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Lost in Information
Se non volete perdervi
in un bicchier d'acqua,
portatevi una mappa dettagliata.
Si trovava in quella piccola città del centro Italia da poco più di tre mesi. Il Prof. Philip Hazon era stato fortemente voluto dal Consiglio Accademico dell'Università, con la stessa determinazione e intensità con cui, a Napoli, il popolo aveva pregato tre giorni e tre notti per l'arrivo di Maradona. Grande conoscitore di tutti gli aspetti della comunicazione, temprato a Eton, si era laureato a Oxford in Psicologia della Comunicazione. Poi, aveva conseguito un Ph. Doctor a Cambridge, in Scienza e Tecnica della Comunicazione. Entrato a far parte del gruppo di Palo Alto, per circa tre anni aveva lavorato gomito a gomito con Paul Wazlawick e la sua équipe. E, in seguito, insegnato in alcune delle migliori università degli States. Sue alcune delle più importanti pubblicazioni a cavallo tra gli '80 e '90. La più nota, Effetti Collaterali della Comunicazione Umana, aveva dato origine ad un libro, edito dalla Random House, che aveva riscosso un discreto successo fra gli addetti ai lavori. Adesso, alla soglia dei suo settantesimo anno, aveva deciso di accettare quell'incarico per concludere serenamente la carriera.
Il Prof. Phil Hazon conosceva alla perfezione la lingua italiana, avendo sposato una bellissima ragazza di Firenze, incontrata per caso a Cambridge. Purtroppo un cancro gliela portò via ancora nel fiore degli anni. E lui non volle più saperne di risposarsi. Era solo. Ma il ricordo di lei, così allegra, positiva, solare, e i numerosi incarichi nei vari atenei ne facevano un uomo sereno. Gli piaceva relazionarsi con tutti, specie con i giovani. Era molto interessato ad approfondire ogni aspetto della storia e della vita dei luoghi dove si recava a lavorare. Non poteva certo dirsi uomo chiuso nei suoi studi e sordo agli apporti del mondo esterno. Gli piaceva stare al passo coi tempi. Si accostava a tutto ciò che era vivo e vitale. Da cui amava trarre continui spunti, che elaborava in brevi racconti. Scriveva per il puro piacere di scrivere. Piccole storie che non voleva pubblicare. Ma che offriva di tanto in tanto ad amici e conoscenti. Perché, sosteneva, attraverso lo scrivere anche più fantasioso, chi già ti conosce può conoscerti meglio. Più profondamente. Può attraversare indisturbato il tuo territorio umano. Seppur da lontano, aveva seguito i cambiamenti della società italiana. E, per grandi linee, anche le novità della politica. Salute permettendo, avrebbe avuto modo di approfondire nei mesi a venire. Farsi un'idea più precisa di ciò che stava accadendo.
Il Prof. Hazon aveva sempre goduto di una salute di ferro ma da alcuni giorni accusava un dolorino al basso ventre. Forse un inizio di ernia... chissà! Meglio farsi visitare. Si era recato dal medico che, prima di azzardare una diagnosi e dargli qualche porcheria, gli aveva consigliato di fare una ecografia completa all'addome. Così, quel pomeriggio, con tanto di prescrizione medica, si era recato all'ospedale.
