racconti » Racconti del mistero » Le parole del signor Wilkinson
Le parole del signor Wilkinson
"Adrian! È questo il suo nome?"
La voce risuonò potente nel corridoio stretto che odorava di squallore. Ma nulla. Non pervenne alcuna risposta.
Dietro le massicce sbarre di una cella, annidato nelle tenebre e nel freddo, il ragazzo emise un gemito sommesso.
"MI RISPONDA!" latrò l'uomo con acuta perseveranza.
Adagio l'interrogato, un giovane ragazzo dalle cadaveriche fattezze, si alzò dal pavimento di pietra. Era calvo e magro, atrocemente magro, a tal punto che le ossa parevano bramare di uscire dalla sua sottile e morbida carne.
Era in piedi ora.
Il debole raggio dell'unica lampadina accesa proiettava la sua luce troppo in alto per poter investire il volto del giovane, rivolto al pavimento pietroso della cella.
Sospirò di nuovo, sfogando lievemente e con accorta educazione il dolore che opprimeva il suo cuore.
O forse no...
No! Non era dolore quello che stava sfogando. No, perché ora rideva. Rideva. Ma rideva... in modo vacuo. Orribilmente vacuo, tanto da far rabbrividire violentemente la pelle.
Passarono altri istanti dopo la risata e l'uomo che l'osservava non osò porgergli alcuna parola.
Istanti lunghi, infiniti.
Il volto poi s'alzò. Venne travolto da un fioco barlume. Lo sguardo si rivolse all'uomo che scorgeva dinanzi.
Gli occhi erano vitrei. Freddi e taglienti come frammenti di vetro.
E le labbra erano sottili come la sua pallida pelle, ma delicate, così soavemente delicate, pari alle labbra di una donna. Ed erano bianche. Sì, labbra bianche, come il chiarore delle neve.
Una lingua tagliuzzata fuoriuscì poi dalla bocca e si strofinò su quelle macabre labbra.
Esse s'accesero. Immediatamente. Divennero d'un rosso infernale, intense più del colore del sangue.
Ma l'effetto durò poco... fu fugace come il gusto salato d'una lacrima che in bocca si dilegua. Dopo pochi secondi esse impallidirono di nuovo, lentamente si schiarirono, affievolendosi fino a tornare a quel biancore spettrale.
"Sì, Adrian Wilkinson. Questo è il mio nome".
Una voce flebile era quella che s'era udita. Lieve, elegante, seducente, ma terribilmente innaturale.
L'uomo che l'ascoltò percepì una singolare sensazione nelle sue orecchie, sentì come dei deboli battiti percuotere la cute e poi un piacevole solletico che corse velocemente fino a qualche secondo dopo l'emissione dell'ultima parola.
Tentò di uscire da quello stato di strana ebbrezza, ci riuscì e riprese parola.
"Perfetto, signor Wilkinson. Lei è un pittore, giusto?"
"Oh! Essere! Certamente no. Io sono un essere umano. Questa è la mia natura. Ma ecco... sì, trovo quasi esageratamente dilettevole ricoprire candide tele di macchie e venature, e creare un nuovo mondo. Costruire, inventare, generare".
"Ma lei, signor Wilkinson, distrugge. Perché dice di amare la creazione, di amare il generare, se poi uccide? Uccidere non né costruire né generare, è distruggere, signor Wilkinson!"
Il giovane sorrise, come sorride una dolce madre al suo bambino che le porge domande. E poi parlò, sempre lentamente, scandendo perfettamente le parole, con quel timbro seducente.
"Si tratta di capire che la costruzione e la distruzione hanno la stessa anima... Ascolti Severino. Rifletta sul mondo più di quanto non abbia fatto fino ad oggi, la prego. E in modo diverso."
"Signor Wilkinson, ha ucciso lei la signorina Collins?"
"Sì"
"Perché l'ha fatto?"
"L'ho sentito, dentro me"
"E le è piaciuto... ucciderla?"
