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Non ficcate il naso in quei silenzi
Non dite mai
che il silenzio è d'oro
a chi fa naufragio
su un'isola deserta.
" Saepe tacens vocem verbaque vultus habet" Un volto che tace spesso ha voce e parole. Con questa massima di Ovidio, scolpita con maestria su un'imponente architrave di granito egizio da uno scalpellino disceso per direttissima da Francesco Borromini, si accedeva al Silence Analysis and Decoding Center di Saragozza. Il Centro accoglieva oltre trecento esperti provenienti da vari paesi e assegnati a tre diversi dipartimenti. Quello degli Studi Storici, quello degli Studi Contemporanei, per finire con quello di Consulenza Dinamica. Il primo, come si può facilmente immaginare, era quello più vasto e articolato. Era suddiviso in sezioni. Ognuna si occupava di un secolo. A partire dagli albori della civiltà. Per ciò che veniva prima, l'epoca pre-istorica, esisteva una sezione speciale. Il secondo era il più slim. Anche se destinato ad espandersi man mano che il ventunesimo secolo prendeva corpo. Mentre il terzo comprendeva una trentina di team mobili che svolgevano attività di affiancamento ad eserciti, polizie dei vari paesi, gruppi industriali, ed altri grandi organismi statali e privati.
Quella mattina Carlos Avila, piuttosto che andare al lavoro, avrebbe mangiato un piatto di "escrementos de perro que abe tomado el desgrasado", come usava dire lui nei momenti difficili. Quando era costretto a fare qualcosa contrario alla sua religione: il Vivir Lento. Che contava innumerevoli fedeli fra i pigri ma saggi latinos. Carlos era uno dei venti coordinatori del Centro. Compito abbastanza complesso, che non staremo a spiegare ora, ma che capirete strada facendo se avrete la pazienza di seguire con un po' di attenzione. Quella mattina Carlos aveva una riunione con The Sound of Silence, il capo di tutta la baracca. Il grazioso nickname gli era stato affibbiato dopo appena una giornata dal suo arrivo a Saragozza. Henry Goldsaxs era un biondo manzo americano, superattivo e superefficiente. Si era plurilaureato in tante di quelle discipline, in tempi così rapidi, che ad un indisciplinato e lento a carburare come Carlos queste performance provocavano sempre un forte giramento di testa e di cojones. Prima della riunione, però, il saggio Carlos doveva passare in biblioteca a consegnare un libro e, subito dopo, fare un salto in archivio a recuperare un dischetto.
La biblioteca interna era immensa. L'arredamento classico, tipicamente americano, contrastava armoniosamente con il resto del palazzo. Un edificio per il settanta per cento in cristallo, il resto in solido granito. Al tramonto, specie nella stagione calda, assumeva una tipica colorazione rosata. Sembrava quasi di essere in una Mini Luxor messa sotto vetro. Ovunque era luce e trasparenza. Solo nel grande salone di lettura della biblioteca i raggi filtravano appena. Quell'atmosfera da mondo sommerso induceva a isolarsi, ad immergersi nelle pagine, nuotare fra le parole, procedere indisturbati per le impervie strade del sapere. Dagli alti scaffali, interrotti solo dalla balconata, ponderosi volumi cercavano di contattare telepaticamente il visitatore con inviti pieni di mistero. La Historia del Silencio, Function of Silence, Silence and Pauses Meaning, L'intervallo nel Discorso, Die Stille Durch die Jahrhunderte. Erano solo alcuni titoli di quel vastissimo repertorio. Unica concessione ai tempi era il sistema di ricerca dei volumi. Bastava digitare su un piccolo visore, ritirato all'ingresso, un titolo o un argomento e subito ti veniva mostrata l'ubicazione del tomo relativo. Una sorta di culture navigator davvero utile. Anche se Carlos avrebbe di gran lunga preferito rivolgere la sua richiesta a due begli occhioni azzurri, su due graziose tettine sode, un culetto spavaldo, e due gambette nervose. Per certi versi era un ragazzo d'altri tempi che, seppure innamorato del suo lavoro, mal digeriva certi eccessi tecnologici. Occuparsi del silenzio lo affascinava e coinvolgeva più per un aspetto filosofico... no, non è esatto, diciamo più propriamente... poetico. Ecco, questa è la parola giusta. Non aveva accettato quell'incarico per tutte le implicazioni scientifiche che ne derivavano, ma perché, fin da bambino, lui aveva coltivato il silenzio con quella malinconica disposizione d'animo che si ha solo a quell'età. Poi, crescendo, questa tendenza, se correttamente alimentata, ti accompagna sempre. In modo meno invadente. In genere si manifesta a momenti. Spesso a richiesta. È il tuo luogo segreto. Inaccessibile agli altri. Una specie di stanza tutta tua, dove puoi stare a tu per tu con il tuo corpo, il tuo io profondo e, per chi è credente, dialogare con l'anima. Concetto estraneo a Carlos. Lui preferiva chiamarlo l'io bambino. Insomma, il silenzio come momento intimo che ti avvicina alla verità. Senza veli, paraventi, minacciosi cavalli di frisia. Per molti: il momento in cui si è più vicini a Dio.
