racconti » Racconti drammatici » Il pittore
Il pittore
Cosimo viveva con sua madre in un appartamento della zona del nuraghe dove pagava poche lire, perciò non aveva tutte le comodità; infatti per arrivare in cucina bisognava attraversare le due camere da letto, mentre il bagno si raggiungeva uscendo nel pianerottolo in fondo ad un balcone.
Egli aveva interrotto gli studi giovanissimo dopo aver conseguito la maturità classica, poi si era trasferito in Francia dove lavorava come operaio in una fabbrica di tessuti.
Gli piaceva quel lavoro, ma trovava difficoltà a comunicare per via della lingua e aspettava con ansia l'uscita alle cinque per poter scambiare qualche parola con il compagno d'appartamento che era siciliano. Cosimo era molto timido sempre preoccupato di essere invadente, rifiutava persino un'uscita per una bevuta al bar.
A giugno le giornate erano calde, quel caldo afoso che gli bagnava il corpo e lo faceva sentire debole, anche la testa era diventata pesante, non riusciva a concentrarsi sul lavoro e anche l'appetito stava diminuendo; qualcuno gli fece notare la sua magrezza, ma egli non sembrava preoccuparsene.
La cosa che lo infastidiva da ormai troppi giorni erano quelle strane voci che lo svegliavano alle tre del mattino e che gli impedivano di dormire.
I compagni al lavoro, certe volte ne proteggevano il breve sonno durante la pausa pranzo. Lo chiamavano il "viveur" per prenderlo in giro, come se passasse le notti a divertirsi.
Di giorno una calma apparente lo avvolgeva, fatta di apatia e di disinteresse totale, mentre la notte le idee correvano vertiginosamente nella sua mente e le ore non bastavano per pensare. Pensare.. ma a cosa.?" Ecco di nuovo quei suoni, quei rumori" - disse fra sè e sè-" Mi sembra che provengano dal piano superiore, i vicini nascondono qualcosa, sento dei passi nelle scale... forse sono ladri che scappano.. ma cosa sono i lamenti che sento? Una voce mi dice che qualcuno è in pericolo ed ha bisogno d'aiuto". Passò così un'altra notte insonne e quando il collega di lavoro lo salutò la mattina trovò che aveva un viso stravolto. Andando via pensò: "che persona strana." L'assenza in fabbrica passò inosservata a tutti ma non al suo datore di lavoro che gli mandò a dire: " Dite a quell'isolano che quì si lavora e che se è stanco può tranquillamente tornarsene a casa in Sardegna". Povero Cosimo! Il suo unico pensiero era quello di salire al piano superiore per verificare cosa fossero effettivamente quei lamenti. Il giorno infatti, uscì in punta di piedi, poggiò l'orecchio alla porta, si coricò per terra per veder meglio ma non appurò niente. Si convinse che dentro quell'appartamento ci fosse un cadavere e che bisognasse avvisare subito la polizia. Saltò il pasto, ormai erano giorni che non metteva niente in bocca, aveva troppa fretta di raccontare i suoi sospetti alle forze dell'ordine. I poliziotti lo trattennero per ore in caserma ed il poveretto non fece più ritorno a casa. I compagni seppero che Cosimo era stato ricoverato in una clinica psichiatrica e poi rimandato a Nuoro dalla madre. La convivenza si mostrò subito difficile. La madre era vedova, attempata, lagnosa, lo trattava come un bambino, ora che era ammalato, gli stava sempre addosso. La odiava in cuor suo, ma era un uomo buono e cacciava quei pensieri dalla sua mente. Col tempo la lasciò fare senza mai opporsi, ubbidiente come un agnellino. Quando la donna si portò avanti negli anni pretese che Cosimo la accudisse in maniera ossessiva e patologica, gli impediva di guardare la televisione, gli negava i soldi per le sigarette, pretendeva che vestisse la maglia di lana anche nei mesi estivi.
Era lei che gli preparava i farmaci che dovevano essere assunti in sua presenza, forse per questo non ebbe più episodi deliranti, ma l'aspetto dell'individuo fragile e insicuro crebbe nel tempo.