"Sì. È una sensazione straordinaria, signore, ne avevo bisogno"
"Lei mi sta dicendo..."
"... E poi avevo terminato il colore rosso della tempera. In qualche modo dovevo procurarmelo, non trova?"
"Lei mi sta dicendo che uccide... per divertirsi? Perché si annoia?"
"Oh sì, mi piace moltissimo. Devo creare e distruggere, signore. Sono la stessa cosa, e mi piace quando posso adempiere a questi occorri"
"Come sceglie le sue vittime?"
"Lo sento dentro me, signore. Me lo comunicano loro, in qualche modo, e io lo sento. Pulsa dentro me"
"Quando ha ucciso per la prima volta, signor Wilkinson?"
Il giovane ragazzo sospirò e poi si mise a sedere, s'accasciò sulla pietra. All'uomo parve di udire il suono delle sue ossa che si muovevano, sparendo rapidamente nel silenzio e nel buio della cella.
"Da bambino"
"Cosa uccise?"
"Piccole creature, signore, piccoli animaletti. Mi piaceva"
"Come ha iniziato?"
Il giovane sospirò ancora, rivelando la fatica che stava attraversando. La sua mente fluttuava, fluttuava, all'indietro, si calava nel tempo della sua breve esistenza.
Stava chiudendo lentamente i suoi occhi. Ci mise molto.
Quando le sottili palpebre toccarono la pelle, esse emisero un lieve rumore, che riecheggiò tra le pareti di due celle.
Attimi di silenzio.
Poi aprì gli occhi: avevano acquisito un debole colore, molto affine a quello delle arance, ma più chiaro, quasi trasparente.
"Avevo sei anni. Smisi di dormire la notte. Non ci riuscivo, non ci riuscivo più.
Udivo innumerevoli voci che invocavano il mio nome. Io sudavo, stavo male. E poi, quando riuscivo ad addormentarmi, dopo aver consumato un brevissimo sonno, LUI... mi raggiungeva e mi svegliava"
"Chi la svegliava?"
"Io piangevo, signore, come nella tragedia della tempesta, se la ricorda? Svegliandomi piangevo per sognare ancora"
"Chi la svegliava, signor Wilkinson?"
"Un rumore, signore. Era dentro me, lo udivo, si agitava nel mio corpo"
"Mi parli del rumore dentro di lei, signor Wilkinson! Cos'era?"
Il giovane aprì la bocca con l'intento di parlare... ma s'arrestò.
I suoi occhi, di quel vetroso arancio, si stavano impregnando di lacrime, che però non caddero, rimasero imprigionate sotto le sottili palpebre, e inumidirono le ciglia, così perfettamente somiglianti ai denti con i quali le piante carnivore consumano pacatamente le prede catturate.
I due occhi erano ormai gonfi, pregni di un pianto in attesa, mentre le bianche labbra divennero ancora più sottili, erano ormai due magre strisce di brina.
Poi s'aprirono, rivelando minuscoli e bianchissimi denti aguzzati.
Un improvviso tremore scosse il suo collo.
E riprese parola.
"... Era il battito del suo cuoricino. Pulsava dentro il mio. Lo udivo, lo percepivo."
Qualche istante di silenzio.
Un gemito proveniente da un'altra cella.
E Adrian proseguì il suo lento sussurro.
"Era il piccolo cuore di Cecil, il mio animaletto, la mia piccola creatura, un canarino, un canarino testa nera. Gli volevo bene. Ma il palpito del suo cuoricino cominciò a seviziarmi"
"Lo uccise?"