Henry Goldsaxs stava spaparanzato su una chais-longue che a malapena riusciva a contenerlo tutto. Aveva in testa la sua fedele AKG e gli occhi chiusi. Sembrava dormire. Solo un leggero sorriso tradiva il suo stato di veglia. Carlos si avvicinò con passo felpato per non disturbarlo. La voce profonda di Goldsaxs, che continuava a rimanere immobile con gli occhi chiusi, interruppe il silenzio in cui era sprofondata la stanza. Non c'era vetro che non fosse antirumore e materiale che non fosse antiriverbero. Tutto l'ambiente era completamente anecoico, naturalmente.
- Carlos, amico mio, vieni, mettiti comodo e serviti. Versati quello che vuoi. Fai come se fossi a casa tua - Così dicendo il leggero sorriso si fece più marcato - ... aspetta solo un attimo, abbi pazienza, ma non posso interrompere proprio adesso.
Dopo un po', Henry Goldsaxs, con un rapido colpo di reni, si mise a sedere sulla parte centrale della chaise-longue. Tolse la cuffia e fece un gesto a Carlos perché si avvicinasse. Non sapremo mai cosa si dissero. Chi scrive non può riportarlo: per la sua totale incapacità di leggere le labbra. L'unica cosa certa è che l'espressione che si andava lentamente stampando sul volto di Carlos, come una fotografia che prende corpo nella bacinella della camera oscura, pareva rivelare stupore e grande preoccupazione.
Mentre in quella stanza andava in scena quel dialogo misterioso, quelle rivelazioni a cui non si poteva avere accesso, nel palazzo la vita continuava. Il lavoro procedeva molto alacremente. Anche se l'atmosfera era tranquilla, ovattata, tanto da sembrare rilassata. Nel Dipartimento Studi Contemporanei, DSC, si stava lavorando a vari casi. Fra questi, tre in particolare erano iniziati quel giorno. Il primo riguardava un famoso cantante italiano che inframmezzava i suoi discorsi con pause così lunghe che uno avrebbe fatto in tempo a uscire, fare a piedi tre rampe di scale, comprare le sigarette al bar di sotto, bere un caffé, e ritornare, rifacendo tranquillamente le scale, senza perdersi una parola. Si trattava di un silenzio denso di significati. Apparentemente facile da decifrare. Ma solo per gente superficiale. In realtà il soggetto era, per così dire, ad alto rischio e viscosità interpretativa. Data la sua imprevedibilità. I suoi percorsi mentali fuori dalla norma. Solo Joyce, la Woolf e Eliot, messi insieme, forse sarebbero riusciti a focalizzare e trascrivere il suo flusso di coscienza durante quelle lunghe pause. Il secondo caso riguardava Osama Bin Laden. Le sue improvvise apparizioni in TV. Bisogna a questo punto ricordare che i suoi interventi erano diventati così estemporanei, si erano fatti così frequenti che, sulla piattaforma di Sky, era stato affittato un canale per ospitarli. Trasmetteva ventiquattrore su ventiquattro. Telecamera fissa. Sempre in attesa di una improvvisata. Il nome, anche se faceva sorridere qualcuno, non prometteva niente di buono. Si chiamava "Ultimatum alla Terra". La cosa inquietante era che, rispetto al passato, Bin aveva cambiato registro. Entrava in scena quando meno te lo aspettavi, la telecamera stringeva sul suo viso, e lui fissava l'audience. Senza parlare. A volte minaccioso. A volte serafico. A volte insieme serafico e minaccioso. Nessuno riusciva a coglierne il vero, silenzioso messaggio. Il disorientamento era totale. Per finire, il terzo riguardava un dipinto di anonimo. Ritraeva una donna di colore, mezzo