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La leggerezza dell'orgoglio
Vienna, Cimitero Centrale, 23 Gennaio 1969, ore 11. 30. Giornata grigia. Un signore un po' avanti con gli anni, contempla con gli occhi lucidi la tomba di famiglia. Lì riposano sua moglie e sua figlia, morta una decina d'anni prima a causa di alcune complicazioni durante il parto. Le lacrime gli rigano il volto. La sua mano sinistra stringe quella di un bambino, che proprio quel giorno compie dieci anni. Il Signor Krausz con un fazzoletto a quadretti di stoffa si asciuga il viso. Non vuole che suo nipote lo veda in un momento di debolezza. Proprio lui, che ha vissuto anni durissimi durante la Guerra, non riesce a trattenere le proprie emozioni di fronte ai ricordi delle donne della sua vita. Tuttavia deve farsi coraggio, e invita il ragazzino a deporre un fiore e il sasso che aveva in mano sulla lapide in marmo.
-Nonno, dici che la mamma è contenta che siamo venuti a trovarla?
-Certo che lo è, come ogni volta che veniamo. Lei ti segue sempre.
-Perché io non ho potuto conoscerla?
-A volte la vita ci riserva delle sofferenze che non meritiamo e che non capiamo- risponde laconico il nonno - Su, è ora di andare, saluta la mamma e la nonna. Oggi è pur sempre il tuo compleanno, dobbiamo festeggiare. E poi, tuo papà fra poco uscirà da lavoro. Sai, oggi si è preso il pomeriggio libero per stare con te.
Il nonno e il nipote, sempre mano nella mano, s'incamminano verso l'uscita. L'attenzione del bambino, però viene catturata da un gruppetto di persone ad un centinaio di metri da loro. Sono in atteggiamento di preghiera nei pressi di un mausoleo, molto bello e ben curato. Alla base di esso, si trova una corona di fiori bianchi legati assieme da nastri color malva. Il ragazzino si blocca, incuriosito da tutte quelle persone e chiede al nonno lumi sul perché di quella funzione.
-Vedi, quella è la tomba di un personaggio molto importante della nostra città. E quei signori sono lì a rendere omaggio al suo ricordo. Come abbiamo fatto noi con la mamma e la nonna.
-Quindi, sono tutti parenti quelli lì?
-No no, almeno non tutti. Anzi, credo proprio che di parenti non ce ne siano.
-E allora chi sono?
-Alcuni sono amici, altri sono vecchi compagni di squadra, altri ancora sono dei dirigenti dell'Austria Vienna.
-Austria Vienna? - gli occhi del bambino si illuminano di colpo perché è la squadra per cui lui e tutta la sua famiglia fanno il tifo.
-Sì, la squadra di calcio.
-Lui era un giocatore?
-Esatto. Il più importante di sempre.
-Allora deve essere stato proprio forte.
-Certamente. Ma è stato pure qualcosa di più di un semplice giocatore. Sai, ora dobbiamo andare, ma se vuoi più tardi, con calma ti racconto la sua storia.
-Sì nonno, mi piace quando mi racconti le storie.
-E questa ti piacerà ancora di più visto che riguarda la nostra formazione preferita.
Mentre i due s'allontanano, una bava di vento si alza e uno spiraglio di luce illumina la città. I fiori bianchi nastrati di viola malva si muovono leggermente alla base del mausoleo. La funzione è finita, le preghiere sono state ascoltate e i sassi messi al loro posto.
Ogni anno, in quel giorno, a quell'ora, da ormai trent'anni, un drappello di persone si ritrova a commemorare un giocatore di calcio che ha fatto prima gioire e poi piangere migliaia di tifosi. Ma soprattutto, ha reso orgogliosi tutti gli austriaci.
Il vento comincia a soffiare con insistenza. Il giorno sta volgendo al termine. Il cimitero si sta svuotando e il buio incombe. L'aria è talmente fredda e secca che i lumini vanno via via spegnendosi. Solo uno resiste a lungo. Appartiene a quel mausoleo, dove quella mattina c'era stata la funzione commemorativa e dove per tutto il giorno si erano alternate persone arrivate li anche solo per un rapido segno della croce. La luce della candela a fatica rimane accesa. Fioca, ma sufficiente ad illuminare le lettere del cognome. Sindelar.
