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Cacate liberatorie all'ultimo dell'anno
Era il 31 dicembre. Era solo. Stava male e oltre a se stesso, non lo speva nessuno. Non mangiava da tre giorni, non cacava da ben due e non pisciava da dodici ore. Aveva bevuto ben quattro bottiglie di vino. Si alzò dal letto e si recò al lavandino per sciacquarsi la faccia. "Forse sto morendo" disse. "Non esco da ben quattro giorni da casa" sbuffò. "Per fortuna ho fatto la scorta di alcolici e di fumo"sul suo viso apparì un ghigno sarcastico. Sapeva che quella merda lo stava uccidendo ma non smetteva mai di abusarne. Si diresse al balcone. Barcollava mentre procedeva. Guardò per terra e gli parve che il pavimento si muovesse.
Si avvicinò ad una bottiglia, la prese con se e uscì fuori al balcone.
Si portò la bottiglia alla bocca, ma era vuota. Un lungo sospirò uscì dalla sua bocca. Quasi lanciava la bottiglia giù per la strada ma pensò: "Cazzo, non voglio che una persona muoia così per colpa mia. Sono cattivo, ma mai fino a sto punto. Forse già ho ucciso tanta gente e non lo so nemmeno. Aaaaaaaah, vaffanculo! Non voglio pensarci. Voglio solo dare fine a questo schifo." Era pienamente demoralizzato da tutto e tutti. Stava chiamando la morte a se. Non voleva farla finita in modo semplice, anche il modo in cui chiamava la morte doveva essere difficile. Sarebbe morto da ubriaco e con i polmoni pieni di fumo. Ogni tipo di morte è così semplice e facile. Non c'è cosa più semplice e facile della morte.
Tirò una sigaretta dalla tasca del suo pantalone. Era tutta stropicciata e un po' di tabacco usciva all'estremità della sigaretta. Provò a far riprendere alla sigaretta la sua forma originale e cercò di incastrarci il tabacco al suo interno. Prese l'accendino che aveva nel taschino della sua camicia e accese la sigaretta.
Nemmeno il primo tiro di fumo, cominciò a tossire. Uscì del sangue dalla sua bocca. Non era sangue rosso brillante, ne era uno di molto più scuro. "Se non morirò stasera, non morirò più." Quasi piangeva. Aveva gli occhi di un rosso profondo.
Ne aveva vissute di cose fin da giovane. Si era già stancato della vita fin da all'ora. "Perché un uomo è costretto a nascere? Se avessi avuto scelta avrei preferito non nascere proprio. Forse dico così solo perché ho vissuto una vita di merda. Forse i popolari, i ricchi amano la loro vita. Nah, popolare o no, comunque sei schifosamente solo. Però i soldi attirano tante belle donne, ma prima o poi ti ci stanchi anche di loro quando ne hai troppe."
Nella vita non voleva essere nessuno, ma non ci era riuscito. Aveva provato in tutti i modi di diventare qualcuno. La sua vera passione era diventare uno scrittore ma lo avevano rifiutato perché "i racconti erano troppo contro il sistema delle cose" pensava. Aveva abbandonato tutto per diventare uno scrittore, ma non ci era mai riuscito. Ormai aveva perso la speranza.
"Cazzate quando Hamingway scriveva che era stupido non sperare. O forse aveva ragione. Non lo so. Io non sono uno scrittore."
Era talmente stanco che decise di posare il capo sul letto. Si stese sul letto con i vestiti e le scarpe. Guardava il soffitto. Il suo desiderio era quello di morire nel sogno. Così non si sarebbe reso conto di nulla. Tentava di dormire, ma non ci riusciva. Era talmente afflitto dal dolore che non riusciva a dormire. Così si alzo. Camminava da solo per la stanza e parlava ai muri. "Sto diventando pazzo" disse. Non riusciva più a muoversi. Cadde per terra. Sentì qualcosa provenire dallo stomaco. Era lo stimolo di cacare. Si alzò subito in piedi. Gli piaceva cacare. Lo avrebbe voluto fare prima di morire. Andò al cesso ancora barcollante e uscirono chili di merda fu li, in quel momento che pensò: "Non devo perdere le speranze. Io posso farcela. Hamingway aveva ragione, perdere le speranze è da idioti. Io posso farcela." Dopo aver cacato e pisciato si sentiva molto meglio. La prima cosa che fece, fu quella di riempire la vasca di acqua calda e si buttò dentro. Fu un relax totale. Stette più di mezz'ora, poi ebbe l'ispirazione. Si alzò subito dalla vasca. Si asciugò a stento poi corse alla scrivania.