busto, su di uno sfondo lunare. Il fatto, nello stesso tempo curioso e sorprendente, era che ogni elemento del viso andava per conto suo: gli occhi erano tristi, le sopracciglia sorprese, la fronte leggermente corrugata, la bocca accennava un sorriso sfumato. Se però si cambiava punto di osservazione tutto si invertiva: le rughe dalla fronte sparivano, le sopracciglia si abbassavano, gli occhi sorridevano, la bocca comunicava mestizia. In ogni caso - magia di una gestalt sconosciuta - questa sommatoria di elementi così divergenti creava un'armonia che dava a chiunque guardasse un senso di beatitudine infinita. Era stato definito La Gioconda Africana. Per la sua impenetrabile enigmaticità e sorprendente mutevolezza. E adesso, alcuni dei migliori cervelli al mondo cercavano di trovare una risposta.
Per quanto riguarda il Dipartimento di Consulenza Dinamica, DCD, tutti e trenta i suoi team erano impegnati in missioni di affiancamento. In tutti i continenti. Il compito più delicato però era toccato alla squadra speciale, richiesta espressamente dal governo italiano, per affiancare la polizia nella eterna lotta contro Mafia, Camorra, Ndrangheta, e Sacra Corona Unita. Nelle cui file omertà e silenzi costituivano da secoli il vero, grande problema. Ma il lavoro più vasto ed improbo si svolgeva nel Dipartimento della Ricerca Storica. Il DRS. Qui c'era davvero pane per tutti i denti. Da mettersi le mani nei capelli e non dormire la notte. Tanti e tali erano ancora i casi da risolvere. Uno fra tutti, che attraversava i secoli dalla venuta di Cristo in poi: i silenzi della Chiesa. In quel particolare momento, la sezione del XV secolo si stava occupando del Tribunale dell'Inquisizione. Di Torquemada più precisamente. Era una ricerca che sarebbe servita per una pubblicazione dal titolo: Torquemada. Silenzi, reticenze, omissis. Trattava soprattutto dei processi di stregoneria. Pare che il nostro, durante i suoi interrogatori, usasse pausare con lunghi silenzi. A tal fine si stava mettendo a punto un programma che, incrociando una serie di dati, avrebbe potuto fare un po' di chiarezza su tanti misteri, tante cose non dette. Come attraverso un imbuto, si introducevano nel computer tratti fisiognomici, gesti, abitudini, tick, stile dell'eloquio, tono della voce, espressioni del viso... e la macchina, shakerando e distillando, avrebbe dato voce al silenzio. Più di duemila vittime innocenti, se non giustizia, avrebbero almeno avuto un po' di soddisfazione.
Sui Pirenei della Navarra, non molto lontano dal Cammino di Santiago de Compostela, occultato in una stretta e aspra gola, visitata solo da avvoltoi barbuti e pernici bianche, si trovava un monastero che non compariva in nessuna guida turistica. Le monache domenicane che vi risiedevano erano dedite, oltre che alla preghiera contemplativa, allo studio di quella forma espressiva comunemente conosciuta come silenzio. "Ora et silenter specula", così si riassumeva la loro Regola. Come il motto attribuito ai Benedettini, "Ora, lege et labora", era stato sintetizzato col passare del tempo, anche quello forse erroneamente attribuito ai Domenicani: "Ora, predica et specula", e da molte congregazioni assimilato, aveva subito la stessa sorte. In certi momenti riadattato. Reinterpretato. Come nel caso delle Monache di Navarra. D'ora in poi così chiameremo questa congregazione, per rispettarne la sana propensione all'anonimato.