Quella sera, finita la cena il bambino era pronto per andare a dormire. D'altronde il giorno dopo c'era scuola. E lui aveva passato una giornata stancante. Al pomeriggio con papà e nonno se n'erano andati in giro per Vienna a mangiare degli ottimi dolci e a bere una cioccolata calda. Poi si erano messi a giocare a pallone in un campetto vicino a casa. Infine prima di cena, si erano divertiti, anche i due adulti come ragazzini, a far correre un trenino su delle rotaie appena montate. Quello era il regalo per il compleanno del bimbo. Il 23 Gennaio per quella famiglia è un intreccio di gioia e di tristezza per il ricordo della madre, morta troppo presto. Però quella giornata era volata via spensierata. Probabilmente il passare del tempo rende meno amaro il passato e più sereno il futuro. Ma il ragazzino non ha dimenticato le parole di suo nonno quella mattina e gli ricorda la promessa del racconto.
-Va bene. Infilati il pigiama e corri sotto le coperte che te la racconto prima che ti addormenti - Così l'anziano signore, una volta che il nipotino speranzoso si è sistemato, si siede sul bordo del letto e inizia a ricordare.
-Il calcio è sempre stato il mio sport preferito. Purtroppo, quando ero ragazzino c'ho giocato poco, con lo scoppio della Grande Guerra, il più delle volte eravamo costretti a barricarci in casa. Mi ricordo che stavamo rintanati, aspettando le notizie dal fronte. E spesso erano brutte. Mio padre non fece più ritorno, morì sull'Isonzo, come tanti altri austriaci e italiani. Poi però lo sport ci servì per distrarci e così in molti cominciarono a giocare a calcio. Io facevo l'attaccante, ma in realtà non ero molto bravo. La passione incideva molto più della tecnica. In seguito, con la morte di mio padre, io e i miei fratelli iniziammo a lavorare perché, sai, dovevamo pur guadagnarci da mangiare. Quindi portammo avanti la panetteria di famiglia, la quale ci consentiva di vivere bene. Sai, anche se la gente si era impoverita, del pane comunque avevano bisogno. C'era chi non mangiava altro perché non si poteva permettere di più.
-E non hai più giocato a calcio?
-Purtroppo no, dovevamo lavorare tutti i giorni. Sai, in quegli anni non era come adesso, dovevamo ripartire, il nostro paese a causa della guerra aveva subito delle conseguenze pesanti, e quindi si doveva faticare. Però lo sport non si era mai fermato e soprattutto il calcio attirava l'attenzione di tutti. E nonostante le difficoltà, negli anni Venti con una leggera ripresa economica, il pallone divenne l'attrazione principale, tanto che il campionato austriaco passò da amatoriale a professionistico. Sai, a quei tempi solo in Inghilterra era così, poi venimmo noi. E di conseguenza tutte le squadre diventarono più forti perché i giocatori si allenavano ogni giorno e giocavano a calcio di mestiere.
-Anche a me piacerebbe diventare un calciatore!
-Piccolo, magari lo diventerai. Intanto pensa a divertirti giocando.
-Sì e così divento come Koglberger e faccio tanti gol!
-Eheh, speriamo che continui a segnare, così quest'anno ci conduce ad un altro titolo nazionale. E a proposito di Austria Vienna, proprio in quegli anni, nel 1926, prese questo nome, perché diventò professionista. E si accentuò la rivalità con il Rapid Vienna.
-Il Rapid? Bleah, che schifo!
-Eheh, loro erano i nostri rivali, ed erano fortissimi. In quegli anni ci alternavamo nelle vittorie. Spesso andavo a vedere l'Austria Vienna allo stadio. Ma i derby contro i biancoverdi del Rapid erano troppo belli. C'erano giocatori fortissimi, tra i migliori d'Europa, ma ce n'era uno in particolare che lasciava tutti a bocca aperta.
-Chi era nonno? Chi era?
