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Tutto quello che serve (parte 2)
Verso le sedici e mezzo sono uscito. Ho finito il turno di lavoro trenta minuti fa ed ho occupato mezz'ora per cambiarmi e scherzare con i colleghi. In questi casi bisogna ammetterlo, è proprio bello lavorare: quando si sta in compagnia il tempo passa veloce. Naturalmente è soltanto una mia riflessione; non esiste un dio che obbedisce ai tuoi ordini, ossia quello di far passare veloce il tempo.
Non appena mi avvicino alla macchina per tornare a casa, mi ricordo che devo comprare qualcosa da mettere sotto i denti per cena. Vado a fare la spesa... dopo una sigaretta però. Il fumo ha lo stesso effetto della prima volta, ti rende estraneo alla realtà, ti fa volare con la testa, ti toglie forze per dartene altre. Capisco che fa male, ma non me ne curo.
Non ho comprato molto da mangiare: un pacco di rigatoni, croccanti per Rosa, la mia amica a quattro zampe, e un contorno di verdure (non credo di riuscire a vivere senza). Esco con una busta mezza riempita. Ad un certo punto sento la mia tasca vibrare.
-Pronto?
-Ciao Riccardo, come va?- mi dice una vocina familiare.
-Abbastanza bene. E tu, Serena?
-Tutto ok. Ti ho chiamato per un favore.
-Dimmi pure.
-No, preferirei parlartene con calma. A che ora ci vediamo?- mi chiede.
-Adesso sto tornando a casa. Fai conto che sono libero.
-Vengo da te?
-Va bene. A dopo.- dico.
-Ciao.
Abito in un appartamento al terzo piano di un palazzo. Serena è la proprietaria di casa: pago l'affitto una volta al mese. Ma non è oggi il giorno di paga; mi domando cosa avesse da dirmi. Suona il campanello.
-Ciao Serena.
-Ciao. Scusa il disturbo, ma non so a chi chiedere se non a te.
-Tranquilla, hai fatto bene.
La faccio entrare e sedere. -Vuoi un tè o un caffè?- le domando.
-Meglio un tè, grazie.
Il tempo di servire il tè e di accendermi una Diana rossa che subito le piombo addosso con la mia curiosità.
-Niente di ché, Riccardo, ma volevo chiedertelo in faccia.
-Perfetto. Dimmi tutto.
-Giovedì parto con mio marito.
-Oh, che bello! Dove andate?
-In montagna, nei pressi di Bergamo.
-Caspita, mi fa piacere!- le dico con sincerità.
-Sì, penso che a cinquant'anni l'aria di montagna mi faccia bene.
-Naturale, ma... cosa dovrei fare io?
-Mi servirebbe, solo per tre giorni, che mi annaffiassi i fiori del mio giardino (è certo che ti pago, ci mancherebbe).- mi spiega.
Annuisco con la sigaretta in bocca. -Nessun problema. Solo la mattina o anche la sera?
-Entrambe.
Le ripeto che per me andava bene. Sembra che le abbia salvato la vita. Quando se ne è andata (ancora contenta come non mai), mi sorge un dubbio: ma tre giorni non sono un po' pochini per andare in montagna? Considerandone uno per andare (da Roma ne deve fare di strada) e uno per tornare, penso proprio di sì. Pazienza.
Come sempre il contorno di verdure è delizioso e io sono sempre soddisfatto; poi, se accompagnato da una sfiziosa sigaretta, ti fa finire la cena in bellezza. Anche Rosa sembra aver gradito i croccantini che le ho comprato, la ciotola è vuota. Per farmi capire che ha mangiato bene mi guarda con occhi lucidi e si passa la lingua da destra a sinistra.
Sonno non ne ho: prendo le chiavi della macchina ed esco. Non ho una meta precisa, penso di guidare e basta. Spreco benzina. Inquino l'ambiente. Le strade sono buie, perché sono di campagna e di lampioni neanche a pagarne. Giro per campi, come si dice, a velocità moderata, se non lenta, e nel frattempo penso al domani.
Il mio "Stream of consciousness", come lo chiamerebbe James Joice, è interrotto da tante piccole gocce che cadono sul piazzale sterrato. Piccole gocce che aumentano sempre di più: piove a dirotto. Fermo la macchina per evitare incidenti, anche se la vera motivazione è che non mi va più di guidare.
Guardo l'orologio e mi accorgo che sono le ventidue. Non avendo altro da fare, infili le dita nel pacchetto di sigarette ed estraggo l'ultima, come un mago che usa il suo asso nella manica per completare il numero, in mezzo a un mare di applausi.
Fumo con gli occhi chiusi, così mi piace. Sento picchiettare sul vetro, nemmeno guardo. Grandina pure, che bello; penso. Piano, leggermente moderato, fino ad esser forte. Sembra che mi vuol rompere il vetro. Apro gli occhi e capisco di non stare solo. Sotto la pioggia c'è una ragazza che bussa sulla mia portiera da diversi minuti, e io me ne sono reso conto solo ora. Immediatamente le apro per fornire riparo.
-Aiutami!- mi dice piangente.
-Cosa hai fatto? Cosa ti è successo?
-Lui è qui. Mi ucciderà!
-Lui chi?- le chiedo.
-Ti prego!
Porto l'indice alla bocca, per zittirla con gentilezza. Per capirci qualcosa ci vuole la calma e, se non c'è, bisogna trovarla. La faccio respirare profondamente, perché è molto, molto traumatizzata. Chissà cosa le avranno fatto. Ancora singhiozza.
-Adesso ce ne andiamo via di qui. Poi mi racconterai tutto per filo e per segno- le dico dopo tre minuti.
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