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Libertà in trenta metri quadri
Mi chiamo Leonardo, professione studente universitario di ingegneria civile. A dirla tutta, faccio l'università solo per dare una soddisfazione ai miei genitori. A loro basterebbe solo questo per essere felici.
Provengo da un paesino come c'è ne pochi ormai. Dove la gente si accontenta di avere un figlio laureato, non importa in cosa, importa il titolo, importa il vantarsene con i vicini, con il fruttivendolo e con il proprio macellaio. Per me invece, l'università è stata una sfida con me stesso, ma più di ogni altra cosa, l'università è stata la mia occasione per scappare.
Odiavo il mio paese! Mi opprimeva! Ci ho passato troppi giorni inutili, vedevo sempre le stesse facce, gli stessi palazzi e le stesse case, gli stessi prati e le stesse chiese. Anche le ombre per le strade... erano sempre le stesse. Le conoscevo tutte perfettamente, conoscevo tutti gli angoli e tutte le scritte sui muri. Durante gli ultimi giorni passati nel mio paese pensavo che persino l'inferno fosse un posto migliore o magari solo un po' più vivo.
Interi pomeriggi passati a sentirmi vivo solo perché respiravo. Intere notti passate sperando di vivere qualche volta una storia come in uno di quei film che mi piacevano tanto, invece niente. Aprivo gli occhi e vedevo sempre lo stesso panorama. Era sempre la solita merda! Io ero solo un normalissimo ragazzo, senza un ruolo speciale, senza nessuno da salvare.
Noia! Noia! Noia! Per un giovane, il primo ostacolo da superare per realizzare i propri sogni è la noia! E quel posto era piena di gente senza sogni... io non volevo diventare uno di loro.
Non capivo cosa ci facevo in quel luogo sperduto del mondo. Guardavo foto di grandi città americane, di grandi città europee, anche di grandi città italiane e poi mi affacciavo alla finestra. In quei momenti dubitavo seriamente di trovarmi sullo stesso pianeta.
Dov'era la vita frenetica dei giovani? Dov'erano le avventure?
Dopo il diploma andai dai miei genitori:
< Mamma, papà! Voglio fare l'università! >
Mi abbracciarono come se avessi regalato a loro un milione di euro.
Sono persone semplici i miei genitori. È sempre stato un mistero per me capire come hanno fatto e continuano a fare la stessa vita da più di cinquant'anni. Ci vuole molto più coraggio per restarci in quel paese.
Ricordo la sera in cui papà mi accompagnò nel monolocale che avevamo preso in affitto. Finalmente mi trasferivo in città! Potevo benissimo affittarmi una stanza di una casa dove vivere con altri universitari, ma mamma e papà volevano che io studiassi tranquillo, senza avere nessuno in mezzo ai piedi. Amo i miei genitori, i loro sacrifici li avrei ripagati tutti un giorno.
Quella sera pioveva. È stato magico vedere le grandi e illuminate strade di città, piene di vita anche sotto la pioggia, è stato affascinante seguire le sagome delle macchine che camminavano sotto l'acqua frenetica. Era tutto così colorato, le luci, le frecce accese, anche le gocce che scivolavano nel finestrino facevano dei giochi di colore e di luci. Giuro, mi sentivo Pinocchio nel paese dei balocchi.
Non era certo la prima volta che entravo in città, ma la prima volta che l'ho vissuta, si! L'ho sentita dentro la carne. Ho respirato aria di libertà, basta più grigiori monotoni, basta più pomeriggi inutili. Mi sentivo elettrizzato!
Le prime sensazioni che mi ha dato la città non erano nulla in confronto a quelle che mi avrebbe dato con il tempo.
Amo la città, bella, caotica, distratta, imprevedibile. Con il naso attaccato al finestrino, fantasticavo su quella che sarebbe stata la mia nuova avventura. Pensavo all'università, alle nuove persone che avrei incontrato, alle nuove esperienze che avrei vissuto. Volevo ripartire da zero. Ricreare me stesso.
L'importante era trovare un lavoretto par-time, magari in un luogo molto frequentato. Volevo conoscere più gente possibile. Volevo vedere il mondo in tutta la sua diversità.
Mezz'ora dopo arrivammo nel monolocale. Papà mi aiutò a scaricare i borsoni riempiti fino all'orlo ma molto accuratamente, da mamma. In quei borsoni c'era quasi tutta la mia vecchia vita. Avrei voluto lasciarli chiusi in un angolo della casa.
Papà mi abbracciò dandomi le ultime raccomandazioni... poi torno nel suo amato paese. Per lui era diverso. La città era sinonimo di una vita che non conosceva è questo lo spaventava.
Mezz'ora dopo mi sono ritrovato solo, dentro trenta metri quadri. Tutta la libertà che cercavo era rinchiusa in trenta metri quadri. Era meraviglioso!
Il mattino dopo sono uscito da casa di buon ora. Non ricordavo da quanto tempo non uscivo da casa con quel entusiasmo. Una leggera brezza mi colpi il viso, non ho sentito freddo... mi sono sentito vivo. Libero da ogni mio vecchio pensiero. Curioso di sapere cosa e chi li avrebbe occupati da allora e in poi.
Ho percorso la strada che portava dalla mia nuova casa alla metrò. La città mi sembrava sempre più affollata. Non facevo altro che guardare la gente. Erano così diversi da quella che vedevo tutti i giorni nel paese. Sembravano di un altro pianeta. Osservavo in silenzio il frastuono della città.
