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La prigione di polvere
"Se c'è una cosa, nella nostra insana società, che vorrei cambiare, quella cosa è il concetto di amore. Vedo troppa finzione nei rapporti. Vorrei che una persona venisse apprezzata per quello che è, e ripeto che in questa fottuta società moderna, tutto ciò passa subito in secondo piano. Non è visibile, non è calcolabile. Forse è per questo che noi ce ne dimentichiamo così presto. Il punto è che mi sono innamorato di una ragazza. Il suo nome è ... "
A queste parole Luca si bloccò. Non era in grado di scrivere nemmeno il nome di quella ragazza per la quale, da qualche tempo, aveva completamente perso la testa. Se qualche giorno prima aveva trovato la forza di rivolgerle almeno la parola, ora era giunto alla conclusione che il sentimento che provava era qualcosa di troppo forte. Luca battè con forza un pugno sul tavolo, facendo cadere anche quel poco di sigaretta che gli era rimasta. Voleva smettere di fumare, se lo era sempre ripromesso. Ma le sigarette erano, in quel momento, l'unico anestetico in grado di alleviare il suo dolore. Ne fumava almeno un pacchetto al giorno, e ormai da qualche mese. Avrebbe smesso, ripeteva spesso, se solo avesse trovato il coraggio di parlarle. Tra sé e sé immaginava lunghe passeggiate con lei, ma nemmeno nella sua mente raccoglieva il coraggio necessario a pronunciare il suo nome. A quel punto Luca strappò il foglio di quaderno sul quale stava scrivendo la sua personale e velenosa invettiva alla società, e decise di uscire un po', per rischiarirsi un po' le idee. Il suo unico sogno era scrivere, e per questo aveva anche tralasciato i suoi studi universitari. Prese il cappotto dalla sedia e decise di fare una passeggiata. Scese rapidamente la doppia rampa di scale che portavano all'entrata, si accese una sigaretta e chiuse la porta con forza. Al di là della porta lo aspettava il mondo che odiava. Fece un lungo tiro e prese a camminare. Davanti a lui si spalancava, nella sua totale indifferenza ai suoi problemi, il mondo che tanto odiava. Aveva pensato anche che in realtà il sentimento che provava fosse invidia, ma ormai ci aveva fatto l'abitudine, ed anzi aveva cominciato anche ad apprezzare quel suo atteggiamento spavaldo. Aveva capito benissimo che le sue erano paranoie, ma quel ruolo di cavaliere inesistente ormai lo soddisfaceva. Infilandosi le cuffie nelle orecchie accelerò il passo, cercando, per quanto possibile, di scappare da quel falso paese dei balocchi. Era giunto quasi alla piazza principale, ostentando quell'aria superba che lo faceva sentire migliore degli altri. Il death hip hop pulsava nelle orecchie, e lui cominciava a sentirsi invincibile. Superò in fretta la caffetteria e il negozio di abbigliamento, dove puntualmente sputava. Quell'insulso capitalismo era per lui il nemico principale da combattere, ma le sue mani nude purtroppo potevano fare ben poco a proposito. Delle anziane signore, sull'altro lato della strada, cominciarono a sparlare di lui. Luca se ne accorse, rise e proseguì con passo rapido. "Cosa mai posso pretendere, da queste vecchie di merda?" penso ancora tra sé e sé. Non si curava di ciò che pensava la gente, e, almeno da questo punto di vista, si sentiva profondamente libero.
"Ciao!"
"CIAO!"
Luca sentì che una voce femminile lo stava chiamando, e percependo che la voce veniva da dietro, subito si voltò, togliendosi le cuffie dalle orecchie. Era lei.
"Devi scusarmi, ascolto sempre la musica ad alto volume", rispose Luca.
"Figurati", rispose la ragazza, accennando un sorriso.
Il tono sicuro e affabile con cui aveva risposto al saluto era ormai cosa vecchia. Luca non sapeva come rispondere. Il suo sorriso lo aveva letteralmente paralizzato.
"Ci facciamo un giro?", chiese la ragazza.
Luca, che doveva ancora mettere a fuoco la situazione, fece uno strano cenno con la testa, che nella sua mente equivaleva ad un sì. La ragazza, fortunatamente, capì, e indicando la caffetteria alle sue spalle, domandò a Luca se volesse prendere un caffè con lei. Con un altro strano cenno della testa Luca fece capire che aveva accettato. Era la prima volta che loro due passavano un po' di tempo insieme, soli. Entrando nella caffetteria, Luca si tolse quel suo cappotto invernale, di un nero lucido, che lo faceva spesso passare per delinquente. Togliendosi anche il cappello di lana fece accomodare la ragazza e si sedette.
"Cosa ti porta qui in città?", chiese Luca, dopo aver trovato in qualche modo la forza necessaria per parlare.
"Mancano pochi giorni al Natale e devo ancora fare ancora un regalo al mio ragazzo", rispose la ragazza.
"Sei fidanzata?", chiese Luca, mantenendo ancora uno sguardo miracolosamente normale.
"Da quasi un anno", ribattè la ragazza. "E tu invece?"
A queste parole Luca si bloccò ancora. Passarono alcuni secondi, e Luca decise di rispondere.
"Al momento no", disse, con tono leggermente sostenuto.
"Sono stata inopportuna?", domandò la ragazza a bassa voce. L'espressione pacata e tranquilla di Luca era ormai scomparsa, ma, con un ennesimo sforzo, tornò relativamente normale.
"No, figurati, non potevi saperlo".
