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Lei mi è sacra (seconda parte)
Quando la vidi arrivare avvolta nello stesso impermeabilino nero che le avevo visto alla festa, con la cintura stretta alla vita, le scarpe nere coi tacchi e quella camminata flessuosa ed elegante, mi chiesi com'era possibile che i miei sogni più intimi si stessero realizzando in quel modo così pedissequo, con il tipo di donna alla francese che avevo sempre sognato. Mi sentii grande, immenso; incommensurabile rispetto a quello che ero stato fino ad allora. E frenai quell'orgia di emozione dicendomi che lei era troppo per me e che non avrei mai avuto il coraggio di provarci veramente. Sia per paura di soffrire in modo brutale se lei mi avesse detto di no, sia per paura di arrivare a qualche forma di depressione pre-suicidio, se dopo avermi detto di si, mi avesse lasciato.
Appena mi fu vicina, venne fuori lo sfioramento di guance per il saluto e poi lei si avviò guidandomi e cominciando a parlare con la solita disinvoltura: " Ah, ma c'è un sacco di gente!"...
Parlò sia dei quadri della mostra che del più e del meno per tutta l'ora della visita, mostrandosi ancora ai miei occhi, stavolta in versione "esterna", vestita in modo autunnale e non paraestivo, come era successo quelle sere in casa sua.
Dopo aver preso un caffè con me in un bar del centro, mi salutò dicendo: " È stato carino, no? " E poi: " Dimmi il tuo numero dai che ti faccio uno squillo..." Io glielo lo dissi e lei squillò. Poi se ne andò verso il metrò, accorgendosi benissimo del fatto che io la stavo squadrando da dietro, gustandomela come ti gusti un'attrice che ti fa impazzire, mentre guardi uno di quei film che poi ti lasciano il segno dentro per tutta la vita.
Non sapevo cosa pensare dopo. Camminavo piano lungo Corso Vittorio Emanuele e mi chiedevo che significato avesse quel nostro incontro. Lei era sposata ed aveva spinto perché facessimo insieme quella visita. Poi si era comportata normalissimamente, come se lì, con noi, potesse benissimo esserci anche suo marito: carinissima, ma asettica; senza mostrare alcuna emozione. Pensai che si era solo voluta mostrare, che aveva capito che io ero pronto ad adorarla ed era venuta per farsi adorare "in esterno": uno spettacolino per un unico spettatore.
Comunque non me ne fregava niente, mi bastava che si lasciasse adorare. Per me era anche troppo. Mi ero troppo divertito a guardarla, e quel suo darmi il numero era una promessa di altri godibilissimi spettacolini.
Già sapevo, però, che non avrei mai avuto il coraggio di chiamarla per primo e avrei aspettato senz'altro che si facesse viva lei. L'avrei pensata comunque, tanto: io penso che tu pensi che io ti penso, ma se penso che tu pensi che non ti penso, penso a cosa pensare per farti pensare che io penso che tu pensi che io ti penso...
E dopo tre giorni mi mandò un MMS. C'era la sua foto davanti al bar dove avevamo preso il caffè e lei era vestita con un cappottino nero, corto appena sopra il ginocchio e attillato sui fianchi. Il cappotto era slacciato e sotto si intravedeva un maglioncino nero a collo alto sopra quei jeans attillati che le avevo visto addosso quella sera a casa sua. Sotto alla foto c'era scritto: "Ciao, passavo di qui e ti ho pensato, come stai?"
Ero al lavoro, stavo scrivendo un articolo che, pur essendo nella cronaca di Milano, era decisivo per la mia carriera futura e quel messaggio mi fece diventare un trottola impazzita. Dopo averlo letto, mi alzai e cominciai a girellare senza senso e senza meta all'interno della redazione, finché uscii fuori, nel terrazzino dell'atrio, e accesi una sigaretta.
Guardavo le guglie del duomo da lontano e mi sentivo impaurito. Quel suo gesto così forte, così complesso ed elaborato, quel suo look così classico, ma anche così nuovo per me che non l'avevo mai vista total black, erano semplicemente la realizzazione di uno delle migliaia di film che mi ero fatto in testa nel corso della vita: la storia intrigante che va avanti da sé, liscia, pulita, come se fosse stata scritta da uno sceneggiatore alla Moccia.
Allora la storia del pensiero funzionava davvero? Non era una favola romantica? Come poteva senno una donna così perfetta dimostrarmi una tale attenzione e sensibilità? Sapevo di essere appena intelligente, decentemente urbano e civilizzato, sapevo che potevo anche piacere come un "perché no" a qualche donna di media portata, appena discreta, passabilissima e andante; ma una donna così, come poteva considerarmi a tal punto da organizzare per me un gesto del genere?