La Chiesa vantava una lunga esperienza in merito, aveva praticato il silenzio fin dalle origini. Chi meglio di questa istituzione avrebbe potuto indagarne i misteri. Scandagliarne le profondità. Chi meglio delle donne, per di più monache, era in grado di conoscerne i segreti, la grammatica, le pause... l'essenza. Chi meglio di loro era in grado di scrutarne e decifrarne i significati. E poi le donne avevano una lunga tradizione di silenzi. Durata secoli, millenni. Che, almeno in parte, permaneva ancora. Molte, per oltre trecento anni, erano state vilmente condannate al rogo anche a causa dei loro silenzi. Nel corso della storia, la maggior parte delle donne erano state lingue silenti non solo per volontà o vocazione ma, più spesso, censurate per calcolo. Lingue tagliate dalla società degli uomini. San Domenico di Guzman non avrebbe mai immaginato che il secondo ordine da lui fondato, quello delle monache di clausura, sarebbe diventato nei secoli successivi, per intelligenza e abilità negli studi di ricerca e approfondimento, di gran lunga il primo. Non solo rispetto ai confratelli domenicani, ma rispetto ad ogni congregazione di qualunque ordine monacale e non. Maschile o femminile che fosse.
La mattina del 5 settembre 2012, verso le sei, una figura tutta bardata, in completa tenuta da montagna, stava percorrendo uno stretto e tortuoso sentiero sui Pirenei della Navarra. Era un uomo di media statura. Dall'aspetto forte come una roccia. Indossava una camicia a scacchi verdi e beige, pantaloni di velluto, e sulle spalle portava uno zaino. Camminava con passo lento e sicuro, appoggiandosi solo leggermente su di un solido alpenstock di legno naturale decorato. Che avrebbe adempiuto al suo vero compito solo nelle salite più difficili, quando sarebbe stato necessario ingranare la ridotta. Di tanto in tanto qualche sasso schizzava da sotto i massicci scarponi e rotolava nel dirupo sottostante. Compiendo un percorso di qualche centinaio di metri. L'uomo, senza scomporsi, manteneva il suo ritmo costante. Le sue gambe sembravano assorbire le asperità, come due ammortizzatori perfettamente tarati su quel tipo di terreno. Via via procedeva, quando il sentiero si faceva più largo e sicuro, volgeva lo sguardo attorno, riempiendo il suo cuore di sensazioni uniche che quel paesaggio meraviglioso gli stava elargendo a piene mani. Immerso in quella natura, apparentemente incontaminata, dove si udivano solo i suoi passi cadenzati, il fruscio del vento e i segnali lanciati dagli uccelli mentre compivano, alti nel cielo, le loro ampie evoluzioni. Avrebbe potuto continuare così all'infinito. La stanchezza era una sensazione estranea al suo corpo, tonificato e reso immortale dalla felicità dello spirito. Lasciato il sentiero arrivò, alle prime ombre della sera, in una radura, delimitata da un incantevole bosco di querce, roveri, e castagni. E lì, al limitare di quella superficie verde, piantò la sua piccola tenda. Accese un fuoco, consumò un leggero pasto, bevve un caffè, e per un po' si sdraiò, occhi rivolti verso un cielo incantato in cui si perse per almeno un'ora. Entrato in tenda, stanchezza e sonno se lo portarono via fino al mattino seguente.
Verso le cinque aprì gli occhi, si stirò, emise un lungo grugnito e, fatto rapidamente fagotto, si inoltrò nella boscaglia con rinnovate energie. Stava puntando verso ovest, dove i Pirenei incrociano Il Cammino di Santiago, diretto verso il valico di Ibaneta per poi scendere a Roncisvalle. Camminò di buon passo per diverse ore, e dopo due giorni arrivò al centro di accoglienza di pellegrini, nel suggestivo complesso chiamato Collegiata di Orreaga-Roncisvalle, sede di un'abbazia del XII secolo. Lì passò la notte per riprendere, il giorno dopo, il cammino verso ponente. Arrivò dopo diverse ore ad una grande pianura, ricca di prati e boschi popolati di vecchi faggi e inframmezzati di vasti pascoli. Percorse il sentiero lungo la valle di Erro e cominciò a salire verso il massiccio montuoso detto Quinto Real, sede della riserva di caccia popolata da cervi, caprioli e cinghiali. E mentre stava procedendo estasiato, si chiedeva quando mai nella vita gli sarebbe più capitato di rivedere quei posti. Rivivere quell'esperienza tanto affascinante da togliere il respiro. Era la stagione degli amori, in cui i cervi si accoppiavano, dopo aver conquistato il diritto a colpi di corna. Valicò il passo di Tapia e, appena scollinato, si fermò a dormire.