A dispetto delle dimensioni piuttosto contenute della città, l'ospedale si stendeva su di un'area vastissima. Oltre al nucleo originario, composto da diverse decrepite palazzine, numerose ardite costruzioni si erano aggiunte nel corso degli ultimi anni. Dando al tutto l'aspetto di una città satellite. Ampi viali alberati conducevano ai vari padiglioni. Il pronto soccorso, poi, era enorme. Costituito da una immensa cupola verde, che sembrava progettata da un architetto di grido. E forse lo era. C'erano più vie d'accesso. Lui ne aveva imboccata una a caso, fidando nel suo senso dell'orientamento. Sicuro che ogni strada portava di certo a Roma. Era piacevole camminare in quei viali fiancheggiati da alberi odorosi, da quelle siepi ben scolpite. Di tanto in tanto buttava l'occhio qua e là. Sembrava più un turista curioso che un potenziale malato. Perfino quel dolorino all'addome sembrava scomparso. Ad un certo punto, tutto preso dall'osservazione di ciò che gli stava attorno, si accorse di essersi inoltrato come un visitatore senza meta. Non trovando un cartello che facesse al caso suo, si avvicinò ad una ambulanza da cui stavano scaricando un paziente. Uno dei portantini gli spiegò che per il reparto di gastroenterologia bisognava continuare per circa cinquecento metri, girare a destra, dove c'era la fontana di ghisa, poi a sinistra. Dopo circa trecento metri avrebbe visto delle transenne e delle impalcature per lavori di restauro. Doveva costeggiarli e infilarsi in un sottopassaggio che lo avrebbe condotto direttamente alla Torre. Lì sarebbe stato tutto più facile. Un gioco da ragazzi. Sorpreso dalla gentilezza dell'uomo, memorizzò il tutto, ringraziò, e riprese il cammino come un viandante rinfrancato da un buon viatico. Come sono tutti affabili e gentili, pensò. Nonostante i tempi, cortesia e solidarietà, da queste parti, sembrano fare ancora parte del corredo genetico. Forse perché ci troviamo in un ospedale. D'altronde è ovvio sia così... anche se fossimo al cimitero nessuno penserebbe di non darti retta o investirti con male parole. Certi luoghi e certi momenti ispirano, più di altri, sentimenti e modi civili. Pensa a quanti si pentono e diventano buoni in punto di morte... Con queste divagazioni in testa, raggiunse gli alti ponteggi coperti da enormi teli arancione. Si agitavano appena ai timidi colpi di vento. Li costeggiò, come da indicazioni ricevute, cercando un'apertura che gli permettesse di entrare nella Torre. Ecco, dopo circa cento metri, un cartello improvvisato diceva: per di qua!
Vi si infilò e si trovò in un sottopasso, ai cui lati correvano grossi tubi di alluminio nuovi di zecca. Dalle basse e lunghe finestre usciva un odore di cucina da caserma. In fondo, una porta a vetri a due ante. Su quella aperta verso l'esterno, un cartello, attaccato ai quattro lati con lo scotch, diceva: Uscita. Certo, uscita per chi veniva dalla parte opposta. Per chi, come lui, veniva dall'esterno si trattava inequivocabilmente di entrata. Solo che, trattandosi di una porta di sicurezza, di quelle per intenderci che si aprono con il maniglione a barra orizzontale solo dall'interno, se fosse stata chiusa come avrebbe fatto a entrare? Dettaglio, Watson! Stai a guardare il capello, pensò. Si trovò davanti delle scale. Salì le prime due rampe, vide una porta di ferro, l'aprì. Dava su un ampio e lungo corridoio. Sul pavimento di linoleum grigio, una riga marrone ed una blu si srotolavano parallele. Come a dire: seguici! Guardò l'orologio. Segnava le 5, 30. L'appuntamento era per le 18, 00, ambulatorio 11. Per fortuna era arrivato con un certo anticipo, come sempre d'abitudine quando c'era qualcosa di importante che non poteva permettersi di mancare. Lo percorse fino alla fine, nella speranza di trovare un Punto Informazioni. Eccolo! Al centro di un incrocio c'era una bella oasi di laminato plastico giallo, sormontata da barriere trasparenti in metacrilato. Peccato che non ci fosse nessuno. Vide in lontananza un'infermiera. La raggiunse, con un'accelerazione bruciante, prima che si dissolvesse nel nulla.
- Mi scusi... sto cercando l'ambulatorio undici, dovrei fare...
- L'undici di quale reparto? - lo interruppe la donna.
- Gastroenterologia.
- Non credo! Non credo proprio!
- Come non crede? Io ne sono certo... guardi qui...- e le mostrò l'impegnativa.
- No... no... volevo dire che per le ecografie anche gastroenterologia si appoggia al reparto di cardiologia.
- Ah... e allora?
- Si trova nel posto sbagliato... vede la riga blu... la segua fino a quando non ne incrocerà una verde. A quel punto l'abbandoni, segua la nuova riga, arriverà ad una grande porta a vetri e là le conviene chiedere.
- Chi lascia la riga vecchia per la nuova... - commentò con ironia il Prof Hazon.
- Cosa dice? - chiese l'infermierà con sguardo perso nel nulla.