Mi covai quella nuova emozione per almeno venti minuti. Per cui persi l'occasione di risponderle al volo, con una frase spiritosa e carina, e innescare quindi uno di quei "botta e risposta" ironici e dolci, tipici di tutte le commedie americane riuscite, e anche di quelle non riuscite. Uno di quei "botta e risposta" tipici insomma, ma proprio per quello sognati da tutti noi uomini romantici, amanti impenitenti dell'amore.
Ne persi altri venti poi, di minuti, per elaborare una risposta degna: che rispondesse alla sua cortesia, che la gratificasse ancora di più e che precorresse, con una piccola spinta, la sua disposizione ad un nuovo incontro dal vivo. E il parto del mio travaglio fu questo banalissimo sms: "Mmmhhh, ma quanto sei carina!... Se sei sempre in centro, potremmo mangiare qualcosa insieme..."
Lei mi rispose subito, senza accennare minimamente al mio complimento, gelidissima: "Ormai sono sotto casa, semmai domani..." / "Va bene, allora ci sentiamo domani mattina, ok?" / "Va bene, ti chiamo io... See you tomorrow"
Intanto avrei visto un altro suo look. Ero strasicuro che lei era una di quelle che non usano mai lo stesso look per due giorni di seguito, sicurissimo. Ma oltretutto, se lei voleva farsi adorare, se lo scopo del suo cercarmi era fondamentalmente quello, lei si sarebbe data ai miei occhi, anche l'indomani, e io l'avrei adorata, di nuovo.
Passai quella giornata in stato di totale fibrillazione. Andai ancora a "vederla" su Fb e alla fine non riuscii a resistere, scrissi un commento ad una sua foto stratosferica, in cui indossava un elegantissimo tailleur nero gessato, serissima, accanto ad una serie di personaggi altrettanto seri, che potevano essere dei manager, o dei politici, o dei professori di università prestigiose. E scrissi: "Come sei bella, così seria e impegnata, tesa quasi a nascondere la tua sensualità..."
"Oddio! - pensai prima di cliccare sull'invio - Non sarà troppo forte questa?" Mi sembrava di osare troppo insomma a prendere una tale iniziativa, e di scoprire troppo la mia parte adorante. "Forse lei, evanescente e raffinata com'è - mi dissi - preferisce il non detto, o al massimo l'allusione criptica..." Ma alla fine cliccai e sentii come di averla provocata. Volli stuzzicare ancora di più la sua voglia di essere adorata, dunque, ufficializzare il mio ruolo, immolarmi sull'altare della sua vanità. O della sua "sublime bellezza", come magari avrebbero detto i romantici... Cominciavo ad oscillare insomma, pericolosamente, tra "I dolori del giovane Werther" e "Schiavo d'amore" di Somerset Maugham...
Ma in fondo qual era la differenza? Il concetto di "sublime bellezza", must dei romantici di tutte le epoche, non era alla fine confinantissimo e quasi sovrapponibile a quello parrucchieristico di frivola vanità femminile? Tra Lotte e Mildred, se si tolgono quei centocinquant'anni di storia che le separano, c'è poi questa grande differenza?
Una volta inviato quel commento, mi sentii sciolto, squagliato, pericolosamente e definitivamente in mano sua. Avrebbe fatto di me quello che voleva, ero pronto a soffrire tutto per lei ora, l'ho già detto: a immolarmi sull'altare della sua bellezza!
Quando vidi che lei non rispondeva a quel commento, però, pensai di aver sbagliato, di averla infastidita, di essermi perso in una specie di sogno. Pensai che quella storia era tutta una mia suggestione, che lei con me era solo cortese, carina, educata in modo usuale e borghese, magari solo per riguardo a Carlotta, la nostra amica comune.
Ma quando lei la mattina dopo, mentre ci avviavamo verso lo stesso bar in cui avevamo preso il caffè insieme, mi sussurrò: "Ma come sei stato carino ieri..." e mi prese a braccetto per la prima volta, stetti quasi per cadere. Schiacciai un attimo il mio gomito come per spingere il suo avambraccio sul mio corpo e poi feci finta di niente. Dissi solo: "Tu sei un'artista, i tuoi look sono come dei quadri..."