"Lo estrassi dalla gabbia. Lo sentii. Sentii il suo calore riscaldare il palmo della mia mano bambina. E sentivo... Oh, se lo sentivo, il battito del suo cuoricino. D'un tratto fui afferrato dal desiderio di estirpare quella fonte orripilante. Strinsi l'animale, ma timidamente. Sotto le piccole piume sentivo scorrere il sangue. La mia mano tremava, ma strinsi più forte, per un attimo. Mi fermai, il suo sangue riprese a martellare. Strinsi ancora. Il battito del suo cuore palpitava nel suo corpicino e nella mia mente. Poi il mio cuore divenne pesante, sì, perché l'inquietudine della creatura palpitava ora all'interno del MIO cuore. Divenne sempre più alto il suo suono, più acuto. PER DIO!!! Non potevo sopportarlo. Quel battito atroce! La mia mano tremava pari al corpo della bestiola. Strinsi ancora, ma in modo energico, forte, forte per l'ultima volta. E fu un attimo. Fuggevole. Ed era morto. Il mio terrore iniziale era divenuto... piacere, ed io non me ne ero nemmeno accorto. Adocchiai la mia mano sudicia di sangue, l'avvicinai al mio naso ed inspirai. Annusai l'odore, signore. E sa quale odore mi venne in mente annusando il sangue di quell'animale? Mi venne in mente l'odore delle alghe che riposano sulla spiaggia, folte, verdi, stanche"
"Quando, signor Wilkinson, è passato ad uccidere un essere umano?"
Il ragazzo si spostò ancora un po' verso la tenebra della sua prigione.
Rimasero solo due luci fioche a testimoniare la sua presenza, le luci dei suoi occhi, che parevano sospese nel buio della cella.
"Compiuti i sedici anni, signore"
"Me ne parli!"
"Ero molto legato ad una ragazza. E una notte... eravamo soli in casa. Salimmo in mansarda e lì... non ricordo cosa accadde. Qualcosa di sinistro. Lei aveva molta paura. Stava piangendo, sì, questo lo ricordo. Piangeva quasi vergognandosi del pianto, e così lacrimava il silenzio. Io... non so se le parlai o rispettai il suo tacere, ma... pativo per lei. Udirla lacrimare sotto quella tacita notte esasperò la mia inquietudine. Poi lei, d'un tratto, per ottenere conforto, si avvicinò a me, e mi abbracciò. Eravamo uniti, stretti in quell'abbraccio. Tentai di consolarla, e d'un tratto... udii una cosa. Il battito del suo cuore, potente e rapido. Sembrava che il suo cuore volesse uscire dalla sua pelle per colpirmi il petto e trafiggermi. Squartarmi. Fare a brandelli il mio corpo, così debole e scarno. Già lo sentivo, quel rumore che divenne dolore. Mi colpiva il petto, lo sentivo. Palpitava percuotendo la mia pelle. Più forte, più forte, più forte. Volevo urlare, ma la voce non usciva, era soffocata dalla tortura che stavo subendo. Un fremito attraversò l'intero mio corpo, ma mi feci coraggio. Afferrai il collo della donna e la strozzai".
L'uomo tacque.
Non seppe cosa dire, non seppe quali parole proferire.
L'apprensione penetrò nel suo corpo come veleno.
Poi si avvicinò un poco alle sbarre osservando attentamente i due occhi che sporgevano dal buio. Erano gli occhi più singolari che avesse mai visto. Se ne accorse solo ora. Erano persino più preoccupanti delle labbra bianche che all'inizio aveva esposto alla luce. "Devono custodire un qualche segreto, quegli occhi" pensò l'uomo, ma riprese subito a pensare ai battiti dei cuori...
Tacque ancora un po'.
Deglutì.
E parlò.
"Dunque... lei sente l'inquieto batticuore delle persone nel suo corpo e nel suo cuore? Ed è questo ciò che la spinge, la invita... ad uccidere. È corretto? È corretto, signor Wil.. "
"Sì. È esatto!"
"Comprendo. Ma ecco... cosa significa "sentire" il batticuore di un altro nel... proprio cuore? Non riesco a concepirne la sensazione..."
"Vede... io non lo sento affatto il mio cuore. Se gli poso addosso una mano, sento il gelo. Non pulsa, non palpita, così come non sento scorrere il sangue nelle vene. Ma quando odo quel rumore, quel battito, quella percussione demoniaca e musicale che dal corpo di altri umani giunge al mio orecchio, il mio cuore diviene più greve, e comincia... comincia a pulsare. Sento accendersi la vita in me, sento una forza che pulsa potente e che mi guida a vivere, a creare!"