La meta si stava avvicinando. Chissà cosa avrebbe dato per spostarla di qualche centinaio di chilometri. Per gustarsi più a lungo possibile quella magia. Quei lunghi silenzi di giorni e notti punteggiati solo dei sussurri della natura. Anche se in fondo sentiva il bisogno di scambiare, di tanto in tanto, una parola con qualcuno. Quei profondi silenzi che lo avevano accompagnato erano incredibilmente belli ma: se spazio e rumore hanno bisogno di pause, di intervalli... come aveva scritto quello studioso italiano, lo stesso vale per il silenzio. Altrimenti si corre il rischio di perdersi. Irrimediabilmente. Imboccò un ripido sentiero che si inerpicava per diverse centinaia di metri, fino a proseguire lungo un crinale con pareti a strapiombo. Decine di avvoltoi cominciarono a volteggiargli sopra la testa. Non seppe resistere. Volse gli occhi al cielo. Fu proprio questa imperdonabile leggerezza che lo portò a mettere un piede in fallo. Precipitò. Mentre rotolava rovinosamente, oltre a ripassare velocemente la sua vita, ebbe solo il tempo di dire cazzo! Un masso arrestò la sua caduta. Sbattè la testa così violentemente che rimase privo di sensi per un tempo interminabile. Aprì gli occhi che era notte fonda. Era una notte senza stelle, tranne quelle del dolore. Poi, passandosi la mano sugli occhi umidi, capì che lo sguardo gli era impedito dal sangue che copioso gli aveva invaso la faccia. Le stelle erano lì. E lo stavano a guardare. Meno male. Segno che era vivo. Ora avrebbe dovuto controllare i danni. Si tastò tutto, cominciò a muovere prima un braccio poi l'altro. Adesso toccava alle gambe. Era il momento della verità. Dolore alla schiena non ne sentiva: lo zaino aveva ammortizzato gran parte del colpo. Anche le gambe erano a posto. Per un momento si rammaricò di non essere credente. Avrebbe almeno potuto ringraziare il buon Dio. Dovette ripiegare sulla sua buona stella. Carlos Avila era vivo. Molto ammaccato, ma vivo e felice di esserlo. Felice di quel cielo stellato e di quel vento che gli stava asciugando il sangue. Si tolse lo zaino, tirò fuori la tenda, la montò alla bene e meglio, vi si infilò a dormire senza curarsi molto del luogo dove era finito.
Alle prime luci dell'alba, fu svegliato da qualcosa di morbido che si muoveva sulla sua faccia. Sembrava come il risveglio dall'anestesia dopo un'operazione: non sai quale parte di ciò che stai vivendo appartenga allo stato onirico comatoso o a quello della realtà. Lentamente aprì gli occhi. E per un momento non gli credette. La grossa lingua di un grosso cane da pastore lo stava leccando come una tibia di toro.
- Hei, bello, vacci piano, è l'unica faccia che ho, un po' malconcia ma ci tengo molto, non consumarmela tutta!
Il cane smise e lo guardò con aria interrogativa. Carlos, pensando di averlo offeso, si mise seduto e lo abbracciò con grande trasporto, per manifestargli tutta la sua riconoscenza. Lo accarezzò, mentre si guardava attorno attirato dal rumore dell'acqua. Si trattava di un fiumiciattolo poco distante. Carlos, seguito dal cane, si avvicinò, si tolse gli abiti e si immerse nelle fredde ma tonificanti acque. Passarono insieme una buona mezz'ora a fare i bambini. Spruzzandosi a vicenda. Rotolandosi, gridando e abbaiando come due infantiliti in un raptus di stupidera.