Usciva raramente perchè il mondo lo spaventava, guardava le persone che passavano per strada da dietro i vetri della cucina, in casa si sentiva protetto. Dalla finestra osservò più volte una giovane donna dai bellissimi occhi azzurri che passando sotto la sua finestra sollevava lo sguardo verso il cielo. Lui immaginava che lo guardasse facendo finta di rimirare le nuvole. In cuor suo spesso lo negava : "No! non è possibile che lei mi guardi, io sono un povero disgraziato, prigioniero in questa stanza, prigioniero di mia madre, del mondo". Aveva comunque una buona cultura e mostrò capacità artistiche. Un giorno, una vicina di casa che faceva volontariato, gli regalò dei pennelli ed una tela. Iniziò così a dipingere. Ogni notte dipingeva pensando alla sua solitudine così distruttiva che gli duoleva e lo avviluppava come un cancro che invade tutto il corpo. La madre lo disturbava arrivando anche a spegnerli la luce per questo hobby, secondo lei, dispendioso e poco produttivo. Tutta la rassegnazione di un tempo andava dileguandosi, sentiva di non poter reggere il peso di quella vita così vuota. Improvvisamente pensò a quella ragazza che guardava il cielo, era bella come un fiore appena sbocciato. Di notte, quando l'insonnia lo pungeva come aghi conficati nel costato, avrebbe desiderato essere un gatto, silenzioso con i suoi passi felpati e... sognava di saltare sui tetti per girovagare al buio nelle strade, entrare nei cortili e salire sulle finestre per curiosare nelle case e andare in cerca di lei per vederla.. All'idea il sangue gli gonfiava le vene e gli sembrava che al loro interno si muovessero nugoli d'insetti alati, forse api tanto le sentiva pungergli la pelle fino a farlo impazzire." Piccole torturatrici, mi perseguitate da sempre! perchè? è stata sicuramente mia madre a riversarvi nel mio torrente sanguigno, magari appena nato". Così diceva e la immaginava mentre proferiva quelle maledette parole : "Tienile! sono per te.. ti terranno compagnia e chissà che non facciano anche miele!" Quale miele! solo amarezze, anni di dolore e di notti interminabili in quel letto. Una malattia che lo stava lentamente divorando. Era nelle notti che si consumava la sua esistenza di dolore. Ma ora c'era lei, la fanciulla dagli occhi di cielo che gli faceva compagnia in quella stanza dove tutto era immobile come l'aria stagnante. La notte fuggiva in bagno quando la madre dormiva e lì in quello spazio infinito le immagini di fanciulle celestiali si moltiplicavano. Intanto le sue tele si riempivano di colori luminosi, brillanti, colori del cielo nelle varie sfumature; dipinse una volta un gallo con un piumaggio variegato, dal rosso al giallo al verde al rosa, accostando i colori in maniera armoniosa tanto da esprimere calore e felicità. Un gallo dal cipiglio regale che mostrava quella sicurezza che Cosimo non riusciva a tirare fuori nella realtà.