- Niente, niente... la ringrazio per l'informazione. Mi stia bene!
Gli sembrava un augurio proprio azzeccato, visto il luogo. Adesso doveva spicciarsi. Chi se lo sarebbe immaginato che arrivare a destinazione avrebbe richiesto tanto tempo?
Ecco, la grande porta a vetri era lì, davanti a lui. La spinse e si trovò in una grande sala d'attesa. Un vecchio stava seduto. Un po' sbracato. Come spesso i vecchi a una certa età. Le labbra gli tremavano. Sembrava stesse biascicando qualcosa. Forse stava pregando. O forse era ansia. Magari un semplice tic. Non vedendo nessun altro a cui rivolgersi, gli si avvicinò.
- Mi scusi... devo andare a cardiologia... mi...
L'uomo alzò stancamente lo sguardo e, con una certa difficoltà, liberò queste parole: - io... io... sto aspettando... mi devono fare una colo... coloscopia o qualcosa del genere. Al sa al dievel col'è... c'lazident... bruto Di... - si trattenne a stento.
- Non si preoccupi, è una cosa da niente. Deve solo stare tranquillo. Vedrà è come fare un clistere...
Avrebbe voluto mordersi la lingua. Magari quel poveretto aveva un paura fottuta anche dei clisteri. I suoi occhi sbarrati non deponevano per niente a favore, infatti. Lo salutò, appoggiandogli una mano sulla spalla. Da lui non avrebbe potuto strappare nessuna informazione. Nemmeno sotto tortura.
Dalla saletta partivano due corridoi. Uno a destra. L'altro a sinistra. Tirò a sorte. Prese quello di sinistra. Dopo un centinaio di metri, da una porta laterale, uscì un medico. Finalmente. Sembrava piuttosto agitato. Quasi elettrizzato. Come colpito in pieno petto da un defibrillatore spinto al massimo.
- Buonasera, io dovrei andare a cardiologia, stanza undici, per una ecografia, potrebbe...
L'uomo, prima di rispondere, si toccò più volte il naso. Un naso tipico di chi è abituato a darsi un certo tono, per essere sempre in pista. All'altezza della situazione.
- Ahi... Ahi... Ahi... mi dispiace per lei, ma temo proprio sia fuoristrada... anzi, per la Peppina, ne sono sicuro!
Cominciò ad esibirsi in una descrizione superdettagliata di percorsi, compresi quelli alternativi che, a suo dire, avrebbero dovuto consentire al professore di arrivare a destinazione in tempo utile. Sembrava una macchinetta, una consumata guida turistica, un vigile molto urbano, appena uscito da un corso avanzato di relazioni pubbliche, colto da raptus informativo e una incontenibile diarrea verbale. Per fermarlo, pensò, avrebbe dovuto abbatterlo. D'improvviso il medico si bloccò. Mise un bel punto fermo. Era come scarico. L'occhio vago. Perso nel vuoto. E non ci fu più modo di estorcergli una parola. Lo ringraziò, senza aspettare la risposta. E riprese il cammino.
Adesso procedeva senza indugi. Con passo sostenuto e costante. Da maratoneta. Il fiato non era un granché. Ma non poteva mica cedere adesso. Quando la meta sembrava ormai a portata di mano. Dopo una decina di minuti di corridoi, di porte, di svolte, di scale, decise di chiedere all'uomo delle pulizie, che per un pelo non aveva travolto, trovandoselo d'improvviso di fronte col suo carrello, appena svoltato l'angolo.
- Sì, certo, sta andando nella direzione giusta, ma si spicci, perché qui non aspettano... qualche minuto e poi, quando suona la campanella, cucito o no, mollano ago e filo e ti lasciano lì con la pancia semiaperta e corrono a timbrare il cartellino.
Non fece in tempo a finire la frase, che scoppiò a ridere come un matto, tutto compiaciuto per la sua battuta. Era un uomo di colore. Probabilmente senegalese. Senza dubbio dotato di grande sense of humour. In certi ambienti, dove più che disgrazie non vedi, serve per sopravvivere. O ti fai fino al collo, o trovi il modo di cogliere il lato comico della vita. Quantomeno di immaginartelo.