La ragazza, incuriosita, pensò per un istante di domandargli il motivo di quel repentino cambiamento di umore; poi, però, per non peggiorare la situazione, decise di tacere.
"Non farti problemi a riguardo", disse allora Luca mostrando un timido sorriso, "non è un segreto".
"Sicuro?", domandò la ragazza, ancora leggermente imbarazzata.
"Sicuro", rispose Luca, fermo e convinto come mai lo era stato. Era entrato nella sua mente, e poteva gestire la conversazione a suo piacimento. Davanti a lui si profilava l'opportunità di dare i primi segnali importanti.
"So che mi conosci da poco, ma penso tu abbia capito che tipo sia", disse Luca, gesticolando un po'. Poi continuò:
"Mi hai mai visto in compagnia di qualcuno?"
La ragazza stava per rispondere, quando Luca la interruppe:
"No, mi dirai. E avresti sicuramente ragione. Il fatto è che..."
Luca tacque.
"Che?", rispose la ragazza, leggermente spazientita.
Luca, voltatosi verso il barista, alzò la mano e chiese il conto. Poi si girò di nuovo verso la ragazza e disse:
"Lasciamo stare".
Il cameriere arrivò al tavolo. Luca, che non riusciva a trovare il portafogli, cominciò a imprecare tra sé e sé. Quando finalmente lo trovò, la ragazza aveva già pagato per tutti e due.
"Arrivederci", disse la ragazza rivolgendosi al cameriere.
"Grazie a voi", rispose il giovane cameriere.
Luca, che si era appena ripreso, sbuffò, spinse la sedia verso il tavolo, si infilò il giubbotto e il cappello e uscì.
"Ora devo proprio andare, mi dispiace", disse la ragazza, con un tono gentile che però, secondo Luca, mascherava un 'evidente insofferenza. Non poteva farci niente: le paranoie guidavano la sua vita, lo avevano intrappolato senza scampo tra le loro spire. Per non complicare le cose, però, Luca finse un sorriso e le rispose:
"Figurati, non preoccuparti, non voglio tenerti in ostaggio. Comunque è stato un piacere. Ci vediamo all'università."
La ragazza salutò Luca e prese l'altra direzione. Luca, invece, desiderava più di ogni altra cosa ritornare a casa. Si sentiva sufficientemente arrabbiato con il mondo, e avrebbe sicuramente scritto bene. Riprese con la musica, che scandiva i suoi passi veloci e che non faceva altro che aumentare il suo odio viscerale per l'umanità. Sputò di nuovo sul gradino del negozio di abbigliamento. Arrivato davanti al portone di casa, però, sentiva che il rancore che provava era quasi passato del tutto. Infilò le chiavi nella serratura, ma erano quelle sbagliate. Provò con le altre, e riuscì ad aprire. Entrato in camera, trovò le finestre spalancate e il letto ancora disfatto. Buttando il cappotto sul letto, accese subito il computer e si mise a sedere. Era intenzionato a scrivere quel pezzo, lo voleva a tutti i costi. Il pensiero di lei però lo opprimeva, e questa volta nemmeno le sigarette sembravano essere una soluzione. Tuttavia ne prese una, l'ultima, l'accese e cominciò a fumare. Fece un lungo tiro, e cosi gli altri. Senza che nemmeno se ne accorgesse, la sigaretta era finita, portandosi via anche quei brevi accenni di felicità che offuscavano, seppur per pochi istanti, la profonda infelicità che lo tormentava. Preso da un'inspiegabile isteria, rifece il letto e spazzò il pavimento impolverato. Tutte cose che, in situazioni normali, non avrebbe mai fatto, e che invece faceva, per non pensare ancora a lei. Mentre raccoglieva la polvere nella paletta, però, decise di riprendere il lavoro che aveva interrotto prima. Si trattava, a questo punto, di trovare la forza di scrivere il suo nome su un foglio, e la cosa si protrasse per almeno una mezz'ora. Non ci riusciva, e per quanto provasse a convincersi quel nome stentava a materializzarsi su quel foglio di carta stropicciata. Sarebbe stato meglio farsi un altro giro, pensò per un momento, ma poi trovò il coraggio. Staccò un altro foglio dal quaderno a righe, uno di quelli che sarebbero serviti per l'università, e decise che quel foglio liscio e immacolato sarebbe stato riempito con quel nome che da tanto tempo era imprigionato nella sua mente. Aprì il suo astuccio sporco di tabacco e prese la sua penna sospirando. Scrisse la prima lettera, la R, e si interruppe ancora. Sbattendo di nuovo i pugni sul tavolo fece vibrare il computer, e fumò ancora. Quando ormai sembrava sul punto di rinunciare per l'ennesima volta, a metà sigaretta, scrisse ossessivamente quel nome, il nome di quell'estranea che le aveva rubato l'anima. Ci riempì tutta la pagina, con quel nome:
ROBERTA
Finalmente c'era riuscito, a scrollarsi di dosso quel peso ingombrante. Ora però non poteva evitare di sorridere, e per la prima volta lo faceva in modo spontaneo. Non sarebbe più stato costretto a fingere, a mascherare il malumore, e d'ora in poi, si era ripromesso, avrebbe affrontato la vita col sorriso, gettando via le paranoie nella polvere. E rivolgendo il suo sguardo a quei frammenti dimenticati, pensò a come aveva vissuto finora, a come aveva reso la sua esistenza uno strazio. Poi chiuse la finestra e si mise a letto, sperando, per la prima volta nella vita, in una vita migliore. Era una sensazione strana la speranza, ma a Luca piaceva.
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