L'uomo era sconvolto. Non seppe se credere o meno alle parole del signor Wilkinson.
Fece la cosa che gli sembrò la più corretta: cambiò argomento.
"Lei ha ammesso di aver ucciso la signorina Collins... Ammette inoltre di aver ucciso il dottor Leigh? La signora Patch? E un turista di Londra non identificato, il giorno otto febbraio di tre anni or sono?"
"... Non sono sicuro sui nomi e sulle date... ma suppongo di sì"
"È molto sincero, signor Wilkinson!"
Le pupille del ragazzo parevano dilatarsi intorno al buio più totale.
"Grazie"
"Ha ucciso altra gente?"
Il ragazzo non rispose.
La forma dei due occhi mutò ancora. Essi si strinsero a formare due piccole lunette. Probabilmente il giovane stava sorridendo, ma non lo si poteva vedere; il buio divorava ancora tutta la sua magra presenza, fatta eccezioni per gli occhi lunari, che, fievolmente, brillavano nella misera prigione.
"Sì"
"Quanti?!"
"Ehm... pressoché... "
"No, signor Wilkinson! Desidero il numero. Il numero esatto"
I due occhi suggerivano un'aria riflessiva.
"Non lo ricordo. Ma... perché non controlla tra la mia roba? Tra ciò che mi è stato confiscato..."
"Se li è segnati? Ha segnato il numero esatto delle sue vittime?"
"Sì!"
"Benissimo!"
"Sì, l'ho segnato... in qualche modo. Sì"
L'uomo fece qualche passo indietro, scostandosi dalla cella del gentile assassino. E scorgendoli da più lontano si accorse che i due occhi stavano divenendo sempre più lucenti e abbaglianti, quasi più della lampadina che penzolava dal soffitto.
Si fermò ai piedi di un lenzuolo nero che pareva nascondere qualcosa, ma con poco successo. Era situato proprio davanti ad un alto tramezzo che divideva la cella vuota da quella d'un vecchio dormiente.
"Cosa... Cosa sta facendo, signore?"
Il quel momento l'uomo stava levando il lenzuolo.
Scoprì le cianfrusaglie che giacevano lì sotto. Erano le cose che erano state sottratte ad Adrian Wilkinson quando venne arrestato. C'erano dischi in vinile, molti; alcune radio. Poi scorse delle piume, bellissime piume, variopinte. La sua attenzione si focalizzò poi sulle posate: forchette, coltelli, cucchiai, tutti elegantissimi, d'argento. Poi vide due grosse valigie: una era vuota ma molto grande, l'altra conteneva pennelli, lastre di vetro e tele arrotolate. Infine vide quella che poteva essere un'enorme tela ricoperta da un prezioso tessuto scarlatto. Pareva seta.
"Come mai tutti questi ciarpami?"
"È tutto quel che ho, e tutto ciò che porto con me quando mi sposto da una locanda all'altra. È tutto quel che mi serve. E... mi hanno preso tutto. Tutto. Fuorché i quadri, quelli li ho occultati in un nascondiglio a dir poco geniale, signore"
"Cosa dovrei trovare? Un foglietto? Un libretto?"
"Oh no. Non troverà quel numero su un pezzo di carta da ufficio. Tolga il tessuto dalla tela, la prego"
"È un suo dipinto, signor Wilkinson?"
"Sissignore"
"Non aveva detto che li aveva nascosti?"
"Solo quelli completati, signore. E questo non lo è. E... faccia attenzione, la prego. È inestimabile, un vero tesoro"
La mano dell'uomo si avvicinò al tessuto. Appena lo sfiorò, la mano destra si sentì attraversare da un brivido di freddo...
... O di paura.
Con uno scatto repentino la mano rimosse il tessuto.
"OH DIO ONNIPOTENTE"
L'uomo ritrasse la mano all'istante e s'impietrì.