-Calmo, ti spiego tutto un po' alla volta. Era un ragazzo molto magro, di certo non aveva il fisico d'atleta, ma era velocissimo, dribblava gli avversari con una naturalezza tale da lasciarli di sasso. Aveva un'ottima tecnica e non sbagliava un controllo di palla. E giocava sempre con una vistosa fasciatura al ginocchio destro. E segnava valanghe di gol. E sai come lo chiamavano? Cartavelina.
-Cartavelina!?
-Sì, perché era esile e correndo sembrava volasse via, sgusciando tra gli avversari, come fosse, appunto, un foglio di carta velina. Grazie a lui, la nostra mitica squadra dell'Austria Vienna vinse diversi campionati e un paio di Coppe Europa, che era l'antenata della Coppa dei Campioni attuale. Pensa se oggi l'Austria Vienna vincesse la Coppa dalle grandi orecchie che festa ci sarebbe.
-Eh sì, sarebbe bello. Ma non credo possa accadere, vero nonno?
-Purtroppo no, almeno per un po' di tempo temo non ci saranno glorie così alte. E siccome a livello internazionale le squadre austriache ottenevano grandi risultati, di conseguenza pure la Nazionale giocava molto bene. E il nostro amato Cartavelina era il giocatore più importante. Pensa che in una partita contro l'Ungheria fece ben tre gol...
-Tre gol?
-Già e ben cinque assist, tanto che la partita finì 8-2...
-Aspetta nonno, lui ha fatto tre gol, e cinque assist, otto gol in tutto. Quindi, tre più cinque fa otto. Ha fatto tutto lui!
-Eheh esatto, ed era quasi sempre così. Te l'ho detto che era il più forte. E un'altra volta in casa dell'Inghilterra segnò un gol partendo addirittura da metà campo, scartando tutti gli avversari. Gli inglesi, che non perdevano mai in casa, quella volta tremarono così tanto che poi alcune squadre britanniche gli offrirono di giocare lì, anche se la partita l'Austria poi la perse 4-3. Ma lui rimase sempre fedele all'Austria Vienna. Dove giocò finché poté farlo.
-E poi?
-E poi, niente, si ritirò.
-Quindi, nonno, questa è la storia del signore a cui stamattina portavano i fiori? - domanda ormai assonnato il bambino, sbadigliando.
-Esatto. Lui è stato il giocatore più forte che ci sia mai stato in Austria. E così ogni anno ricordano la sua morte.
-Ma portano i fiori a tutti i giocatori?
-No, solo a lui.
-E perché?
-Ora devi dormire, che sei stanco, te lo racconterò più avanti... - il ragazzino chiude gli occhi e prima di prendere sonno si rivolge al nonno
-Questa notte sognerò di essere come Cartavelina... - e scivola nel sonno.
Il Signor Krausz rimane a guardare il nipotino dormiente. No, non può dirgli perché Matthias Sindelar detto Cartavelina sia diventato una leggenda austriaca. Almeno, non ora, più avanti probabilmente, quando studierà e capirà bene cosa è accaduto all'Austria dopo il 1938 e alla propria popolazione. Soprattutto a quella di origine ebrea.
Però, lui si ricorda ancora bene quel 3 Aprile del 1938, quelle bandiere sventolanti sugli edifici pubblici, ornavano tutta la città di Vienna. Sembrava una giornata di festa, ma solo in apparenza, perché quelli erano stendardi nazisti. Era da poco avvenuto l'Anschluss, ovvero la pacifica annessione dell'Austria alla Germania nazista nel nome del Pangermanesimo. Gli austriaci avevano perso la loro sovranità. Il Signor Krausz non dimentica quel vento freddo che arrossava il suo volto mentre si stava incamminando verso il Prater, lo stadio principale di Vienna. Un vialone costellato dal volteggio delle croci uncinate, quasi a schernire coloro che vi passavano sotto. Quel giorno, al Prater, non giocava l'Austria Vienna, e nemmeno il Rapid. Non ci si giocava il titolo del campionato austriaco e nemmeno una semifinale di Coppa Europa. Quel giorno era stato scelto per celebrare la grandezza della Germania che avrebbe affrontato per l'ultima volta l'Austria, che dopo quella gara si sarebbe unita anche calcisticamente ai teutonici. Ovviamente, nei piani dei nazisti questo doveva sembrare una fratellanza, donare un ultimo onore ai nuovi sudditi per poi inglobarli definitivamente, in ogni campo. Economico, militare, politico. E anche sportivo.
