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Non ficcate il naso in quei silenzi

Non dite mai
che il silenzio è d'oro
a chi fa naufragio
su un'isola deserta.





" Saepe tacens vocem verbaque vultus habet" Un volto che tace spesso ha voce e parole. Con questa massima di Ovidio, scolpita con maestria su un'imponente architrave di granito egizio da uno scalpellino disceso per direttissima da Francesco Borromini, si accedeva al Silence Analysis and Decoding Center di Saragozza. Il Centro accoglieva oltre trecento esperti provenienti da vari paesi e assegnati a tre diversi dipartimenti. Quello degli Studi Storici, quello degli Studi Contemporanei, per finire con quello di Consulenza Dinamica. Il primo, come si può facilmente immaginare, era quello più vasto e articolato. Era suddiviso in sezioni. Ognuna si occupava di un secolo. A partire dagli albori della civiltà. Per ciò che veniva prima, l'epoca pre-istorica, esisteva una sezione speciale. Il secondo era il più slim. Anche se destinato ad espandersi man mano che il ventunesimo secolo prendeva corpo. Mentre il terzo comprendeva una trentina di team mobili che svolgevano attività di affiancamento ad eserciti, polizie dei vari paesi, gruppi industriali, ed altri grandi organismi statali e privati.

Quella mattina Carlos Avila, piuttosto che andare al lavoro, avrebbe mangiato un piatto di "escrementos de perro que abe tomado el desgrasado", come usava dire lui nei momenti difficili. Quando era costretto a fare qualcosa contrario alla sua religione: il Vivir Lento. Che contava innumerevoli fedeli fra i pigri ma saggi latinos. Carlos era uno dei venti coordinatori del Centro. Compito abbastanza complesso, che non staremo a spiegare ora, ma che capirete strada facendo se avrete la pazienza di seguire con un po' di attenzione. Quella mattina Carlos aveva una riunione con The Sound of Silence, il capo di tutta la baracca. Il grazioso nickname gli era stato affibbiato dopo appena una giornata dal suo arrivo a Saragozza. Henry Goldsaxs era un biondo manzo americano, superattivo e superefficiente. Si era plurilaureato in tante di quelle discipline, in tempi così rapidi, che ad un indisciplinato e lento a carburare come Carlos queste performance provocavano sempre un forte giramento di testa e di cojones. Prima della riunione, però, il saggio Carlos doveva passare in biblioteca a consegnare un libro e, subito dopo, fare un salto in archivio a recuperare un dischetto.

La biblioteca interna era immensa. L'arredamento classico, tipicamente americano, contrastava armoniosamente con il resto del palazzo. Un edificio per il settanta per cento in cristallo, il resto in solido granito. Al tramonto, specie nella stagione calda, assumeva una tipica colorazione rosata. Sembrava quasi di essere in una Mini Luxor messa sotto vetro. Ovunque era luce e trasparenza. Solo nel grande salone di lettura della biblioteca i raggi filtravano appena. Quell'atmosfera da mondo sommerso induceva a isolarsi, ad immergersi nelle pagine, nuotare fra le parole, procedere indisturbati per le impervie strade del sapere. Dagli alti scaffali, interrotti solo dalla balconata, ponderosi volumi cercavano di contattare telepaticamente il visitatore con inviti pieni di mistero. La Historia del Silencio, Function of Silence, Silence and Pauses Meaning, L'intervallo nel Discorso, Die Stille Durch die Jahrhunderte. Erano solo alcuni titoli di quel vastissimo repertorio. Unica concessione ai tempi era il sistema di ricerca dei volumi. Bastava digitare su un piccolo visore, ritirato all'ingresso, un titolo o un argomento e subito ti veniva mostrata l'ubicazione del tomo relativo. Una sorta di culture navigator davvero utile. Anche se Carlos avrebbe di gran lunga preferito rivolgere la sua richiesta a due begli occhioni azzurri, su due graziose tettine sode, un culetto spavaldo, e due gambette nervose. Per certi versi era un ragazzo d'altri tempi che, seppure innamorato del suo lavoro, mal digeriva certi eccessi tecnologici. Occuparsi del silenzio lo affascinava e coinvolgeva più per un aspetto filosofico... no, non è esatto, diciamo più propriamente... poetico. Ecco, questa è la parola giusta. Non aveva accettato quell'incarico per tutte le implicazioni scientifiche che ne derivavano, ma perché, fin da bambino, lui aveva coltivato il silenzio con quella malinconica disposizione d'animo che si ha solo a quell'età. Poi, crescendo, questa tendenza, se correttamente alimentata, ti accompagna sempre. In modo meno invadente. In genere si manifesta a momenti. Spesso a richiesta. È il tuo luogo segreto. Inaccessibile agli altri. Una specie di stanza tutta tua, dove puoi stare a tu per tu con il tuo corpo, il tuo io profondo e, per chi è credente, dialogare con l'anima. Concetto estraneo a Carlos. Lui preferiva chiamarlo l'io bambino. Insomma, il silenzio come momento intimo che ti avvicina alla verità. Senza veli, paraventi, minacciosi cavalli di frisia. Per molti: il momento in cui si è più vicini a Dio.

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1 recensioni:

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  • Anonimo il 18/04/2013 09:39
    Affascinante l'argomento, la solita perizia nel narrare da farti arrivare alla fine del racconto come fosse trascorso un attimo. Profondo ma mai serioso: hai il senso della leggerezza che io chiamo "profonda". Ho sorriso quando ho intravisto invece i silenzi pesanti come piombo di Celentano ( ne avranno da studiarci... ). Dare voce al silenzio Gabriele!? tu ci fai capire che ancora per certi ambienti si rischia di scomparire ed allora ci rimanga almeno quello che intimamente ci avvicina a Dio. Bello sapere che qualcuno considera noi donne specialiste in silenzio, quasi sempre accompagnato da sopportazione e dolore ma per fortuna sempre più solo SILENZIO, con la valenza di raccoglimento. GRAZIE e un caro saluto! Chiara

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