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Sua maestà il congiuntivo
Giovanni scrive.
È seduto con le gambe incrociate dietro la sua scrivania ottocentesca che ha comprato chissà quando a Porta portese.
Un giorno con il borsalino grigio sulla testa e la sciarpa di seta al collo girando per il mercato, notò quella scrivania e le si fermò con la bocca aperta davanti.
L'antiquario, un tipo alto, secco come un chiodo e la barba lunga e bianca si avvicinò, sorrise e chiese se poteva essere d'aiuto.
Giovanni non parlava, era estasiato, quella scrivania era dei primi del secolo scorso, di mogano, con il pianale in pelle ricamato.
"Quanto costa" chiese.
"Mille euro e te la porto anche a casa" disse l'antiquario gonfiando chiaramente il prezzo.
Giovanni che nella sua vita era sempre stato un risparmiatore, tirò fuori dalla tasca un biglietto da visita, lo porse all'antiquario e gli chiese di passare nel pomeriggio.
Ora aveva quella scrivania, la sciarpa di seta al collo, il borsalino grigio sulla testa, la pipa e gli occhiali anni settanta che fanno molto scrittore.
Giovanni scrive ma non scrive romanzi.
Vorrebbe essere uno scrittore ma quando ti trovi a quarant'anni suonati, mezzo pelato, con l'asma, una moglie che guarda Forum e un figlio che ti chiama Giovanni anziché papà, cominci a diventare leggermente insoddisfatto della tua vita.
Giovanni scrive, non scrive romanzi ma recensioni.
Ha la mano veloce e la penna allenata, e non usa "ma però" nemmeno se sbaglia a parlare.
Ha studiato Giovanni, all'università prese lettere e filosofia, conosceva tutti i poeti e scrittori del novecento, dell'ottocento e più lontano, ed era in grado recitare tutti i canti della divina commedia.
Meglio di Benigni diceva, ma lui Giovanni non era raccomandato, diceva.
Sapeva mettere tutte le virgole al posto giusto ed era il genio della grammatica, mica come Fabio Volo o Moccia, diceva, lui era superiore, diceva, lui aveva studiato, diceva.
Giovanni scrive, non scrive romanzi, ma recensioni, recensioni su un giornale di nessuno.
Oppure si chiama rivista, piccola e online.
Giovanni però leggeva tanto.
La sera si sedeva dietro la sua scrivania, con la pipa in bocca, la sciarpa di seta al collo e gli occhiali anni settanta che facevano molto scrittore.
Ma a Giovanni non piaceva fumare, era agosto e con gli occhiali non vedeva un cazzo da vicino.
Giovanni quand'era ragazzo scriveva di più, ed ha ancora un libro nel cassetto. Un mix fra Bukowsky e Pasolini, con tre quarti di Calvino, l'unghia dell'indice della mano destra di Dante, e le atmosfere poetiche di Neruda.
Lo mandò a tanti editori, ma nessuno volle pubblicarlo, non era pronto dicevano, non era raccomandato, diceva.
Però sapeva scrivere Giovanni, sapeva mettere tutte le virgole al posto giusto ed usare il congiuntivo alla perfezione, mica come Fabio Volo, diceva.
Dopo tanti anni Giovanni tirò fuori dal cassetto il suo manoscritto e provò a spedirlo di nuovo alle case editrici più importanti.
Aspettò qualche mese ma nessuno rispose.
Nel frattempo Giovanni scriveva, non romanzi, non poesie ma recensioni, recensioni di altri libri e di chissà chi.
Ora è seduto dietro la sua scrivania dei primi del secolo scorso che fa tanto scrittore, con la pipa in bocca, il borsalino grigio, la barba finta incolta e gli occhiali anni settanta sul naso.
Nella stanza opposta la moglie urla al figlio adolescente che lo chiama con disprezzo Giovanni e non papà.
Si sgola perché gli ha trovato della cocaina nascosta nel cassetto, lui sbatte la porta di casa uscendo.
E invece Giovanni scrive, non romanzi, non saggi o poesie, ma recensioni. Recensioni di altri che hanno pubblicato mentre lui aspetta. Ancora.
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