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Quando Arthur abbandonò la poesia
Le aveva dato appuntamento al lago quella mattina. Pioveva ma non era un temporale passeggero era una pioggerellina fine e continua, che un cielo grigio tenue sputava dolcemente.
Il lago era avvolto in un manto soffice di nebbia, la giornata sembrava non dovesse mai iniziare, un eterno crepuscolo di un' alba o di un tramonto, abbandonati alla deriva di una povertà interiore lacerante.
Quando Artur parcheggiò l'auto lei era già ferma ad attenderlo. Come la vide il cuore gli andò in subbuglio. Non riusciva a contenere la sua immagine per intero, era una sensazione forte, uno stantuffo che dal cuore balzava in mezzo alle gambe, che avevano poi difficoltà a contenere quel legno di quercia prossimo ad un'esplosione.
Quella donna lo soggiogava, quei capelli neri e voluminosi, che ricadevano morbidi lungo le spalle, durante i furiosi amplessi gli vorticavano come serpi sottili sul volto e contribuivano a fargli perdere la testa.
Ci mise un tempo infinito a spegnere il motore, a tirare il freno a mano... la guardava e un'eccitazione selvaggia lo afferrava dai piedi. Si prese il tempo di osservarla meglio partendo dai capelli per poi perdersi su quelle labbra rosse, così accentuate da quel rossetto lucido accattivante. Gli sembrava di sentirle morbide sul suo corpo anche se la vista di quel rosso lo spaventava, gli ricordava che era una puttana, una che si era concessa per una lacrima e allora una voglia irrefrenabile di riempirle di terra invece che di carne lo eccitava di più.
Scendendo dall'auto lei gli andò incontro. Il fisico slanciato era un urlo, sembrava che quei fianchi sinuosi fuoriuscissero dalla nebbia del lago per entrare nella sua nebbia erotica. Le sorrise ma sembrava assente, come guardasse un film. Era strano Artur questa mattina, impacciato come un bambino alla sua prima avventura.
Non era impaccio era pazzia, quella sottile che ti attraversa la mente come un lampo, ti afferra le gambe e il ventre sembra premere in cerca di una via d'uscita. Un liquido finale per lavare il peccato di esistere.
Ora era lei a farglisi intorno, era lei a desiderare quel bimbo invecchiato di colpo. Si strusciò come una gatta affamata e curiosa e lui sentì il suo seno aderire al braccio e un brivido caldo lo scosse leggermente.
Non c'erano lunghi discorsi, lei era l'unica di cui Paolo non era geloso, l'unica che li aveva posseduti entrambi in un lungo amplesso dove regina si ergeva tra i due corpi affannati di uomini non uomini.
Ora però lo voleva da solo, voleva l'urlo del suo possesso, voleva che si fondesse nel suo ventre.
Artur si lasciò baciare e un bruciore come di fuoco lo invase e lei se ne accorse e felice lo tirava dolcemente per mano.
La pioggia continuava a cadere ma tra gli alberi ancora verdi di questo primo autunno, sembrava non bagnare.
Si immersero in quella confusione di verde e di grigio lasciandosi alle loro spalle la strada bagnata, attraversata, di quando in quando, da qualche auto solitaria di cacciatori della domenica.
La loro pelle e i loro vestiti sembravano diventati dello stesso colore del fogliame.
Il grigio del cielo soffocava la lucentezza dei colori ma rendeva l'atmosfera estremamente erotica e quella nebbia che offuscava l'orizzonte del lago, con i suoi sbuffi, accentuava un desiderio di piacere e di morte al tempo stesso.
Più questo piacere gli risaliva le gambe più Artur si fermava ad ammirarla e poi senza dover corrompere quel silenzio di sospiri la cominciò a spogliare. I brividi di un freddo umido percorrevano la pelle di lei e le indurivano i capezzoli e lui li guardava pronto a cibarsene come di ciliegie d'autunno.
Quella carne aveva perso il colore umano, si faceva tutt'uno prima con le foglie.. poi quando si adagiò sembrò rientrare nella terra. La guardava Artur e un'attrazione cieca si faceva spazio e si adagiò sulla cresta del mondo. Perse il suo volto tra le pieghe dell'origine del tutto, quell'origine che lui stesso odiava, fonte di tanto dolore e di tante lacrime.
Lì immerso in tanto umore si dibatteva come una falena intorno ad una lampadina.
Poi salì strisciandogli addosso per sentire la pelle raggrinzita dal freddo e per coprire di baci quelle mammelle alle quali attingeva latte, liquido drogato di pazzia.
Caldo scendeva il veleno e non toccava le pareti dello stomaco, che già la testa proiettava eccentrici verdi frammisti a marroni pungenti.
La prese con la passione di un uragano. La sentiva godere sotto le sue mani e cavalcava furente, prossimo alla battaglia decisiva.
Era arrivato in cima alla vetta, la vedeva godente, gli occhi chiusi e il capo semi riverso...
Ora era il momento, il culmine dell'orgasmo merita un urlo, un urlo vero liberatorio.
Senza che lei se ne accorgesse le avvolse il collo con le sue mani grandi e morbide. Ansimava per raggiungere la vetta, la sentiva Artur, conosceva i suoi tempi lunghi, a volte estenuanti per lui. Sapeva godere come lo sanno fare le donne.
È tutto più lento quasi immobile, come l'acqua del lago.
Aspettava Artur, le carezzava il collo, lo studiava mentre la guardava... poi sentì il suo respiro farsi sempre più affannoso... ci siamo e ci diede dentro perché voleva arrivare con lei e poi sparire con lei, sparire nella nebbia.
Mentre che emetteva il gemito lungo e sibilante dell'orgasmo Artur premette forte le mani su quel collo candido e voluttuoso e il gemito si trasformò in Urlo.
E lui venne davanti al suo sguardo allucinato e implorante.
Raggiunse il suo punto di non ritorno proprio mentre le membra di lei si rilasciavano nella morte.
Poi tranquillo si rivestì e gettato un ultimo sguardo a quel corpo se ne andò e da quel giorno non prese mai più in mano una penna.
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2 recensioni:
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- il racconto è scritto bene, si legge con agilità, il critico attento deve cogliere l'aspetto surreale che consiste nell'esasperare le doti maschili per scoprirne i limiti e svilire le qualità femminili per esaltarne le doti. L'ho letta così. Ciao.
- scritto bene, si lascia leggere senza intoppi ed incuriosisce... e questo per un racconto è già molto.. sul contenuto dico solo: hai bene espresso in forma racconto l'odio antico di molti uomini per le donne: tradotto in simboli, la prostituta, e quindi la mercificazione, le mammelle, odiate perchè rappresentano la vita, l'amore, il cibo primordiale... E poi quella nebbia che avvolge il tutto, anche la mente... complimenti
- Bravo Antonio sai trovare sempre una particolarità che altri, me compresa ahahah, non vede... sei un grande!!!!
- Grazie Ciro per i tuoi apprezzamenti, il racconto si snoda attraverso due metafore: una è quella relativa all'abbandono della poesia, che in Rimbaud ha avuto un effetto terribile, è diventato un mercante in un paese sconosciuto, ha cambiato pelle, ha ucciso la poesia. La seconda può essere quella che hai visto tu e si innesta nel discorso attualissimo del femminicidio che è una tragedia di proporzioni mondiali. Sono felice quando riesco a scrivere qualcosa che si presta a varie interpretazioni. Un saluto
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