochi minuti, 5-3! Ma la vera soddisfazione, lo schiaffo al regime arrivò verso la fine quando uno dei giocatori simbolo, Klimenko, si fece palla al piede tutta la metà campo avversaria, dribblando ad uno ad uno tutti i giocatori avversari, saltò perfino il portiere puntando dritto a rete. La sesta segnatura era praticamente fatta, e invece no. Klimenko si fermò con il pallone proprio sulla linea di porta, sorrise, un ghigno beffardo, si girò e ricalciò il pallone verso il centro del campo. Una dimostrazione di superiorità. Un'umiliazione di quelle che fanno male. Quel gesto fece capire che potevano minacciarli, picchiarli, rigiocare altre volte, ma avrebbero sempre e comunque vinto, addirittura permettendosi di segnare quando volevano. Così finì. Da quel momento ai giorni successivi, iniziò la tanto paventata rappresaglia. Da quel momento, Start-Flakelf allo Stadio Zenit del 9 Agosto 1942 verrà ricordata come la Partita della Morte. La Gestapo arrestò otto giocatori, perché tre riuscirono a scappare. Nikolaj Korotkikh, il terzino, non sopravvisse alle torture, quattro finirono ai lavori forzati lì a Kiev, malmenati e in fin di vita, e gli ultimi tre vennero deportati al campo di concentramento di Sirets, comandato dal carnefice Paul von Radomski. Colui che dava gli ordini di fucilare un prigioniero ogni tre sul fossato Babij Jar.
In quegli istanti che separavano la vita dalla morte certa, il pensiero di Nikolai Trusevich andava a quel giorno in cui incontrò quel panettiere, Josif, che lo tirò via dalla strada sporca e polverosa e che gli ridiede la speranza ormai abbandonata di giocare a calcio e di rivedere i suoi compagni. Tornare protagonista tra i pali, anche se solo per poche partite, acclamato dalla gente, come ai tempi in cui vinceva i campionati con la Dynamo Kiev.
Quella giornata così gelida, la terra congelata sotto i piedi, il respiro affannoso e rantolante dei compagni. Il silenzio rotto solamente dal rumore delle pallottole caricate nei fucili. E quella palla, come se fosse ancora lì in quel momento, davanti ai suoi occhi, che rimbalzava appena fuori dall'area di rigore. Sembrava lo chiamasse, che gli parlasse, che lo invitasse a calciarla di nuovo, ancora una volta, per l'ultima volta. Quella gamba destra che si alzava, il corpo che s'abbassava in avanti, il piede sinistro d'appoggio ben saldo al terreno, gli occhi che scrutavano quell'angolo di porta sguarnito. Quell'impatto, al volo, così preciso con il pallone, un tiro secco, angolatissimo, imparabile. Da lasciare di sasso il portiere avversario. Quella gioia, l'ultima ma la più bella, la più sentita, che non proverà più. Quella palla che rimbalza sarà l'ultimo ricordo di Ivan Kuzmenko.
L'ufficiale in divisa era pronto, il braccio iniziava ad alzarsi per dare l'ordine. Un lampo e sarebbe finito tutto. Un lampo, ecco cosa sembrava Alexei Klimenko quel 9 Agosto quando dalla sua metà campo iniziò a saltare gli avversari come birilli. Un lampo. Così veloce che nessuno lo poteva fermare. Prima uno, poi l'altro, uno slalom inarrestabile e impeccabile. Prima verso destra, poi a sinistra, una scivolata evitata di qua, una spallata ribattuta di là. Nessuno poteva stargli dietro. Nessuno. Nemmeno il portiere fu così veloce e tempestivo, saltato di netto. E quella palla destinata in rete che di colpo si fermava. Quel piede sopra di essa le impediva di entrare. Fare gol non sarebbe bastato. Secondo Alexei, la lezione maggiore da dare agli avversari non consisteva nel segnare il gol, ne avevano già fatti cinque, ma nel non segnare volutamente. La dimostrazione di superiorità era ancora più netta in tal modo. Per questo si fermò e ricalciò il pallone verso il centro del campo, con quel ghigno di sfida che il formidabile Klimenko presentava anche quel giorno di fronte ai suoi carnefici. Così, questi tre eroi affrontarono quegli ultimi attimi. Quel braccio che si abbassava, quei fucili che sparavano, quei corpi che ricadevano all'indietro. Ma Trusevich, Kuzmenko e Klimenko avevano già vinto la loro guerra, avevano già riscattato le vessazioni di un popolo, in quel campo da calcio di Kiev, quel 9 agosto del 1942.
123
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
1 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
- Questo bellissimo racconto conferma che lo sport unisce è al di sopra di decisioni imposte. Anche l'Anschluss doveva essere una dimostrazione di superiorità anche sportiva. Ma Sindelar, per esempio, non volle starci...
- Vi ringrazio, infatti Antonio il prossimo racconto che pubblicherò (è al vaglio della verifica) ti potrebbe piacere.
- molto apprezzato complimenti
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0