A questo punto serve una spiegazione. Dopo il dialogo avuto con "bisteccone" Henry Goldsaxs, Carlos era partito immediatamente in missione. Appena il tempo di mettere insieme l'attrezzatura, prima che un elicottero lo caricasse al volo. Destinazione Pirenei. Un suo collega, un altro coordinatore del Silence Analysis and Decoding Center era scomparso sui quei monti. Era, come lui, stato inviato in missione segreta. Goldsaxs, venuto a conoscenza degli studi che le monache di Navarra stavano conducendo sul silenzio, aveva contattato l'Ufficio Studi della Chiesa spagnola, chiedendo la disponibilità ad una collaborazione. In particolare era interessato ai risultati che riguardavano l'Inquisizione spagnola, argomento in cui le monache sembravano in vantaggio rispetto al Centro di Saragozza. Ottenuto il nullaosta, aveva inviato Jerry Shoemaker sui Pirenei per avere un colloquio con la badessa di quel monastero sperduto. Le monache di clausura infatti, vista la loro condizione, non potevano allontanarsi dalla loro sede. Aveva sentito Jerry, l'ultima volta, a poca distanza dalla sua destinazione e poi più nulla. A Carlos spettava il duplice compito di far luce sulla sorte di Jerry e portare a termine la sua missione. In tutta quella storia c'era qualcosa che non tornava. Se Jerry avesse avuto un incidente, il suo telefono satellitare avrebbe consentito almeno di localizzarlo. E invece: silenzio assoluto. Che cosa era successo? Ce l'aveva fatta a raggiungere il monastero? E in caso affermativo, cosa ne era stato di lui dopo?
Quel salutare bagno pirenaico aveva rimesso in sesto Carlos. Anche il cane aveva gradito. Tanto che ormai gli si era così affezionato che decise di seguirlo. Compagni di avventura. Adesso Carlos avrebbe avuto qualcuno con cui scambiare due chiacchiere. Il silenzio era bello. Ma, come tutte le cose, il troppo... Controllò lo zaino per vedere se non ci fosse niente di rotto, e purtoppo dovette constatare che la bussola era andata in mille pezzi. Ma soprattutto mancava la sua Glock 17. Cercò in un raggio di almeno duecento metri. Della pistola nemmeno l'ombra. Chissà! Forse era rimbalzata finendo nell'acqua. Pazienza! Adesso c'era quel grosso cane a fargli da bodyguard.
Ripresero il cammino. Dopo poche ore, in lontananza, arroccato su di un costone della montagna, al centro di una stretta gola, apparve loro il monastero. Via via si avvicinavano, Carlos poteva ammirarne la semplicità e la bellezza. Sound, così Carlos aveva battezzato il suo fedele amico, sembrava tutto contento di tornare alla civiltà, pregustando qualche osso da scarnificare. Continuava ad agitare la coda come un samurai la sua spada. Di tanto in tanto colpiva le gambe, ancora non completamente ristabilite, di Carlos. Ma per amicizia si può sopportare questo e altro. Arrivarono davanti al portone. Prima di suonare la campanella, Carlos si guardò intorno. Il monastero era una costruzione risalente con ogni probabilità al XIV secolo. Un po' fatiscente ma in ordine. A quei tempi sì che sapevano fare le cose come si deve, pensò. Il suono della campanella sembrò per un attimo scuotere quel mondo dal suo bucolico torpore. Dopo circa dieci minuti si aprì un piccolo sportello al centro del portone e, attraverso una fitta grata, una voce chiese:
- Cosa desidera?
- Sono Carlos Avila, dirigente del Silence Analysis and Decoding Center di Saragozza... Sono atteso dalla Badessa, le dispiace annunciarmi?
- Dovrebbe essere così cortese da entrare da quella porticina sulla destra, vicino al rampicante. Da lì si accede al chiostro. Sotto i portici, in fondo a sinistra, troverà un'apertura, con una placca di metallo bucherellata. Attenda là. La Badessa la raggiungerà.
