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We are family
Col mento appoggiato sul pugno della mia mano, fissavo il sovrastante pannello della mia postazione.
Senza pensieri, speravo di godermi un po' di quella silente spensieratezza che vivono i più fortunati.
La cosa, però, fu notata dal vigile occhio aziendale e interpretata come un comune mal di vivere, pertanto fu riferita alla direzione.
Dal piano più alto scese una voce: "Mi chiami subito il Mancini!"
Il comando venne subito raccolto da Torquemada, tristemente nota per la sua rigidità mentale, piuttosto che per la sua intelligenza.
Pochi istanti dopo, mi trovai davanti a me le cieche occhiaie dell'inquisitrice che con aria greve e preoccupata mi invitava a seguirla.
Non avevo scelta... e forse era giunto il momento di pagare i pochi istanti di quella incosciente spensieratezza! La presenza inquietante al mio fianco di Torquemada era forse il preludio di ciò che sarebbe successo più tardi?
Io e la "Procedura" salimmo su per la rampa delle scale in due minuti che però a me parvero due secoli, poi, una volta raggiunti la porta del Capo, la mia scorta personale bussò due volte all'uscio.
Una voce femminile, chiese: "Chi è?"
- Sono io! Sto con Mancini...
- Avanti!
L'ambiente angusto non concedeva molto alla fantasia, né alla femminilità. Tutta la mobilia rispondeva ad un incerto criterio di funzionalità e di buon gusto.
Dentro un piattino sul tavolo, quattro caramelle Rossana, sopravvissute a chissà quante e quali razzie, mi guardavano pallide, nonostante la carta della confezione fosse notoriamente rossa.
La conversazione prese subito avvio e con un sorriso artefatto Rosso Relativo prese a dirmi:
- I miei collaboratori mi hanno riportato che lei è stato colto nell'atto di pensare durante l'orario di lavoro. Ha forse dei problemi? Se ce ne fossero, lei sa a chi rivolgersi. . .
- Beh, innanzitutto la ringrazio. So che alcuni colleghi che avevano prenotato con Lei un colloquio nel frattempo sono andati in pensione e altri sono deceduti. Parlare con Lei nel suo ufficio, mi conforta molto. Le confido però che il mio problema più grave è quello di non avere dei problemi! In questo momento non ho pensieri. Lei crede che io sia irrecuperabile?
- Apprezzo la sua confidenza, ma le voglio dire che qui lei è in buone mani. Noi ci prendiamo cura dei nostri sottoposti. Il loro benessere è anche il nostro! Seduta stante, si inventi un problema e vedrà come io sono in grado di risolverglielo!
- Ho sonno. Tanto sonno. Ho un bisogno profondo di dormire... lei cosa farebbe?
- Per prima cosa, le toglierei qualsiasi appoggio per sedersi. Ah! Ah! Ah! Lei non riuscirebbe a dormire in piedi, mica è un cavallo! Ah! Ah! Ah!
- Geniale! Un altro caso: c'è un Bruto che mi minaccia...
- Non è possibile! Questa è una famiglia dove tutti si vogliono bene. Certo, ogni tanto qualcuno va fuori di testa! Però non c'è mai stato un solo suicidio. Sì, al massimo qualche tentativo... ma nulla di veramente preoccupante! Un altro esempio: qui non c'è mai stato uno stupro! Ma ora che mi ricordo, mi sembra che c'è stata una testata, sì, ma al giorno d'oggi chi non riceve una capocciata in pieno volto? Le cose sono cambiate, bisogna adeguarsi! Lei consideri che la normalità è tutto ciò che capita qui. Quello che non succede qui, vuol dire che non è normale! Tutto chiaro?
- Fantastico! Io però preferirei che Lei trovasse soluzioni, non espedienti! Se ho sonno durante l'orario di lavoro, togliermi la sedia non mi pare rispettoso, né risolutorio. Se c'è un Bruto in ufficio, forse sarebbe il caso di isolarlo per non permettergli di nuocere ad alcuno. Chi si rivolge a Lei lo fa per comunicarle un bisogno, ma se Lei tradisce le attese dei suoi sottoposti, Lei diventa un simbolo negativo: una "speranza inaffidabile"; un capo su cui non poter contare.
- Uffa ma quante storie! Diciamo pure che lei rosica! Dica un po': le piacerebbe stare al mio posto, eh? Avanti si rilassi. . . questa è una famiglia dove tutti si vogliono bene. Lei vuole bene a me, io voglio bene a lei. Qui non esistono Bruti, se non nella nostra malata fantasia.
All'improvviso i suoi occhi vitrei si illuminarono di una luce sinistra e le lenti ne amplificarono gli effetti, un brivido mi scosse la schiena, mi accorsi che avevo bisogno di correre lontano, di farmi toccare dall'aria gelida, di immergermi nelle acque incontaminate di un ruscello.
Con movimenti lenti, sinuosi, le sue dita afferrarono una Rossana, la scartarono e l'adagiarono sul lembo delle sue labbra livide e voluttuose. Poi, con voce sensuale prese a dirmi: "Siamo una famiglia... rilassati. . . dobbiamo volerci bene... "
Mi resi conto che sarebbe bastato poco, veramente poco, perché si compisse un incesto! Una voce dentro, mi urlò: "No! L'incesto no!" Invocai l'arrivo di qualcuno che, di colpo, interrompesse quell'atmosfera irreale e paradossale. Purtroppo né un Santo né un fante mi salvarono. Forse tutto ciò era scritto nel mio destino?
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- Grazie, Eleonora. Beh! In effetti un finale così non lo auguro nemmeno al mio peggior nemico! Ho però voluto rendere un po' divertente la storia, anche se il concetto di famiglia in un contesto lavorativo è molto forzato, se non addirittura ipocrita. Preferisco che si parli di rispetto reciproco tra persone, piuttosto che altro. Un sorriso, Fabio.
- eh magari bastasse una Rossana a risolvere tutti i problemi! bella storia molto reale delle situazioni lavorative con un finale fantasioso.. o forse no..!?!

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