La cosa che era poggiata dinanzi ai suoi occhi era... una tela, enorme, interamente ricoperta di fervidi schizzi di un liquido intensamente rosso, che parevano delineare un'immagine infernale, una composizione astratta, che, per qualche misteriosa casualità pittorica, scatenava sensazioni mortali. Il liquido era secco e scuro, ai bordi quasi nero. Era senza ombra di dubbio... sangue.
L'uomo si sentì venir meno.
Ma si fece forza.
Uno stridulo sussurro giunse da non molto lontano.
"Volti il dipinto, signore, lo volti. E conti, conti con calma"
L'uomo girò il dipinto e sul retro vi scorse delle piccole scritte d'una eccelsa grafia.
"Sono i nomi delle sue vittime?"
"I miei fornitori di tempera, sissignore!"
L'uomo si strofinò gli occhi e poi lesse.
"Justin Stevens, Arthur Smith, Jenny Smith, Bart Brown, Arnold Foster, Billy Turner, Mr. Gabe, Joseph Green..." e procedette.
Contò venti vittime.
"Sono venti le sue vittime"
Il ragazzo non lo degnò di alcuna considerazione.
Lentamente la tensione divorava la percezione delle cose. Il ricordo di quella tela non si scostava dalla mente e velava la coscienza come nebbia.
Per un attimo riuscì ad essere lucido.
Parlò adagio e con estrema delicatezza.
"Grazie, signor Wilkinson. Posso farle una domanda?"
"Naturalmente"
"Lei è un astrattista?"
"Oh, che orrore questa parola. Ritengo che definire le persone, catalogarle e classificarle sia una malformazione inconcepibile dell'essere umano"
"Domando perdono"
"Glielo concedo, signore, glielo concedo, io!"
"Oltre al... rosso... usa anche altri colori?"
"Poche volte, signore. Ma uso solo colori naturali"
"Quali altri colori ha usato?"
"Non conosco i nomi dei colori, né li so distinguere o immaginare"
"Come ha detto?"
"Non sono in grado di distinguere i colori"
"E ha detto che non sa nemmeno immaginarli? Cosa vuole dirmi, Adrian Wilkinson?"
"Sono cieco, signore"
Un sussulto provenne da lontano.
Poi calò il silenzio. Un silenzio che turbò la quiete.
I due occhi rilucevano brillando.
Si sentì un suono, che rimbombò nel sotterraneo. Era il battito del cuore. Il cuore dell'uomo.
"Non si sta prendendo gioco di me, signor Wilkinson?"
"No. Assolutamente"
Scrutò i due lumi rilucenti.
Mai l'uomo avrebbe pensato che fosse quello il segreto custodito all'interno di quegli occhi vitrei.
"Ma... quelle scritte? Erano sue? Era la sua grafia, quella? Scrive tremendamente bene, come ha imparato?"
"È una bella grafia? Grazie, signore. Ho preso lezioni da bambino"
"E i delitti? Come è possibile che un non vedente riesca, senza essere scovato per lungo tempo, ad assassinare un numero pari o superiore a venti... anime innocenti?"
"Vede... non avrò il senso della vista, ma ho quello del mio cuore. Se esso ritiene che le mie condizioni siano in pericolo s'arresta, non dubiti, signore, s'arresta, e il mio sangue cessa di fluire. Se invece devo agire esso freme. Lo sento dentro. È la forza che sta con me, dentro me, e mi guida. So sempre cosa devo fare. Mi fido del mio cuore".
Il cuore dell'uomo cominciò a palpitare in modo più rapido ed energico.
Il ragazzo emise un lento e lungo gemito che si protrasse fino all'ultima cella di quel corridoio sotterraneo.
"Ho sete"
Il battito del cuore si fece più forte.
"Ho sete"
L'uomo pose gli occhi nella cella. Non vi era nulla, era vuota, inammissibilmente vuota, nemmeno un rubinetto.