Seguendo il consiglio, Hazon cambiò passo. Si mise a correre. Incontrò una guardia giurata e, senza nemmeno rallentare, gli chiese:
- La stanza undici?
- Venti metri, sulla sinistra!
Ormai senza fiato e col cuore in gola, Hazon si fermò, si mise le mani sui fianchi, e si piegò leggermente in avanti. Per recuperare un po' di stamina. La stanza 11 era proprio lì, davanti a lui. Erano le 18, 10. La porta era chiusa. Forse aveva avuto una botta di fortuna: la persona prima di lui era ancora dentro. Aspettò dieci minuti, poi si decise: bussò. Nessuna risposta. Aprì la porta. L'ambulatorio era vuoto. Tutte le apparecchiature spente. Il senegalese aveva visto giusto: si erano dati tutti. Con puntualità svizzera. In quel momento passò un infermiere che, osservata la scena, gli disse:
- Non c'è più nessuno, ormai. Deve tornare domani. Se viene un po' prima delle otto... vedrà che la servono per primo, come dal barbiere... ma, mi raccomando, prima delle otto, altrimenti passa in coda, come dal barbiere... ah, ah, ah!
- Grazie mille per l'informazione!
Era talmente stanco che non gli venne nemmeno in mente di chiedere indicazioni per l'uscita. Pensò soltanto che doveva riposarsi un attimo. Si accomodò su una delle sedie da cinema di periferia lungo la parete. Si stirò. Cercò di distendere i muscoli. Fece lunghi respiri. Chiuse gli occhi.
Dopo un po' li riaprì. Guardò l'orologio: erano le nove meno dieci. - Cavolo!- disse fra sè e sè - devo essermi addormentato! - Mentre stava per alzarsi e riprendere la via del ritorno, vide un uomo che correva come un matto, gli occhi fuori dalle orbite, che gridava: - L'uscita! Dov'è luscita? Cazzo! Cazzo! Cazzo!? Voglio uscire! Fatemi uscire o esco pazzo!
Ripiombò sulla sedia. E cominciò a pensare. Se lui, non certo l'ultimo della pista per studi ed esperienza, si era perso in quel dedalo di corridoi, rampe, e porte, chissà cosa poteva succedere ogni giorno a persone normali. Specie a gente anziana, non abituata, come i giovani, alla realtà virtuale dei giochi labirintici delle consolle cibernetiche. A malapena i vecchi si stavano adattando ai cellulari. Riuscivano ad accedere si e no alle prestazioni basiche. Perché se appena appena cercavano di inoltrarsi in qualche funzione più sofisticata, andavano subito nel pallone. Senza ritorno. A nulla servivano i libretti d'istruzione. Oscuri luoghi di smarrimento. Scritti, con ogni probabilità, da ingegneri del tutto ignari e noncuranti dei vari target a cui si rivolgevano i prodotti. Tutto ciò era bizzarro. Una società che continuava a sfornare senza sosta ed a un ritmo frenetico novità su novità, specie nell'elettronica, sembrava trascurare la comunicazione. Trattava le istruzioni per l'uso con sciatteria. Non considerare che la terza età costituiva un bacino potenziale di acquisto, che si andava espandendo a vista d'occhio, per il Prof. Hazon era economicamente, se non socialmente, demenziale. Un'occasioni perduta. La società opulenta tanto era prodiga di prodotti, sofisticata nella comunicazione pubblicitaria, tanto era distratta nell'informare su come si utilizzavano. E questa carenza, questa trascuratezza comunicazionale valeva per ogni aspetto della vita. Ovunque la comunicazione fosse impegnata in una funzione sociale. Quotidiana. Dalla segnaletica stradale, dentro e fuori le città, ai percorsi nei luoghi storici; dai segnali di sicurezza nelle grandi fabbriche, alla segnaletica nei musei. Per non parlare poi del settore in questione: le indicazioni all'interno degli ospedali. Tanta attenzione agli strumenti diagnostici, all'architettura degli edifici, e così poca a comunicare con l'individuo. A sintonizzarsi sulla sua lunghezze d'onda. A mettersi nei suoi panni. A cercare di guardare le cose con i suoi occhi. A fornirgli strumenti per muoversi agevolmente. Costruire percorsi a prova di stupido. Ridondanza, confusione, opacità, erano la regola. Invece di semplificazione, trasparenza, chiarezza. D'accordo che il popolo vuole essere ingannato, va bene che i bugiardini all'interno delle medicine o le clausole delle polizze assicurative e dei contratti bancari devono essere oscuri per convenzione. Vengono redatti così ad arte. Ma il popolo deve forse essere fottuto a morte anche dalle istituzioni pubbliche? Arriva in ospedale già in condizioni precarie e deve subire la beffa di un vero e proprio tour de force per arrivare a destinazione? Chissà quanti dispersi durante quei lunghi tragitti. Lost in information. O, meglio, Lost for lack of communication. Avrebbero dovuto aggiungere un programma sulle reti nazionali: Chi l'ha visto, speciale ospedali. Oppure Fare Night nei meandri dei nosocomi. Un successo assicurato.