Carlos rispettò le indicazioni, seguito a ruota dal fido Sound, che vedeva sempre più allontanarsi le speranze di fare uno spuntino. Il chiostro era stupendo. Pieno di aiuole e fiori che spandevano intorno i loro profumi. Al centro un piccolo pozzo, dove probabilmente le monache attingevano l'acqua per bere e cucinare. Sound si avvicinò al secchio pensando: se non si mangia, almeno beviamo.
Attese per un buon quarto d'ora davanti allo spioncino. Finalmente sentì scorrere un catenaccio. Attraverso i piccoli fori percepì una presenza.
- L'aspettavo... è un po' in ritardo. Ha incontrato ostacoli sul suo cammino?
- Roba da poco, ma sufficiente a farmi perdere un po' di tempo. Mi dispiace per il ritardo.
- Per carità, non deve... qui il tempo non ci corre dietro. Si vive in una dimensione diversa dalla vostra.
- Come le avrà già preannunciato il dottor Goldsaxs sono qui...
- Sì, sì, so tutto.
- Ecco, però, prima di entrare in argomento, devo dedurre che lei non ha visto il mio collega: Jerry Shoemaker.
- No, infatti. Quando ho saputo del suo imminente arrivo, mi sono chiesta che fine avesse fatto il signore la cui visita mi era stata annunciata in precedenza.
- Purtroppo se ne sono perse le tracce, speriamo...
- Lo spero ardentemente, pregheremo per lui! Da qui non posso fare altro... se non indicarle dove eventualmente cercare di raccogliere informazioni. Prima che se ne vada le farò una mappa dei percorsi dei pastori della zona.
- Le ho portato il dischetto promesso.
- E io le ho preparato il manoscritto... ci deve scusare, anche noi abbiamo dei computer, cose un po' antidiluviane, non state of the art come immagino siano i vostri, ma purtroppo siamo a corto di supporti su cui trasferire i dati.
Carlos prese il plico, aprì la camicia, e ve lo infilò.
- Mi tolga, se può... se non sono troppo indiscreto... una curiosità. Come mai le gerarchie della Chiesa spagnola hanno acconsentito a questa collaborazione?
- Vede, un po' di anni fa sarebbe stato impensabile, ma sa gli uomini cambiano, i governi anche. Oggi c'è più comprensione e collaborazione tra potere temporale e potere spirituale. Nell'interesse degli uomini. Ma anche della Chiesa stessa. Perché faccia un passo avanti e ritorni all'insegnamento del Cristo. Questo per quanto riguarda la Spagna. Non so Roma, visto che, per usare un eufemismo, non ha bene accolto questa collaborazione. Da indiscrezioni, mi è giunta voce che il Cardinale Malincus abbia bollato la cosa come "imperdonabile leggerezza... foriera di conseguenze nefaste". Però, sembra che la curia romana non abbia preso provvedimenti, almeno fino a questo momento... ufficialmente dico.
- Non ne ero al corrente. Forse comincio a capire... - Gli era scappata quest' ultima mezza frase che avrebbe dovuto probabilmente tenere per sè.
La Badessa fece finta di non aver sentito e aggiunse, con tono dolce e cordiale:
- Prima che riparta abbiamo preparato per lei e il suo compagno qualcosa in refettorio. Giusto per riprendere il cammino...
- La ringrazio molto, anche da parte di Sound. - il quale, avendo capito che qualcosa bolliva in pentola, e fuor di metafora, dimenò più volte la coda.
- La saluto, è stato un piacere. Abbia cura di sé. Stia attento... la cosa che ha nascosto in petto, come dite voi "scotta"... e anche parecchio! Pregherò per il suo collega. Che tutto si risolva per il meglio. Il Signore sia con voi.
- Grazie ancora, sorella, grazie di tutto, il piacere è stato mio.
Si lasciarono così. Lo spioncino tornò a chiudersi, mentre una porta veniva aperta. Dopo essersi rifocillati, Carlos e Sound ripresero il cammino.
Carlos Avila scomparve sui monti. Su quei Pirenei che lo avevano fatto innamorare. Senza lasciare tracce. Svanito nel nulla. Avvolto in un silenzio destinato probabilmente a non essere mai più decifrato. E con lui, il fedele Sound.
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