Prese carta e penna. Si stava riaccendendo la speranza. Scriveva talmente velocemente che le parole prendevano fuoco. "Pensa ai vecchi cani. Pensa a Bukowski, a Hamingway, a TS, al russo Dostoevsky che non avevano nulla e nessuno ma che sono lo stesso riusciti a fare qualcosa di buono. Forse è proprio la solitudine che li ha resi così famosi. Sei come loro, tu sei come loro, lo sai."
Scoccò la mezza notte e lui era lì a scrivere, nella sua stanzetta, senza cibo, né famiglia, né una donna. Ma non era solo. C'erano i vecchi cani insieme a lui. Lui sarebbe diventato un vecchio cane, proprio come loro. L'unica cosa che adesso gli mancava, era una bottiglia di birra da buttare giù. Cercava nelle vecchie dispense qualcosa da bere, quando vide un vecchio spumante di sottomarca. "Beh, piuttosto che niente" pensò. Stappò la bottiglia. "Alla salute dei vecchi cani, alla mia salute e a un futuro prospero di donne."
Brindò insieme ai suoi vecchi cani. Sì, era diventato pazzo. Stava per scrivere il racconto che avrebbe avuto la storia più pazza che lui potesse mai immaginare.
Continuò a scrivere per tutta la sera. A volte si sentiva male e perdeva le forze. Non mangiava qualcosa di sano da troppo tempo. Aveva anche bisogno di farsi una bella dormita ma lui non voleva proprio. L'ispirazione gli era tornata e non voleva perderla. Era da tanto che non provava quell'emozione che si sente quando scrivi qualcosa di forte. Era come i vecchi tempi. Come quando scriveva un racconto e pensava: " Sì, questo mi farà diventare famoso."
"Perché cazzo festeggiano? Credono veramente che l'anno prossimo le cose miglioreranno? Non credo che tutti siano così imbecilli da crederlo veramente. La gente è stupida. Sono stupido anche io che credo ce questo racconto mi farà diventare famoso. Bah, fottuta speranza." Fece un altro sorso alla bottiglia. Un lungo sorso. Quello spumante faceva schifo, ma era l'unica cosa che poteva bere. I suoni delle esplosioni dei fuochi gli davano fastidio. Gli dava fastidio anche la gente che si illudeva di essere felice. Come gli dava fastidio la gente troppo depressa che si suicidava. Quelli che gli davano più fastidio erano quelli che credevano tanto alla fedeltà dei loro amici e delle loro mogli quando invece erano soli e cornuti. Non era solo. Faceva compagnia a se stesso.
Scrisse dieci pagine in due ore. Si alzò dalla sua sedia e si accese una sigaretta. Aprì la finestra per far passare aria e tutta la puzza dello zolfo entrò in camera sua. Tossì. Stavolta però non sputò sangue. "Ah, cazzo. Ma sono impazziti?! Cazzo, sembra che stiamo al fronte di guerra. Figli di puttana." Richiuse le finestra. Adesso la stanza puzzava di zolfo. E l'aveva aperta per far passare un po' d'aria.
Ritornò alla sua scrivania. Diede l'ultimo sorso allo spumante e tornò a scrivere. Sarebbe tornato a scrivere il giorno dopo e anche il giorno dopo ancora. Avrebbe continuato a scrivere fino al giorno della sua morte che non sarebbe di certo stata quella sera. Non si può morire dopo una cacata così liberatoria.
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- Alcune ripetizioni potrebbero essere eliminate. Ne gioverebbe alla lettura. Poi ho scorto alcune piccole imprecisioni, incongruenze semantiche. Per esempio nella frase: "Nella vita non voleva essere nessuno, ma non ci era riuscito." Forse volevi dire non voleva essere UN NESSUNO, detta così sembrerebbe che voleva scomparire, morire e basta, ma siccome dopo precisi che aveva l'ambizione di diventare uno scrittore, beh, non quadra. Poi, più avanti dici: "Tentava di dormire, ma non ci riusciva.", mentre dopo poche righe smentisci così: "Aveva anche bisogno di farsi una bella dormita ma lui non voleva proprio." Secondo me gli hai fatto cambiare idea troppo repentinamente. Del resto lo reputo un racconto abbastanza valido. Complimenti!
- La gloria letteraria come droga dell'anima. Credo sia un buon racconto. Buon 2013
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