Il Prof. Hazon stava cominciando ad incazzarsi. La sua consueta e proverbiale flemma inglese stava rapidamente cedendo il passo alla istintiva e innata iracondia latina. Eppure si trovava nel Bel Paese da appena tre mesi. Lasso di tempo insufficiente anche per la più rapida delle mutazioni genetiche. Con tutto questo pensare si erano fatte le 22, 00. Si alzò di scatto. Si aggiustò giacca e pantaloni. Adesso guadagnare l'uscita era un imperativo categorico. Bisognava lasciare quel luogo che stava rivelando alcuni degli aspetti più deteriori di una società affluente ormai affluita da un pezzo. Anzi, obesa. E di cui Kenneth Galbraith, ormai vecchio e rincoglionito, non avrebbe potuto raccontare la defluenza. Il declino. La regressione. Aveva bisogno di una bella boccata di aria fresca. Si incamminò per un corridoio. Arrivato ad un bivio, vide finalmente su di una parete l'indicazione: Uscita. A chiare lettere, alla buon'ora! Attorno era silenzio. Solo il ronzio delle luci al neon. Qualcuna tremava, altre si accendevano e si spegnevano. Quasi a strizzarti sadicamente l'occhio. O, peggio, intermittente presagio di eventi drammatici. Sembrava di trovarsi in uno di quei film horror dove, se soffri di cardiopatie o solo di leggera incontinenza, è consigliabile non aprire nessuna porta. Non si vedeva nessuno. Ad un tratto, da una porta laterale, uscì un uomo in jeans. Capelli da rasta. Si appoggiò alla parete. Appena il professore gli fu vicino, senza nemmeno guardarlo, gli sussurrò:
- Hei, fratello, devi tirarti un po' su... dieci euri e il gioco è fatto!
- Veramente vorrei solo trovare l'uscita...
- Dammi retta, la strada è lunga: dieci euri... e la strada la trovi a razzo. Con un balzo sei fuori, te lo assicuro! Ti sembrerà di volare... volareee!
- Fuori ci sei tu, tieniti pure la tua roba, non mi serve!
Così dicendo, proseguì. Dopo una cinquantina di metri si girò e vide, attorno allo spacciatore, tre persone che stavano confabulando con lui. Una si reggeva con le mani il catetere mezzo pieno. O mezzo vuoto. Secondo la disposizione d'animo con cui si guarda la vita. Nel frattempo, i corridoi si stavano lentamente animando. Come le Ramblas di Barcellona. Due andini stavano intonando le loro soporifere nenie senza fine. Un giovane, con invisibili fili di nylon, stava facendo danzare la rumba ad un piccolo scheletro di legno. Di tanto in tanto, un passante in vestaglia lanciava una monetina nel suo berretto. Mentre si toccava gli attributi, mugugnando al cielo. Hazon non riusciva a credere ai suoi occhi. Chi poteva immaginarsi che, la notte, un ospedale potesse cambiare così radicalmente volto. Forse era un modo per esorcizzare la morte. Per dire che la vita continua. Nonostante tutto. A dispetto di tutte quelle sofferenze. Girato l'angolo, una decina di pazienti stavano ascoltando, rapiti, l'arringa di un oratore. Ritto su una cassetta da frutta. Sembrava di stare a Hyde Park Corner. Ce l'aveva con il governo. Non risparmiava critiche. Era una vera e propria invettiva. Una feroce accusa. Si fermò ad ascoltare. C'era sempre qualcosa da imparare. Alla fine tutti, lui compreso, applaudirono. Riprese la via, divertito. Tutto il mondo è paese!, pensò. Con quello che gli stava succedendo attorno si era distratto. Non vedeva più le indicazioni che dovevano fargli raggiungere l'uscita. Passando vicino ad una porta, udì delle voci. Entrò. Si trovò in una corsia con una dozzina di letti. Sei per parte. In fondo, un uomo sulla cinquantina, in doppiopetto grigio, stava in piedi dietro un tavolo su cui spiccavano pile di pentole, un televisore, servizi di piatti e di posate, nelle loro pacchiane confezioni di sete sintetiche e similvelluti sgargianti. Ai piedi, una serie di tappeti pseudo persiani. Con ogni probabilità made in Naples. L'uomo, con tono suadente e gesti da imbonitore consumato, diceva a bassa voce: - Chi offre di più per questo ben di Dio... e c'è anche, oltre alla consegna gratis in tutta Italia, isole comprese... udite udite... miracolo dei miracoli... un viaggio a Lourdes! Dal fondo, una voce commentò, flebilmente sarcastica: - C'è anche il ritorno... compreso?