"Ho sete" mormorò per la terza volta il giovane omicida con una voce che sembrava innalzarsi da un fondale di fatica.
"Acqua"
I due occhi parevano deformarsi, a rilento, in un'espressione di dolore e di fiacchezza.
"La prego, le chiedo solo questo: acqua!"
Subito dopo l'ingresso del corridoio vi era un lavabo dall'aria trascurata.
Il terrore che albergava nel suo cuore privava l'uomo d'ogni più lucida facoltà di intendere. Rispose, dunque, alle richieste del giovane ragazzo.
Prese un bicchiere.
Lo riempì d'acqua.
Una goccia cadde sulla pietra e produsse un'eco che, per un attimo, fermò il tempo e dilatò lo spazio.
Afferrò la chiave. Aveva riposato calda nella tasca del suo giaccone. Ora era nelle sue mani.
Aprì la cella.
Entrò nella dimora del signor Wilkinson, quel triste omicida, dalle labbra bianche e dall'insolita inquietante gentilezza.
S'avvicinò alla luce della cella. Lentamente. Procedette, lui e il suo cuore tremante.
Il bicchiere di vetro risplendette quando venne investito dalle vitree luci che Adrian generava.
Si udivano solo i pesanti passi dell'uomo... e il suo cuore. Sempre più forte, sempre più forte.
Ma d'un tratto...
I due lumi si spensero.
Gli occhi s'erano chiusi.
Precipitò violentemente una velante e lunga notte sulla cella.
L'uomo avanzò. Adagio, lui e il cuore che pulsava con veemenza, s'instillavano nel buio.
"Che prodigio è mai questo?" pensò ansimante l'uomo.
Il giovane assassino era scomparso. Fuggito.
O forse no...
Udiva i suoi passi ora e l'atroce sfregamento delle ossa.
Ma di lui nulla più si scorgeva.
Era divenuto come invisibile.
La porta dietro le sue spalle si chiuse e venne divorata anch'essa dalle tenebre mortali.
Era in trappola ora. Il cuore palpitava ancora, ma con maggior impeto. Non avrebbe resistito a lungo...
Nell'oscurità all'uomo parve d'esser divenuto cieco. Sì, era lui il non vedente ora. Procedeva al suono del suo cuore.
Egli sapeva che il sangue scorreva in una direzione ben precisa, e che il suo cuore oramai non era più solo e interamente SUO. Già lo sentiva. Il suo cuore fremeva sotto il petto del folle pittore.
Ma perché? Perché mai aveva deciso di adempiere alle ingordigie di quel deplorevole pazzo?!
Era finita. Così pensò.
Era finita.
Procedette ancora nel buio.
Lo spazio sembrava immenso, infinito...
Un universo senza soli.
Il suo cuore risuonava rapidamente, sempre di più, ogni istante che passava.
"PER DIO! Perché non cessa di emettere questi dannati suoni, il mio cuore?!" si domandò esasperatamente l'uomo, producendo un urlo soffocato dal silenzio.
Si udì una risata. Provenne da lontano.
L'uomo s'arrestò... ma il suo cuore no. Oh no!
Poi si udì ancora, ma questo volta era più vicina, molto più vicina.
In un attimo...
l'uomo venne ghermito da un tocco mortale.
Un scheletrica mano aveva afferrato il suo braccio.
La mano era fredda, freddissima. Quel gelo sulla sua pelle sembrava rendergli prossima la morte.
Poi la mano si spostò, dal braccio al collo.
E da lì in poi fu tutto rapido, tremendamente rapido.
Silenzio.
Solo silenzio s'udiva.
Il cuore dell'uomo aveva cessato di pulsare. Il palpito risuonava ora nel cuore del giovane assassino.
E quando gli domanderanno qual è la ragione che l'ha condotto ad uccidere quell'uomo, egli aprirà le bianche labbra e, gentilmente, con quella flebile voce, risponderà "Lo sentivo dentro!".
123456789
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
- Complimenti davvero appassionante, scrivi davvero bene, mi piace il tuo stile, bravo!
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0