Pronunciai quelle frasi sottovoce, quasi che sperassi che lei non le sentisse. Le sussurrai tra me e me come se fosse solo un pensiero, e non seppi se le aveva sentite. Lei infatti cambiò subito discorso e tornò ad essere "la donna gentile e formale"; tornò a impersonare quello che doveva essere il suo personaggio base, la maschera usuale che esibiva nella vita comune, lo standard del suo "io", la definizione sociologica e oggettiva della sua classe.
Quel giorno era vestita in modo casualissimo: un giacconcino azzurro scuro, corto al sedere e allacciato da una cintura; una gonna grigio-scura, di lana, lunga sopra il ginocchio; degli stivaletti neri con un piccolo tacco e delle calze fumées. E quando sedendosi si slacciò il giaccone, mi sparò addosso un maglioncino sempre sul grigio, la punta del cui V arrivava bassa sul suo petto, scavando tra i due seni e lasciandone intravedere appena la parte interna. Mi chiesi se avesse il reggiseno, e semmai che strano tipo di reggiseno potesse avere; e pensai allora che non lo aveva, che si era messa molto free, come le femministe degli anni settanta, che viaggiavano sempre coi loro seni piccoli e poco vistosi al vento, sotto i maglioni, o le camicie, o le magliette attillate.
Lei notò il mio sguardo posato sulla punta di quel V e si lasciò sfuggire un'espressione di soddisfazione velata, che aumentò tutto in me: l'attrazione per lei, i dubbi su quale fosse il vero fine del suo gioco, la sicurezza che qualunque fosse il suo gioco io sarei stato "giocato" in pieno, bollito, lessato...
Non parlammo moltissimo. Parlò soprattutto lei, raccontandomi della sua famiglia, del suo marito manager di una famosa multinazionale e del suo figlio di sei anni che frequentava una prestigiosissima scuola steineriana.
Io più che altro la ascoltai, le detti la soddisfazione di interessarmi a tutto quello che diceva: stimolando le sue risposte, chiedendo ragguagli su essenza e particolari dei suoi discorsi, sorridendo compiaciuto ad ogni suo accenno di battuta.
Quando alla fine dovetti alzarmi per tornare in redazione, si alzò anche lei, e spiegandomi che doveva andare dalla parte opposta, accostò la sua guancia alla mia bocca perché le dessi un bacino di saluto.
Ed io lo feci, sentendo per la prima volta da vicino il suo odore: un mix di profumo raffinato e di buon odore naturale; l'odore di una che fin da piccola è stata dotata dal destino di quel buon odore; e che poi una buona educazione, una buona igiene e una buona alimentazione hanno consolidato e aumentato nel corso degli anni. Mi vennero in mente i sommelier, che passano appena la punta del naso sul bicchiere e sembrano estasiati solo dall'odore di un vino, e convinti che di quello si accontenteranno, giudicando volgare e banale la sola idea di berlo, quel vino.
Così mi sentii io. Sicuro che quell'odore mi sarebbe ampiamente bastato e che mai avrei osato pensare di "berla", la mia dea. Mi sarebbero tremate le mani a toccarla, e a baciarla mi sarei sentito un sacrilego e non avrei mai avuto il coraggio. Anzi, proprio in quel momento mi augurai che lei non volesse quello, per caso, anche solo per divertirsi a vedermi imbranato come un bambino. Perché se lei per caso avesse voluto quello, non avrei potuto certo esimermi dal lasciarmi andare, e senz'altro mi sarei emozionato troppo, tanto da diventare ridicolo.
Ogni volta che la vedevo, d'altronde, per me era come farci l'amore. Provavo le stesse emozioni che si provano negli amplessi passionali e ben riusciti. Godevo anche. Si, godevo... Un godimento mentale talmente forte che mi arrivava al fisico e mi faceva accapponare la pelle.
continua...
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1 recensioni:
write il 09/08/2013 14:11
Charles, ti sbagli, non mi sono infastidito per le tue osservazioni, ho solo difeso le "ragioni del mio stile", una cosa su cui sto lavorando da tempo... Fammmi pure sapere le altre pecche, publlico per testare i miei scritti e sapere cosa c'è che non va mi serve...
Anonimo il 09/08/2013 12:24
No, non mi sono spiegato... lei, forse come altri iscritti, pubblica e non legge né commenta gli altri autori... viene, pubblica e va. Ecco, queste sono le premesse per una apparizione sul sito che risulterà quasi certamente fugace.