Il Prof. Hazon era immobile, attonito, a bocca aperta, completamente dimentico del suo abituale aplomb. Uscì. Si diede un pizzicotto, per rassicurarsi di essere sveglio. Riprese a camminare. Un po' confuso. Fu in quel momento che vide, in lontananza, avanzare come carro allegorico, un lettino su quattro ruote cigolanti. Sospinto da quattro nerboruti hospital boys. Sopra, a mo' di Maja Semidesnuda, un'avvenente infermiera in guépière immacolata. Distribuiva sorrisi e occhiate piuttosto esplicite a dritta e a manca, insieme a manciate di volantini. Il professore ne raccolse uno: Se vuoi goder la vita vota Milvio. Con Milvio campi cent'anni. E avrai gratis un anno di pay per view e l'abbonamento per due allo stadio San Milvio. Non poté trattenere un sorriso. All'improvviso fu distratto da una voce che intimava: - Fermati... fermati o sparo!
Un uomo tutto ansimante gli passò vicino al gran galoppo. Gli parve di riconoscere lo spacciatore incontrato poche ore prima. A diverse lunghezze, seguiva un poliziotto piuttosto obeso. Sbuffava come una locomotiva. Si fermò qualche attimo, non credendo ai suoi occhi. Una mano gli si appoggiò delicatamente sulla spalla.
- Stai cercando compagnia, bel giovane?
Era una bionda platinata. Non certo nel fiore degli anni. Con la boccuccia a culo di gallina.
- No, ma comunque... grazie per il giovane - rispose Hazon.
Riprese la marcia, con la testa ancora girata all'indietro, verso così abbondante oggetto di desiderio. Urtò qualcosa. Era il tavolino del mago delle tre carte, che stava facendo il suo gioco di fronte ad un manipolo di degenti più di là che di qua.
- Ehi! stai attento... guarda dove metti i piedi, vecchio rimbambito che non sei altro!
Quell'appellativo pareggiava così il conto con quello della peripatetica. C'è giustizia nella vita! E la sua bilancia è sempre in equilibrio. Svoltato l'angolo, si trovava ora di fronte un corridoio di oltre duecento metri. Il tapis roulant, vista l'ora, era fuori servizio. Sulla sinistra, un ragazzotto molto ispirato stava terminando un paretale lungo quasi quanto il corridoio. Ci dava di spray colorati come un forsennato. Altro che Cappella Sistina. Si trattava di una sconfinata, tumultuosa, turgida allegoria. Cazzi antropomorfizzati, con tanto di braccine e gambette, di evidente ispirazione Haringhiana, si davano un gran da fare in una specie di bolgia dantesca. Colpiva il solido impegno civile e sociale di cui era permeata l'opera. Verso la fine del corridoio, un gazebo bianco con una grande scritta a caratteri cubitali: ARRUOLATEVI COME DONATORI DI LIBERTA'. Mentre una minuscola scritta spiegava: Un po' della vostra libertà individuale, per il benessere di molti. I pochi astanti sembravano parecchio incerti se aderire o meno. Soprattutto, pensò Hazon, perché non si capiva bene chi fossero quei molti. In quel mentre, un giovane in pigiama sfrecciò come un razzo su di un monopattino, gridando come un ossesso: - In culo la vostra libertà, non fatevi fottere, fate invece una colletta per un trapianto di palle ai leader dell'opposizione! Ce n'è di un gran bisogno.
