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Il cuore della luna
Ricordo tutto di quella notte, ogni singola parola, ogni riflesso di luce sul tuo volto mutevole, riusciresti a parlare anche senza voce.
Eri affacciata al balcone, bianca, persino i capelli corvini lo erano. Sulle guance, un riflesso d'ambra testimoniava il sole di quel giorno, ricordo la tua voce emozionata.
Raccontavi di quell'altra notte di tanti anni prima, come se io potessi non averla vissuta a mia volta, come se anche di quella, io stessa non conservassi ogni dettaglio tra miliardi di altri. Parlavi rivolgendoti a me come se potessi ascoltarti, non sapendo che ti ascoltavo davvero e le tue parole si intersecarono ai miei ricordi.
Mi descrivevi gli odori di una Messina notturna mai vista prima, l'odore di zagara corrotto solo di quando in quando, dall'acre olezzo della spazzatura calda che però non ti aveva nauseata. Ti eri sentita bellissima quella notte e a dirtelo era il suo corpo che non riusciva a separarsi dal tuo.
Ti aveva portata a visitare la sua città, rendendoti turista della sua vita prima di conoscerti, ribattezzando ogni posto con un bacio, con un contatto, nell'entusiasmo di un ritorno a casa dopo tanti mesi, ma a casa dai suoi dovevate ancora mettere piede.
Diceva di volerti ricordare in ogni posto, dopo quel giorno.
Al duomo ti baciò sulla bocca, al porto ti abbracciò avvolgendoti nelle sue spalle facendoti appoggiare al suo corpo.
In quel viale della sua infanzia, Viale Giostra si chiamava, ti accarezzò i capelli, " capeddazzi" li chiamava lui, e il suono di quella D impastata nel palato ti dava il languore.
Sulla terrazza della Panoramica sullo stretto, ti prese sulle sue gambe, seduto sul guard raill accarezzandoti il sedere. Il tessuto dei jeans aveva trasmesso il suo calore solido.
Ti eri fatta maliziosa dondolandoti su di lui, senza vergogna. Gli era piaciuto il tuo dondolio e aveva ricominciato a baciarti sotto gli archi di luce dei fanali che filtravano tra gli oleandri, nel suono di sirena delle navi in transito, giù, più sotto, lontane... vicinissime, sospese nel buio tra le due terre delineate da milioni di lucine.
Mi raccontasti che quel bacio era stato il primo amplesso della tua bocca, "la verginità ha tante forme" dicevi, "e quella sera le persi quasi tutte".
Larga e piena la sua lingua aveva raccolto la tua riempiendoti la bocca, attirandoti dalla nuca e dal sedere. Era stato come se uno stiletto d'argento avesse trafitto il clitoride, come se non ci fosse alcuna distanza anatomica tra vulva e bocca. Non esisteva null'altro, solo quel miele tiepido e denso che scioglieva le tue cartilagini.
La tua gola aveva cominciato ad emettere quel suono, senza controllo, libero, lungo, basso dal ritmo rotondo. Avevi cominciato a muoverti in un modo nuovo, premendo e strofinando lenta, sentendo per la prima volta quel sassolino acido slittare nel burro, scattando, crescendo di volume, ad ogni scatto aumentando nel piacere che ti dava.
Avresti voluto accelerare, ma lui ti aveva trattenuta, rallentando il tuo bacino, tenendoti nel gorgo che si dilatava, aveva cercato la tua bocca più a fondo accogliendo con la saliva il tuo orgasmo.
Ti aveva presa in braccio dopo, così, ancora a cavalcioni, portandoti alla macchina, eri scesa piano dal suo abbraccio, scivolando.
Ridevi adesso raccontandomi il suo solo commento:
-" Non potrò più fare la panoramica senza séntere dòlere i pàddi... vieni, ti porto a Punta faro".
Lì sotto il pilone con il profilo della Calabria che si rifletteva nel mare, ti eri spogliata restando in mutandine. Eri entrata nel mare di vetro fuso, nella scia traslucida delle lampare dei pescatori.
Lui era rimasto a riva, i siciliani con meno di 30 gradi il mare neppure lo sfiorano, quella notte ce n'erano forse 25.
Nell'acqua il plancton risvegliato dalle tue dita sembrava ridere intorno, poi ti eri toccata tra le cosce, diluendo quello strano albume, stupendoti della sua consistenza, non sapevi che anche una donna potesse... tanto... Il tuo gesto lo aveva convinto a spogliarsi raggiungendoti nudo.
-"Sei la cosa più bella dello stretto"
Ti eri aggrappata alle sue spalle avvolgendoti al suo bacino e le onde vi avevano dato il loro ritmo portando alla deriva la medusa bianca delle tue mutandine.
D'improvviso la tua voce sussurrata si fece più squillante
-" Lo rivedrò questa notte, mi aspetta sulla spiaggia, grazie di avermi ascoltato cara amica, il tempo non passava più. Non ti chiedo nient'altro questa notte, mia bella grande luna, sei già perfetta".
Mi salutasti, uscendo con la pila in mano. Ti seguii lungo quei 150 metri verso la spiaggia, sorridevo al tuo passo trattenuto. Il rimbombo del tuo cuore arrivava fino a me, o forse era il mio.
Vidi il tratteggio di luce della tua pila cominciare a singhiozzare negli ultimi metri di corsa. Lo avevi visto, ti aspettavano le sue braccia, come se quei 15 anni si riavvolgessero.
Credo che entrambi ci provaste a parlare, ma le parole si arrotolavano tra i baci.
Volli lasciarvi un po' di intimità e mi nascosi in una nuvola, tanto le stelle pettegole dopo mi avrebbero raccontato.
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