Una cosa l'ho capita subito: in città non esiste il cielo. L'orizzonte è sempre coperto da qualche edificio gigantesco. La cosa non mi preoccupò più di tanto, ne avevo visto anche troppo di cielo libero all'orizzonte.
È stato proprio alla fermata della metrò, quella che prendevo tutte le mattina per andare a lezione che ho conosciuto Serena. La prima di una lunga serie di nuove esperienze. Serena era una donna non bellissima ma affascinante, aveva nove anni più di me. Prendeva la metrò per andare lavoro e spesso ci ritrovavamo vicini. Fin da subito c'è stata un'attrazione particolare. Serena aveva una grande carica erotica e naturalmente fu lei ad attaccare bottone per prima. Una storia del genere nel paese avrebbe creato scandalo ma io ero in città, ero libero.
Serena si sarebbe sposata da li a poco, Serena era bisessuale, Serena credeva in Dio, Serena voleva fare sesso con me! "In che razza di mondo sono finito?" pensavo. Ecco la diversità, ecco le avventure. Era tutto molto elettrizzante.
Come tutte le mattine arrivai alla fermata, Serena mi stava aspettando. Con Serena avevo ormai un appuntamento quotidiano.
Ricordo le sue mani sulle mie gambe mentre mi parlava, la sua bocca spesso vicinissima alla mia mentre mi sussurrava i suoi giochi erotici fatti con qualche sua amica. Mi ero abituato alla sua bisessualità. Era diventata normale quello che fino a qualche giorno prima per me era fantascienza.
Il suo sguardo fisso, il suo leccarsi il labbro inferiore prima di morderselo dolcemente: erano diventati gesti quotidiani. Una tortura psicologica ma un ottimo metodo di conquista. Io ero praticamente inesperto, le uniche esperienze che credevo più spinte del dovuto, le avevo fatto solo con Stefania, una delle tante ragazze di paese che voleva aspettare il matrimonio. Che grossa cazzata questa del sesso dopo il matrimonio. È come mangiare un pranzo completo per poi aspettare anni per il dolce.
Serena aveva tutta l'aria di essere un'ottima insegnante. Le sue mani salivano ogni giorno di più sulle mie ginocchia.
Serena era intrigante, una pantera in catene che aspettava solo di essere liberata ed io... non aspettavo altro che farmi divorare.
Serena ha avuto un ruolo centrale durante il mio periodo di metamorfosi. Mi ha plasmato, ha giocato, mi ha reso un amante perfetto. È stata una grossa fortuna aver incontrato lei per prima.
Il corpo femminile non aveva più segreti grazie a lei. Mi ha insegnato come accarezzarlo, come toccarlo... mi ha insegnato l'importanza delle dita, del tocco giusto. Mi ha insegnato che basta una sapiente lingua per sottomettere completamente una persona.
Lei mi ha portato su, fino agli apici più alti del piacere. Andavo a lezione con i suoi graffi addosso, con lei non esistevano limiti.
Un periodo dove il sesso non era sesso. Era un altro universo, pieno di cascate e di boschi da scoprire, pieno di odori che ti catturano, pieno di montagne e colline dove perdersi volentieri. Lei mi ha fatto entrare dentro questo mondo meraviglioso; prima lentamente, passo dopo passo, poi con il tempo riuscivo a starle dietro, a gareggiare alla pari... fino ad arrivare alla vittoria.
Mi ha insegnato a mantenere i ritmi, ad essere insaziabile, a cercare ogni volta di più... e di meglio. Poi Serena si sposò e io decisi smettere di frequentarla.
Gli insegnamenti di Serena ebbero subito i loro primi frutti.
Non so come sia possibile, ma le donne riescono a percepire a pelle con che tipo di uomo hanno a che fare. Dopo i duri allenamenti con Serena, ho notato che le donne mi guardavano con occhi diversi, come se tutte loro avevano saputo dei miei miglioramenti. Notavo sempre più sguardi che erano veri e propri biglietti da visita. È stato allora che ho tolto tutti i freni che mi portavo addosso.
Non conoscevo più il significato della parola timidezza, il sesso era diventato un'ossessione.
Seguirono molte ragazze, mi piacevano quelle caratterialmente più deboli, potevo plasmarle come volevo. Aiutavano il mio ego, un ego che nel paese non avrei mai avuto.
Arrivarono le ferie natalizie. Dovevo tornare in paese, anche se avevo già pensato a diverse scuse per starci il meno possibile.
Era la prima volta, dopo mesi, che ritornavo nel paese. Non era cambiato niente! Anzi, qualcosa era cambiato, l'approccio delle persone verso i miei confronti. Tutti adesso mi conoscevano come "l'Ingegnere". Nel paese bastava frequentare una determinata facoltà per avere già il titolo. Questo comporta anche maggior rispetto. Tutti erano più rispettosi nei miei confronti. Non ero più il ragazzo sognatore, quello stava sempre con la testa fra le nuvole, quello che parlava sempre di posti come l'America, no! Non più! ! Ero diventato l'Ingegnere, quello che studia in città, quello che un giorno la vedrà davvero l'America. Eppure dell'America non sapevo che farne, a me bastavano i miei trenta metri quadri di libertà... anzi, iniziavano a starmi stretti anche quei trenta metri.
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