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Bara di vetro
Ci sono giorni che non vorresti vivere e ci sono incubi da cui non riesci a svegliarti.
Due mani s'incontrano tra la folla, una cascata di parole riempie un copione che è recitato da attori che lo conoscono a memoria.
La solitudine porta a cercare compagnia più per ego che per sentimento.
Situazioni uguali che valgono un bicchiere seguito da un altro, un liquore insapore, inodore che inebria la mente e vuota l'anima.
La luce di un lampo sventra la discoteca e un sorriso tra un bicchiere e l'altro si diventa un gemito tra le lenzuola, trasformandosi la mattina in un saluto che ha il sapore di un piatto freddo. Un piatto senza vita e senza gusto, un altro sguardo da evitare un altro vuoto senza un nome.
Ci sono giorni che non vorresti vivere e ci sono incubi da cui non riesci a svegliarti.
Il tuo profumo sulla pelle il tuo sapore che non voglio dimenticare.
Ho chiuso il mio cuore in una bara di vetro, non provo nulla. Il vento urla ma non lo sento, il sole brucia ma non mi riscalda. Ti ho conosciuto per caso il tuo primo rifiuto è diventato un colore nuovo per la mia tavolozza e le tinte si mischiano. Immagino il tuo sapore.
I colori restano impressi sulla tela le pennellate creano forme, le sfumature generano profondità. La mano si muove veloce nella speranza di disegnare il tuo volto ma non è altro che un'auto ritratto.
Ci sono giorni che non vorresti vivere e ci sono incubi da cui non riesci a svegliarti.
Ho scritto il mio dolore su un pezzo di carta e l'ho rinchiuso in una bottiglia, come un naufrago lancia un sos in mare, il vento asciuga le mie lacrime, il sole si tuffa nel mare arrossendo il cielo. Il vetro riflette la luce e le onde fanno ballare il collo della bottiglia, quel movimento mi ricorda la sua schiena quando si muoveva nel mio letto. Eravamo padroni della vita e giocavamo a crearla, poi tutto crollò "tu per la tua io per la mia" urlai quella notte, non provo più nulla il mio cuore è imprigionato in una gabbia trasparente, ma il mio corpo è libero, comanda lui cedo a ogni sua voglia. All'interno di quella bottiglia il foglio è fermo nel suo mezzo di trasporto sembra mi saluti, buon viaggio "ci rivedremo" penso mentre lo guardo sparire all'orizzonte. Una pergamena piccola da stare in una bottiglia è la chiave del mio dolore" basta trovare un rimedio, una specie di cura" mi ripetevo mentre mi allontanavo "Che cosa ho scritto" più ci penso e più il ricordo svanisce insieme al modo di scappare dalla mia prigionia.
Ci sono giorni che non vorresti vivere e ci sono incubi da cui non riesci a svegliarti.
La gente spinge urla, parla al telefono, ama, odia e intanto sogna. Cammino tra loro, il passaggio di un'autobus alza un foglio di carta lo guardo incantato "è lui" urlo mentre inizio a correre tra la folla " è uscito, si è liberato" penso muovendomi tra le persone e i semafori che sembrano volermi fermare, Il sudore m'incolla la camicia sulla schiena, la stanchezza inizia a farsi sentire "non mollo" urlo quando oramai il fiato è quasi esaurito "lo voglio" allungo una mano e mi ritrovo in ginocchio da te. Le dita sfiorano la carta mentre incrocio il tuo sguardo prigioniero dei tuoi occhiali, tremo mentre tento di aprire il foglio arrotolato, "è qui la chiave della mia cella" mormoro senza il coraggio di guardarti, "tornare a sentire il caldo a temere il freddo, provare piacere nell'anima e non solo nel corpo". I tuoi occhi mi scrutano mentre tremo. Mi guardo intorno con la paura che qualcuno possa impedirmi di leggere il motivo della mia apatia, stringo il foglio nelle mani, a sinistra amici e parenti che mi guardano e a destra uno strapiombo sul fiume che scorre veloce, che trascina con la corrente mille immagini della mia vita.
Mi ritrovo affianco al letto di mia madre mentre le stringo la mano, i suoi occhi si chiudono. Un rigolo salato solca il mio viso, il corpo sobbalza e il dolore sembra stritolare le mie ossa. La solitudine diventa una figura reale che mi abbraccia fino a soffocarmi. Chiudo gli occhi e quando li riapro, sono in una corsia di un ospedale, avverto il battito del mio cuore " si lo sento " urlo, ma si contrae come un muscolo che non regge più lo sforzo. Un camice bianco mi si avvicina, non vedo il suo volto ma le sue parole le sento come una lama che s'insinua sotto la mia pelle "Mi dispiace è stato un aborto spontaneo non c'era niente da fare". Non sento più nulla, né il battito del mio cuore né il dolore, non sento né caldo ne freddo; nessun odore. Sono io nella bottiglia nella mia bara di vetro, sbatto i pugni contro le pareti più forte che posso senza alcun risultato. Niente neanche dolore.
