racconti » Racconti drammatici » Cento pagine d'amore
Cento pagine d'amore
Il mio diario fu il testimone silenzioso della storia con Alessia. Anche quando questa finì. E fu allora che divenne un compagno '' Il mio miglore amico '' che ascoltava i miei pensieri, le nostalgie, i ricordi. Non erano ricordi brutti. ANZI! La maggior parte erano ricordi struggenti per la loro bellezza, e quindi, spesso, difficili da sopportare, difficili da sostenere. E lui, il mio diario, lo sapeva. Lo sapeva per tutti quei fazzoletti imbrattati di lacrime che, uno dopo l'altro, ammucchiavo accanto alla mia tastiera mentre lo scrivevo come sto facendo ora. Centinaia di pagine. Punti della situazione. Momenti disperati. Momenti di pianto. Ma anche risate, piccoli ricordi dolcissimi che credevo di aver dimenticato e che invece emergevano all'improvviso. E sorridevo piangendo, mentre scrivevo, con le mani che tremavano quasi mentre i pensieri si confondevano e gli occhi si annebbiavano sotto un velo di lacrime.
Novembre 1998. Alessia e io eravamo perfetti sconosciuti, non ci eravamo mai parlati prima, frequentavamo zone diverse. Un giorno il destino ci mise lo zampino, lei visitò un posto dove scrivevo di solito, lesse un mio verso che parlava d'amore e di sentimenti, gli piacque (così mi disse, in seguito)e mentre mi guardava con i suoi occhi celesti, mi lanciò un sorriso. E così, nei giorni successivi, scambiando alcune idee, facemmo conoscenza. Ironia della sorte, il suo interesse per me era stato motivato anche da un equivoco. Lei pensava che io fossi fidanzato con una ragazza della sua città che frequentava la mia stessa zona e con cui ero in confidenza. Da questo dedusse che fossi della sua città. Io invece abitavo dall'altra parte del mare, e non ero fidanzato. E quando infine, dopo giorni e parecchi sguardi, mi chiese se ero delle sue parti, e gli dissi di no.. ormai era tardi.. eravamo già diventati amici!
Lei e io avevamo lo stesso identico concetto di amicizia, ne avremmo parlato insieme tante volte. Un concetto puro: il donarsi disinteressatamente agli altri per farli stare bene, e stare bene con loro. E non si trattava solo di un concetto, perché lei me lo avrebbe dimostrato SEMPRE con i fatti, quel concetto, lo avrebbe reso REALE: il nostro rapporto restò sempre disinteressato, dolce, gentile, pieno di amicizia vera, quella fatta di... di comprensione, del raccontarsi, del capirsi, del parlare per il piacere di stare insieme, di dividere ogni sera un'ora insieme, una mente accanto all'altra, un'anima accanto all'altra.. e quando ci lasciavamo chiudendo le luci, io ero così felice di avergli parlato e insieme sentivo che mi mancava qualcosa in quel momento che non avevo più lei lì, con me, le sue parole.
Gli volevo bene, col cuore, con l'anima, con la parte più bella di me stesso. Era un amica. Si. Solo un amica. Ma non avevo avuto mai prima d'allora un amica così.
"Mi sento orgogliosa e felice di averti conosciuto" mi disse un giorno, dopo alcuni mesi che già ci conoscevamo. Io arrossii. Non mi aspettavo un complimento simile. Ed era un complimento bellissimo, che nessuno mi aveva mai fatto. Non sapevo nemmeno cosa rispondergli, perchè ero felice anche io che il destino mi avesse messo accanto una come lei, e le parole non bastavano ad esprimere quel sentimento. "Grazie.." fu tutto quello che fui capace di rispondere "sono felice anche io". E lei, dolcissima, mi mandò un bigliettino con una faccina con le braccia aperte. Io gli risposi subito con la stessa faccina. E in quel momento avrei voluto poterla abbracciare davvero.
Un giorni mi raccontò che con l'amore non aveva buoni rapporti. Ragazzi della sua città, di Palermo. Storie finite ancor prima di iniziare. Freddezza. E distanza. "Ma hai tanti amici che ti vogliono bene" gli dissi cercando di tirarla su. E in quel momento mi vennero in mente le foto che mi fece vedere alcuni giorni prima, foto dell'estate precedente, di lei, su una spiaggia, sorridente, insieme ad altri amici ; in una scherzavano insieme, in un'altra, in gruppo, tenevano in braccio una ragazza, lei quasi cadeva ma era divertita.
Lei, in quelle foto era la più magra del gruppo, lo sguardo dolce dietro a quei suoi occhialini tondi.
"Si, ma a volte, sai, mi manca quel qualcuno che ti consideri speciale". Sapevo cosa voleva dire. E mi si strinse il cuore. "A Natale.." proseguì, ".. non avere nessuno.." La interruppi. Si, lo sapevo esattamente. Natale in famiglia. Con l'albero. I regali. Tutti fuori che fanno festa. Ma in fondo essere da soli, il cuore che batte a vuoto, senza nessuno da pensare, da stringere, a cui dire un ti voglio bene, un cuore che aspetta solo che quella festa finisca il prima possibile, e che con lei se ne vada l'angoscia, la tristezza, e quel senso di solitudine che ti avvolge come un sudario freddo.
Cambiò discorso, Si. Storie mai iniziate. Ragazzi scostanti. Stronzi, che gli offrivano amicizia e poi gli voltavano la faccia, che andavano con un altra. La ascoltavo in silenzio.
Ma poi quella sera mi raccontò anche dei suoi sogni. I suoi piccoli sogni. Andarla a prendere sotto casa sua. Sorriderle. Una passeggiata la notte, mano nella mano con il suo lui. Su una panchina, l'uno accanto all'altra, perdersi negli occhi di lui, poi chiudere i suoi, stringere ancora più forte la sua mano, e sognare insieme, sotto un cielo pienissimo di stelle.
Già. Con il suo lui. Un lui che non c'era.
12
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
- Questo racconto è un plagio del mio blog, presente in rete fin dal 2005, e ora diventato un libro. Dopo aver atteso inutilmente la rimozione del racconto, provvederò oggi stesso a sporgere denuncia nei confronti di Lorenzo Amendola e dei gestori del sito, del tutto assenti e sordi alle mie rimostranze. Ne risponderete in tribunale.
- apprezzatissimo complimenti
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0