Cominciava a essere frastornato. Arrivato ad un crocevia incontrò un banco rosso pieno di depliant. Alle spalle di una biondina in minigonna che lanciava sguardi assassini, un grande poster dell'ultimo modello della Casa di Ravanello.
- Signore, conosce questa meraviglia? Cinquecento cavalli, dodici cilindri, oltre trecentocinquanta chilometri all'ora, da zero a cento in tre secondi. Roba da cardiopalma! Non vuole farci un pensierino... quest'estate la vedo bene correre, capelli al vento, in Costa Azzurra. Per poco più di un bilocale in centro, un'esperienza unica, pagabile in comode rate quindicinali. Venga in concessionaria per un giretto di prova, l'aspetto, tenga!
Hazon avrebbe voluto chiederle se lei, la sgallettata, era un optional o compresa nel prezzo, ma poi decise di soprassedere: Palmare evidenza, Watson! La ragazza sarebbe costata più dell'auto. Compreso qualche annetto di galera, visto che doveva essere minorenne. E lui non era un Premier. Aprì una porta laterale e finalmente era arrivato alle scale. Scese i gradini a due a due. E si trovò davanti un lungo e stretto corridoio. Ad un certo punto udì dei passi alle spalle. Sempre più rapidi e vicini. Tanto che si sentì alitare sul collo. Era sul punto di gridare. Alla faccia del self-control! Non sarebbe stato bello essere sodomizzato così, su due piedi. Era stato un Eton boy. E gli era bastato e avanzato. Anche se ormai la ferita era rimarginata. Si mise a correre a più non posso. Distanziò il probabile malintenzionato. Afferrò una maniglia: la porta non voleva aprirsi. Smanettò a lungo. Finalmente cedette. Si trovò in un altro corridoio, vide una porta. La scritta diceva: Sala Riabilitazione Sodomizzati. Non era possibile! Strinse gli occhi, mise a fuoco meglio: Sala Riabilitazione Stomizzati. - Ah... beh! - disse fra sè e sè. Riprese a correre.
Adesso era fuori dalla Torre. In uno dei tanti viali alberati. Respirò a lungo, riempiendosi i polmoni di quell'aria primaverile. Guardò il cielo. Era pieno di stelle. Un auto gli passò vicino. Si trattava della vigilanza. Una voce profonda gli chiese: - Vuole un passaggio fino all'uscita?
- Grazie, grazie, molto gentile, ma mi faccio quattro passi... così, tanto per sgranchirmi le gambe. - Non si sa mai, pensò : da cosa magari nasce cosa, vatti a fidare!
Era mezzanotte. L'ora dei vampiri. Non di certo nel Bel Paese. Dove può capitare di tutto. Perfino essere assaliti, ma non da Dracula. Era stata una seratina intensa. Movimentata. Il Prof. Phil Hazon aveva imparato di più in quelle poche ore nella città satellite, di quanto probabilmente avrebbe assimilato in un anno di università, cinema, tivù, teatro, ristoranti, frequentazioni varie, e vita di società. Il magma da cui era da poco riemerso gli sembrava ora, a mente fredda, un incrocio tra una grande metafora, una piccola allegoria, e un vivido spaccato della vita di quel paese. La rappresentazione di una società assai sofferente. Se non in fase terminale, di certo molto malata. Che per avere qualche chance di guarigione avrebbe dovuto andare ovunque. Fuorché farsi ricoverare all'ospedale.
"Credo sia difficile per chi non ha avuto la sventura di addentrarsi, anche come semplice accompagnatore, nei meandri di un grande ospedale comprendere il senso di disorientamento e smarrimento che, dopo pochi metri, assale lo sfortunato. A questi avventurosi, temporanei (si spera) desaparecidos, è dedicata questa storia."
Con comprensione e affetto.
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