Sono in piedi lei mi mostra le spalle, le sue parole mi colpiscono come pietre è fredda diretta come un bisturi "non ti amo più". E tutto finito la famiglia che non è mai nata, i suoi occhi, mi sforzo di ricordarne il colore ma proprio non riesco, mi siedo aspetto che l'agonia mi assalga che il dolore mi costringa a piangere, non sento nulla il vuoto totale. Alcuni volti femminili mi appaiono davanti agli occhi sono sfocati e i loro gemiti sono bugiardi, poi arrivi tu con i tuoi occhiali che sorridi e mi porgi la mano. Mi sforzo di sentire il tuo calore e a percepire il tuo profumo, per un attimo lo sento mi riempie i polmoni, di colpo non lo sento più l'assenza mi fa pensare di non averlo mai avvertito e di essermi immaginato tutto.
È finita devo solo srotolare quel foglio la cella si aprirà e griderò "sono vivo". Il fiume scorre nessuna immagine al suo interno, "sono libero grazie a lei" penso " ha rianimato il mio cuore", la guardo sorridendo, il suo sguardo è deciso sa quello che vuole il suo braccio steso verso di me con la mano aperta; come ha farmi capire che vuole quello che io stringo. "lo vuoi" urlo "pensi che sia facile" mi volto di scatto a guardare il fiume "sono libero" mi alzo in piedi "tornerò a sentire i sapori, brucerò per il calore di un corpo che si unisce al mio e lui batterà per ogni emozione" una macchia verde galleggia sul fiume. Attira la mia attenzione la scruto sforzando la vista "non è possibile" corro verso lo strapiombo "è lei" il collo di una bottiglia mi passa davanti cullata dalla corrente e nel suo interno s'intravede un foglio arrotolato; "NO" urlo più forte che posso il suono mi raschia la gola sembra provenire dal fondo della mia anima. Lei si avvicina e mi prende il foglio dalle mani "non è mai stato tuo perché è il mio" si avvicina "grazie" mi bacia, un bacio che non ha sapore, senza guardarmi corre via gridando"sono viva".
Ci sono giorni che non vorresti vivere e ci sono incubi da cui non riesci a svegliarti.
La sveglia del cellulare urla sono seduto sul letto bagnato dal sudore, il respiro è affannato, mentre mi prendo il volto tra le mani, mi accorgo di aver pianto e mi asciugo le lacrime ripensando a quell'incubo, non mi spaventa, ha l'effetto di un'onda che ti s'infrange addosso; ti toglie il respiro nell'impatto e ti lascia bagnato. Mi siedo sul bordo del letto e le mie mani si muovono veloci tra cartine filtri e tabacco, sono anni che mi sveglio baciando una sigaretta; una boccata e poi subito un'altra " non sa di niente, cazzo di tabacco devo tornare alle sigarette" sbiascico mentre mi alzo e m'incammino al bagno. Una volta vestito la voglia di un caffè cancella ogni pensiero, guardo la cucina "il caffè lo prendo al bar, grazie" esclamo come se il fornello potesse rispondermi, controllo non di aver dimenticato nulla: chiavi, tabacco, cellulare; lo guardo sfoglio tra i messaggi "sono giorni che non mi scrivi, " penso e aspetto che la tristezza salga ma niente il vuoto. Sul tavolo la fruttiera e colma di mele tonde e rosse, sono del mio coinquilino; mi ricordano una ragazza conosciuta in ferie quando avevo una ventina d'anni. Quando finivamo di fare l'amore nel negozio di suo padre, prendeva una mela da una cassetta e la addentava "ne vuoi una, è buona come me" mi diceva ridendo. Ne afferro una la guardo mentre la rigiro nella mano, il desiderio s'impadronisce di me, la addento come se non mangiassi da giorni; mastico piano per godere tutto il suo sapore " che porcheria, sta roba non ha gusto" ingoio il boccone insapore e butto il resto. Afferro lo zaino con i vestiti da lavoro e corro giù per le scale, il sole è già alto ma non fa caldo. Cammino tra la gente e noto una ragazza con una bottiglia in mano "e quella del sogno" penso mentre la seguo, lei si ferma "ciao mi chiamo Davide" le dico fissandola negli occhi; lei sorride...
Sono in una bara di vetro.
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