Io invece sono l'opposto... non pubblico, leggo e commento. I miei commenti sono obiettivi, nel senso che non c'è interesse alcuno nelle mie osservazioni. Ovviamente questo fatto non assicura sulla bontà delle mie precisazioni... ma se vuole ci sono altre pecche del suo bel racconto che andrebbero segnalate... e, quasi tutte, riguardano gli "eccessi"...
ma, a quanto pare, lei non ama il confronto con i lettori pertanto non ho alcun interesse a fare altre segnalazioni di buona lettura. Un saluto.
write il 09/08/2013 11:10
Per Charles B... Perché mirata?... Non è rivolta a nessuna in particolare... Le letture scemano, perché, come vedi da alcuni commenti, non tutti apprezzano il mio stile; e poi nei siti è sempre così: la prima parte è lettissima e le parti successive hanno meno lettori... Grazie per la lettura e se mi vuoi scrivere in un mess privato il titolo che proponi lo terrò in considerazione... Anche qui: chi lo ha letto spesso ha apprezzato proprio il titolo, che, d'altra parte, se leggerai il finale, vedrai essere molto indicativo per il senso della intera vicenda.
write il 09/08/2013 10:50
Cara Romi, grazie delle osservazioni, che però sanno molto di scuola di scrittura o di professoressa.
Comunque: sto cercando faticosamente un mio stile che non ricalchi nessuno degli stili classici esistenti. Quindi mi permetto volutamente alcune trasgressioni grammaticali e lessicali, che dovrebbero rendere più suggestivo e vicino al parlato il linguaggio. A questa categoria appartengono: l'eccesso di superlativi (che non vedo perché devi associare alla cacofonia), "lo sfioramento di guance", l'"accorgendosi benissimo" e il "mi covai quella emozione" (sono espressioni molto più realistiche e vicine al linguaggio parlato delle espressioni scolasticamente corrette che tu mi proponi).
L'unica vera scorrettezza può essere "dei migliaia" anche se in questi casi si può accordare l'aggettivo col termine film, tipo "il gruppo di ragazzi che veniva (ma anche venivano) verso di me". Infine per quanto riguarda le descrizioni del look e il giovanilismo: i protagonisti hanno sui 35-40 anni. Inoltre si vede che tu non sai quanto possono contare i look femminili nel far scattare innamoramenti estetici come quello descritto nel racconto... Guarda caso le stesse cose che tu hai criticato sono state considerate scelte originali e da apprezzare da un'altra lettrice... Evidentemente, come sempre, è una questione di gusti...
Anonimo il 04/08/2013 20:00
Non me ne voglia l'autore, ma questa seconda puntata mi ha un po' deluso, sia per l'eccessivo indugiare sui "look" della donna, che dà al tutto un sapore di superficialità e immaturità, sia per la scarsa cura stilistica di alcune frasi, che avrebbero decisamente bisogno di una sistemata. Ne riporto alcune:
"venne fuori lo sfioramento di guance per il saluto"
"accorgendosi benissimo del fatto che io la stavo squadrando" (quel benissimo lo toglierei)
"Poi si era comportata normalissimamente, come se lì, con noi, potesse benissimo esserci anche suo marito: carinissima" (troppi superlativi e cacofonie)
"la realizzazione di uno dei migliaia di film che mi ero fatto in testa nel corso della vita" (linguaggio giovanilistico che mal si adatta al contesto; e poi, semmai, "delle migliaia"
"Mi covai quella nuova emozione" (toglierei il "mi".
Spero che Write non si offenderà, il mio è solo un suggerimento per migliorare la scorrevolezza. L'osservazione sul look è soggettiva, ma a me fa questo effetto.
Anonimo il 04/08/2013 12:09
Molto bella e ben scritta anche questa seconda parte, ovviamente. La storia si snoda bene e le introspezioni del protagonista delineano sempre più l'equilibrio instabile che alberga nel suo intimo sentire, come è giusto che sia.
Mi sto convincendo che il titolo non funziona... ma c'è tempo per dirlo. Se può servire io ho imparato un buon metodo per azzeccare un titolo ad un racconto, quando si è in dubbio. Se ne può parlare in privato.
Non mi resta altro che notare, purtroppo, come le letture ed i commenti scemino... ma anche l'autore a quanto pare dà l'impressione di essere uno che si è iscritto per pubblicare questa cosa in maniera mirata, senza occuparsi, e ne ha pienamente il diritto, di altri lettori o commentatori che non siano colei alla quale forse è indirizzato questo scritto.
Un autore quindi che temo perderemo ancor prima di trovarlo, ahimè. Un saluto.
Anonimo il 02/07/2013 21:09
... al protagonista sembra che basti sognare, tanto tiene a lei che ha paura della realtà... scrivi in punta di penna emozionando. Aspetto il resto.
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