Scendi le scale, lasciati andare, senti la pelle che frigge sotto le mie mani, il suono stridulo di questa chitarra, viene da qui sotto, sotto dove sono i nostri amici che ancora ballano. Che ora è? Il tempo si è dilatato e ha preso la forma di un bicchiere, quello pieno ancora di birra, mi piace la birra, gonfia ma ne berrei a litri, cade giù ghiacciata lungo la gola e la musica si prende gioco delle bollicine e chiudo gli occhi, perché mi piace esserci senza che la vista mi ottunda il pensiero. Parole, parole che scorrono come il liquido gelato, si adagiano sui suoni primordiali di una batteria, entrano nel circuito viola della nostra essenza quella buia del nulla. Ci sono, vi ho chiamato più volte, eravamo tutti giù, dentro la buca del suono e aspettavamo la vostra chiamata per risalire alla luce, la luce lattea dell'alba, quando ancora il freddo buca il viso.
Il lago questa notte è nero, camminiamo avanti e indietro, sono ore che camminiamo, la testa sembra esserci ma è solo un'immagine virtuale. Siamo persi, uno nella testa sua e camminiamo lungo questo bosco illuminato da lucciole, punti bianchi fosforescenti, gli stessi che ora il buon Andrea prende a prestito al cosmo per i suoi quadri non quadri, finestre, lenzuoli di colori e di dissolte emozioni.
Il tempo è andato, quel lago è stato circondato, chi può essere più libero di assaporare il gusto della terra, di vivere su una spiaggia in una grande comune di gente che vuole giocare, si giocare in questa eterna infanzia, che non vogliamo abbandonare, perché non è esistito nulla che non sia stato già scritto o detto, dipinto o suonato.
Adagiamoci su questo prato di stoffa, afferrami la bocca e rotoliamoci fino a perdere i sensi, nel deliquio dell'amore, solo quello è l'antidoto per non impazzire.
Gli anni aumentano l'ingordigia e ti afferro per rapirti in quell'inferno di sensi, nel quale mi hai plasmato, nel quale sono cresciuta e di cui ci gustiamo golosi il maturo frutto.