A fatica aprivo gli occhi, intorno a me la solita merda, un cumulo di cose di ogni genere sparse in ogni parte senza alcun senso. Faceva freddo ed era buio, filtravano dalla finestra sbarrata pungoli di luce, qua e la, dipingendo, forse realmente, o solamente nella mia mente, giochi di luce e ombre lugubri, demoni straziati dal dolore, dipinti da lacrime di sangue, ombre riflesse del mio essere, frutto di un'insensata razionalità, parte costante della mia persona. Libri buttati dappertutto, vestiti in terra, ogni sorta di lerciume avvinghiato alle pareti, ai pavimenti, ai vestiti. Il puzzo trasaliva da ogni parte della stanza, una fogna circondata da quattro mura di cemento spesso, rifugio di anime dannate, una latrina ripugnante, esempio del mio modo di essere, senza limite ne vergogna. Mi tirai su, ovviamente mi ero addormentato a terra, avevo ancora al braccio il laccio emostatico improvvisato, una cintura di cuoio, di quelle belle, alla moda, esempio di una vecchia vita, che quasi non ricordo più. La siringa, sporca di sangue rappreso appoggiata sulla bustina vuota di quella sostanza che tanto odiavo ma indispensabile come l'acqua e il cibo. "Grazie a Dio prima di partire, ero riuscito a togliermela dal braccio, chi sa che cosa sarebbe successo se l'avessi lasciata infilata nella vena, si sarebbe potuto spezzare l'ago, e si sarebbe squarciata la vena, forse sarebbe stato meglio così". Ed ecco che si fece sentire, quel morso gelido alla bocca dello stomaco, quel terrore insensato che attanagliava ogni pensiero, avevo bisogno di quel bacio gelido; avevo bisogno della mia carceriera, della mia salvatrice, avevo bisogno dell'eroina. Niente viveva più in me, solo il desiderio indomabile della ricerca di quel primo viaggio di due anni prima. Già, due anni fa... Era molto diversa la vita due anni fa. Maledetto quel giorno di due anni fa, maledetto! Pensavo che forse avrei dovuto farla finita li, avrei dovuto fare un ultimo viaggio, quello più intenso e senza ritorno, sarebbe bastato farsene un po' di più della dose normale per piombare nell'oscurità, per andare giù nelle fiamme che mi avrebbero avvolto, che finalmente avrebbero abbracciato me e il disprezzo che ho avuto per tutto. Pensavo che sarebbe giunto il momento di parlare con lui, male supremo ghignante e fiero di un'altra conquista. Ma oramai era sempre più breve il tempo in cui riuscivo a mantenermi lucido e di conseguenza era sempre più limitato il tempo utile per prendere l'unica decisione saggia che ancora oggi rimpiango. La mia vita era questa, il tempo che passa da una pera all'altra, i miei pensieri non esistevano più, se non nei primi minuti della veglia, e trattanti il desiderio di morte, che purtroppo neanche a lui riuscivo a dar fondamento, perciò tutto si condensava nella ricerca assidua di lei, lei che ormai era l'unico amore della mia vita, l'unica amica che mi consolava e mi distruggeva, un amore eterno, poiché compagna di me fino all'ultimo istante.