Le sue nature morte pareva vivessero, la frutta secca danzava attorno alla caraffa e rideva abbracciata alle arance dorate; due barche ormeggiate sulla riva del mare azzurro assomigliavano a due amanti in estasi, tutto prendeva vita, tutto trasmetteva serenità. In cambio di una tela e dei colori, donava le sue opere, felice di sapere che piacevano. Tutto il rione possedeva i suoi quadri. Produceva e rivestiva la parete del bagno con le sue tele ad olio, appese ad asciugare. Ma come era potuto succedere che in quel bagno tutto ad un tratto si fosse aperta una porta dove non esisteva più il vuoto. Le pareti colorate profumavano di pittura ad olio e Cosimo incominciò a desiderare d'uscire, d'evadere e di andare in cerca di quella fanciulla che ormai era entrata nel suo cuore. Si sentì improvvisamente forte, leggero, gli sembrava di volare verso l'alto. Guardò in basso e vide il pavimento nella sua interezza come se stesse guardando da un lucernaio, ma con grande sorpresa, si rese conto che i piedi non poggiavano per terra ma stavano attaccati al soffitto, il lavandino era diventato piccolo e lontano e nello specchio s'intravedeva una macchia scura che sembrava un gatto. Un gatto che miagolava... come miagolava?. " Ma sono io che miagolo!.." Ebbe paura, una paura diversa da quella di sempre, pian piano si ricordò che aveva tanto desiderato proprio questo, diventare un gatto. Pensò che tutto era avvenuto così semplicemente, mentre iniziava a sentirsi più forte, "Che dirò a mia madre quando vedrà che il gatto che circola per casa sono io? Si vergognerà di me e mi chiuderà a chiave nella stanza ". Questo pensiero lo sconvolgeva. Ma una voce interiore lo spingeva a non temere, si era realizzato un suo desiderio. Perchè aver paura?. Si osservò allo specchio, un battuffolo nero grigio, si riconobbe.. gli occhi erano i suoi e le orecchie erano ricoperte da un vello morbido... sollevò le braccia e si rese conto che ciò che sollevava erano zampe con artigli aguzzi che graffiavano il muro, mentre dietro la schiena una coda si muoveva allegramente. Spiccò un balzo e cadde leggero sul pavimento, corse veloce dentro la stanza, passò dietro il lavandino e con un salto si trovò sopra il bidet. Che meraviglia! non sentiva fatica, sarebbe potuto salire sui tetti e lanciarsi senza farsi del male. Ma doveva comunque esercitarsi.. non lo aveva mai fatto prima. L'idea lo riempì d'eccitazione, andare sui tetti, libero.. libero di girovagare, di vedere la fanciulla dagli occhi di cielo. I suoi occhi di gatto avrebbero brillato nel buio e lei lo avrebbe riconosciuto ed abbracciato. Pensò con fierezza che essere un gatto significasse possedere denti aguzzi e taglienti e che avrebbe voluto mostrarli a sua madre così che lei lo avrebbe potuto vedere per la prima volta con il suo sorriso felino. Mentre pensava le sue zampe divennero calde e possenti, ma una cosa lo sconvolgeva anzi lo terrorizzava, il pensiero di non riuscire a controllare l'istinto di cacciare i topi, di prenderli ancora vivi mentre il sangue pulsava caldo e colava rosso sul suo muso. Cacciò questo pensiero. No! non si sarebbe lasciato travolgere dall'istinto omicida perchè anche nel topo poteva nascondersi un essere umano.. Sentì dei rumori provenire dalla stanza di sua madre, lei non doveva vederlo trasformato in un gatto, avrebbe potuto rincorrerlo con la scopa e persino ammazzarlo. Balzò dalla finestra del bagno sul tetto sottostante, una sensazione di libertà lo invase e corse sui tetti miagolando come un gatto in amore. Non era facile passare da un tetto all'altro e per diverse volte corse il rischio di cascare giù. Decise di rientrare a casa di godere di quella libertà poco per volta. Ormai era tardi, l'alba s'intravvedeva già dai vetri della finestra del bagno, tentò d'alzarsi ma si sentiva intorpidito, la coda non c'era più e la schiena ed i piedi erano distesi sul pavimento, il vello era scomparso e lui era lì uomo in carne ed ossa. Forse aveva sognato, pensò d'aver veramente vissuto, solo per una notte, chissà! Era una bella mattina, la calura estiva che lo infastidiva era ormai lontana. La madre lo aveva ripetutamente chiamato quella notte finchè la voce non divenne flebile come un miagolio, ma lui non la sentì, chiuso nel bagno a dipingere. La trovò così riversa nel letto, sembrava che dormisse...
Lo trovarono cosi riverso nel bagno con tre scatole di pillole vuote tra le mani, le aveva bevute tutte, non c'era più sua madre a contarle.
123
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
- Immaginavo fosse vera. Speravo fosse inventata...
- Purtroppo è una storia vera, ho conosciuto i personaggi. Grazie Fabio. Un abbraccio.
- Complimenti anche da parte mia Ninetta... è stato bello leggerlo perchè i personaggi li ho "visti" e "sentiti" come fossero vivi... Una storia singolare, strana e triste, ma sei stata bravissima a metterla giù in questa maniera. Davvero.
- Un racconto davvero toccante, ben decritto mostra molteplici sentimenti, sopratutto sull'amore materno. Complimenti
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0