Sessantamila persone gremivano il Prater sotto lo sguardo attento dei gerarchi nazisti. E tra loro c'era anche il Signor Krausz, il quale sentiva nell'aria qualcosa che non andava. Troppa quiete, troppa tranquillità. I classici presagi prima della tempesta.
Quell'annessione calcistica non era casuale. Il giugno successivo si sarebbero svolti i Mondiali di calcio in Francia e la Germania, dopo il terzo posto di quattro anni prima e gli schiaffi atletici di Jesse Owens alle Olimpiadi di Berlino del 1936, non poteva rischiare altre battute d'arresto significative. Loro si ritenevano la Grande Germania e per essere tale anche in campo calcistico puntarono sull'ossatura dell'Austria che nel Mondiale del '34 arrivò in semifinale, battuta solamente dall'Italia, poi campione. Ai tedeschi, dotati di grande forza fisica, mancava la fantasia e la tecnica, che avrebbero ottenuto con l'inserimento dei giocatori austriaci. Unendo questi campioni sotto un'unica bandiera, quella della Germania nazista, erano convinti di vincere il Mondiale. Ambizione necessaria per l'impeccabile macchina propagandista teutonica.
Il Wunderteam austriaco, così ribattezzato dopo che tra il 1931 e il 1933 in 16 partite ne vinse 12 perdendone solo due, compresa la partitissima in Inghilterra, aveva in questo fenomeno tanto esile quanto letale per gli avversari, la punta di diamante. Matthias Sindelar però, un difetto, agli occhi dei tedeschi, ce l'aveva: era ebreo. E come lui, lo erano anche altri compagni di squadra, tra i più forti. Ma, pur di avere in squadra quel campione, i nazisti avrebbero chiuso entrambi gli occhi e ingoiato amaro. Una soluzione comunque, si sarebbe trovata. Intanto, c'era solo la formalità di questa ultima partita. L'atmosfera era incredibile: entusiasmo misto a tensione, tifosi sugli spalti convinti che quella fosse molto di più di una semplice partita di calcio. E questa sensazione ce l'aveva perfino Sindelar, mentre negli spogliatoi, con cura, si fasciava il ginocchio destro. Come sempre. Quasi un rito prima di ogni gara. Si ripeteva che quella commessa dalla Germania era un'ingiustizia, ne aveva parlato con i compagni. Ad alcuni di loro poco importava quale maglia indossassero, l'importante era giocare, altri però concordavano sul fatto che erano austriaci e non avrebbero mai giocato per la Germania, a costo di saltare un Campionato del Mondo, anche se con la partecipazione meritata sul campo. A Matthias, intento a legarsi le scarpe, ancora seduto sulla panchina, si avvicina Karl Sesta, suo compagno di squadra e grande amico, che gli appoggia la mano sulla spalla.
-Forza, facciamogli vedere a questi, qual è il Wunderteam!
A quel punto, Sindelar sorride, annuisce col capo ed insieme agli altri si inoltra verso l'uscita degli spogliatoi.
