Correva non sapeva dove, correva in cerca di uno spiraglio di fiato per uscire vittoriosa. Lei, solo lei, e quelle ombre lunghe dietro le spalle. Lei che volevano a tutti i costi.
Certo c'è da dire che le sue cosce erano appetibili e i suoi seni, esposti come un trofeo, di cui andava fiera, il suo corpo, poi, un fortino inespugnabile.
Aveva il potere di ammaliare tutti con quell'odore di femmina, che mandava al manicomio i maschi del suo paese.
Non potevano sopportare tanta protervia e non la tolleravano neppure i più mansueti.
Lei fuggiva, fuggiva da quelle ombre lunghe, non c'era scampo la volevano e l'avrebbero avuta ma correva non voleva essere espugnata, voleva poter scegliere, voleva la sua dignità.
Le ombre lunghe avanzavano, le gambe forti, il sorriso sarcastico del vittorioso, le mani tante, troppe, che brandivano come spade o lance medievali; le vedeva allungarsi lungo le mura scrostate di questa strada infinita, senza storia.
Correva il fiato era finito, non c'era più nulla che la potesse salvare, nulla, solo il silenzio della sua coscienza e l'incoscienza della sua percezione, quando a turno la penetravano.
Un liquido caldo scendeva ferendo quel brandello di dignità, che le sembrava di serbare.
Occhi, occhi voraci, mani, tante mani, quante erano queste ombre, ora carne pigiata, sì pigiata sul suo corpo. Uno straccio umido ecco cosa sembrava. Erano sfioriti in quella mezzora i suoi seni turgidi e sprezzanti, le sue cosce sode, un ammasso umido di lividi, lasciato buttato scomposto su quell'asfalto nero lucido di pioggia inutile, indifferente, che neppure lava e purifica.
Quando la mattina la trovarono, una scena orribile si parò davanti alle facce scialbe della polizia, brandelli di vestiti coprivano un corpo tumefatto, che dell'antica bellezza serbava un pallido ricordo.