Ai giocatori austriaci, l'ingresso in campo dovette aver regalato emozioni enormi, con migliaia di occhi speranzosi puntati su di loro. Occhi di persone che almeno per quell'ultima volta volevano dimostrare il loro valore. Anche attraverso una partita di calcio. E questo i calciatori lo sapevano, le responsabilità che gravavano sulle loro spalle erano enormi. Vincere quella sfida, poteva essere paragonabile ad una battaglia, anche se senza sangue e sciagure, per una volta. Sindelar con gli occhi cerca la sua fidanzata, Camilla Castagnola, una ebrea italiana di Milano, conosciuta in ospedale dopo un infortunio occorsogli durante i Mondiali del 1934. Lei sorride, tesa. Sulle tribune c'è un altro sguardo che punta verso il campione austriaco. Quello del Signor Krausz, pieno di ammirazione e orgoglio. Con quello stesso sguardo osserva il sonno tranquillo del piccolo e ricorda ancora nitidamente il boato al gol di Sindelar. Quello decisivo. L'Austria vince 2-1 al Prater e i tifosi si lasciano andare e sfogano la loro gioia, anche se sarà l'ultima volta. E ricorda come i gerarchi nazisti fossero visibilmente imbarazzati di fronte a quella situazione, per loro assurda. Ma ciò che non cancellerà mai dalla testa è il rimbombo del battito del suo cuore, nel più assoluto silenzio dello stadio ammutolito mentre i calciatori austriaci si apprestavano a salutare la tribuna d'onore. Tutti avevano teso il braccio in segno di saluto e quindi di obbedienza all'invasore tedesco, tranne due. Matthias Sindelar, seguito da Karl Sesta, avevano fatto gelare i presenti. Chi per offesa ricevuta, chi per paura, timore e tanto orgoglio. Il campione non abbassa lo sguardo, non saluta, non s'inchina. Con lui ci sono coloro che non si sentono sottomessi. Lui è l'Austria.
Il Signor Krausz aveva già capito che il mondo non sarebbe stato più lo stesso, ancora prima della partita. Ma il gesto di Sindelar ha fatto ardere la fiammella patriottica dentro ognuno dei presenti. Anche se poi gli eventi sarebbero precipitati. Il nonno ricorda che quella fu l'ultima esibizione in Austria del suo beniamino. Ricorda che dopo l'Anschluss, gli ebrei vennero perseguitati, i loro negozi distrutti, intere famiglie deportate. Come la sua. Auschwitz, Treblinka, Dachau. Tanti, troppi non fecero ritorno da quegli inferni. Amici, parenti, genitori, fratelli. Nemmeno la panetteria si salvò. Solo lui e ancora non si rende conto come sia stato possibile, è riuscito a cavarsela. Il grande Sindelar non ce la fece e pagò caro quel gesto di disobbedienza al Prater. Intorno a lui fecero terra bruciata, non potè più giocare a calcio. L'Austria Vienna cambiò nome e dirigenza, cosi come le altre squadre. O eri con loro o eri una preda facile. Il Signor Krausz ricorda quel 23 Gennaio del 1939, le voci correvano svelte in una giornata così fredda. In una Vienna irriconoscibile, povera e triste, in un appartamento del quartiere Favoriten venne trovato il corpo senza vita di Matthias Sindelar e della sua compagna Camilla. Le indagini finirono ancora prima di iniziare. Suicidio e morte sopraggiunta per inalazione di monossido di carbonio a causa di una stufa difettosa fu la versione ufficiale. Non ci credette nessuno, tanto che qualche giorno dopo, ai funerali accorsero nonostante la presenza di gerarchi armati, migliaia di viennesi, soprattutto ebrei. Il Signor Krausz ricorda benissimo quel giorno, freddo e uggioso. L'ultimo ricordo di quel grande campione, l'ultimo lampo di vita, prima di essere preso con la propria famiglia, da lì a qualche tempo dopo e portato via. Ma non per sempre.
Con la mano accarezza la testa del piccolo, rimbocca meglio le coperte. Il viso inondato di lacrime. Troppi ricordi tutti insieme. Troppe emozioni. Come sentirsi rinato più di una volta. Quel giorno al Prater non se lo dimenticherà mai e quando sarà il momento racconterà al nipote di quel campione che si sobbarcò l'onore di un'intera nazione.
-Un giorno capirai. Un giorno ti racconterò tutto. Ti svelerò ogni cosa e ogni significato. E tu capirai. Buonanotte... Buonanotte, Matthias.
Salutato il bimbo, si alza, esce dalla stanza e chiude la porta.
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2 recensioni:
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- apprezzarto... complimenti.
- Bravo Alberto, una storia che mi era nota, diffondila, è un racconto che i ragazzini di oggi presunti campioncini in erba manipolati da procuratori senza scrupoli, devono conoscere. Complimenti.
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