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Immutevole
La donna camminava sulla spiaggia deserta, nell'ultima sbiadita luna del mattino. Lo scialle di garza, la gonna leggera, arrivò alla riva e si fermò guardando le dita dei piedi nudi, risvegliarsi allo sfrigolìo della spuma.
Cominciò a spogliarsi adagiando ogni indumento con un gesto lieve sull'acqua, lasciando alla risacca il compito di riportare al mare ogni parvenza del suo passato, ed ogni abito, nell'andare da lei, s'avvolgeva sempre più nelle piccole onde, ripiegandosi e dispiegandosi, mutando in alga, manta, spugna.
Rimasta nuda, la donna sciolse i capelli, grossi, ricci, bianchi, lasciando che per un attimo ancora sorridessero al vento, poi proseguì verso il primo diamante che il sole accendeva all'orizzonte.
Quando l'acqua fu ai suoi fianchi l'accarezzò con le vecchie mani sussurrando " eccomi " e si tuffò. Una... due... tre volte ricomparvero, alternandosi, i piedi e la testa, sempre più scura, alla quarta, una lunga maestosa coda magenta, oro e smeraldo, salutò con un ultimo guizzo la riva, e scomparve.
Così tornò a casa la regina del mare, dopo aver a lungo vissuto tra gli uomini. Per uno di costoro aveva rinunciato alle sue squame, l'aveva amato, ad ogni passo al suo fianco, fino alla morte. Senza rimpianto allora come adesso, perché, ogni vita vissuta fino in fondo non ne lascia alcuno.
Nuotò a lungo a ritrovare ogni luogo, sapendo senza sorpresa, che tutto sarebbe stato diverso, perché il mare come la terra è mutevole. Fu così che scoprì un nuovo atollo gremito di infinite, eleganti creature e per questo solcato da molte vele di pescatori.
" Bene" pensò " ecco un luogo dove ho terra e mare, qui mi fermerò per un po'", e cominciò a cantare per le creature della terra e del mare.
Era, il suo, un canto d'amore e di passione, perché di questo lei era ricca. Raccontava la sua vita vissuta, la bellezza del dono che aveva ricevuto e i delfini si fermavano, perché nei suoi canti c'era la gioia dei loro salti, le balene si fermavano perché nelle sue parole c'era la potenza del loro respiro. Persino le testuggini che lungamente vivono e a tutto sembrano indifferenti, si fermavano ad ascoltarla, perché ciò che lei raccontava loro, non l'avevano ancora trovato.
Ai margini di questo tripudio alla vita, le barche cominciarono ad ammainare le vele ed i pescatori, incuriositi, misero da parte gli antichi timori e tolsero la cera dalle orecchie per ascoltare. Allora la sirena si avvicinò e cantò per gli uomini con tenerezza ed essi sentirono che in lei viveva la gratitudine.
Ed ognuno ascoltandola godette del suo canto e dei suoi colori. Non per malia, non per illusione, ma con reale reciproco piacere.
A piene mani bevo
sul corpo scivolando
al tuo alito di paprica
fervente come un favo.
Schiena di colibrì sull'erica
la pelle è rovente scoglio
che pioggia attende.
Umida scalmanata anfratto cavo
il godere inerpica
la spinta pretende.
E non c'è tempo il gioco verrà poi.
Ora voglio!
Culla bagnata immobile stringo
di piacere ingorda.
Prima di tempestare
frastagliate onde a gola sorda
Aspettami...! Raggiungimi...!. Eccomi!!!
In apnea tra i marosi infranti
del brodo primordiale
si appagano gli istanti.
L'eco delle nostre risate
sa ancora di sale.
Un giorno mentre nuotava sulla scia di una barca, ridendo agli spruzzi che faceva veleggiando, vide accostarsi uno scafo dalla chiglia incrostata e dalla vela sporca. Ne ebbe da subito un impressione di cupezza. Sapeva che tra gli uomini, vivevano alcuni, le cui anime erano malate, arrotolate, contorte, incapaci di semplicità e per questo erano destinati alla malinconia ed al rimpianto. Non amava costoro e pur dispiacendosi della pena che portavano, se ne teneva lontana.
Anche il pescatore si accorse di lei e subito si fece scherzoso ed invitante, ma era una forzatura priva di gioia e la sirena senza dargli ulteriore confidenza si allontanò.
Non per cattiveria negava a quell'uomo i propri colori ma per la sola sapienza che riconosceva assoluta, e cioè che ad ognuno vanno lasciate le sue scelte.
Le vite parziali non possono che ripetersi alla ricerca di ciò che non si è voluto trovare. Nessuno può far regalo della propria esperienza all'altro, può solo assistere alla sua rinuncia o alla sua conquista.
Così dunque la sirena nuotò lontano e come quando una sottile nuvola nel cielo terso svanisce, così lei si scordò del pescatore, riprendendo a inseguire le onde, ad inabissarsi e a saltare giocando tra delfini e pescherecci.
Tornò spesso il pescatore da quel giorno, lasciando la sua grigia casa. Chiudendo la porta lasciava oltre quell'uscio la delusione di una moglie che non lo ringiovaniva più e prendeva il mare in cerca della sirena.
Più stupito che persuaso da ciò che egli stesso faceva, si fermava entro quel limite, assai largo, nel quale il vento trasporta libero le voci sul mare ed ascoltava i racconti che la sirena donava ad altri e il tessuto morbido della sua voce. Si vestiva di quella, riascoltandola a lungo nella mente, vibrando al suo calore, senza però riuscire a goderne appieno, perché non a lui rivolta.
Godeva in quei momenti, del suo stesso lasciarsi tarlare dalla curiosità: "Perché essa lo ignorava concedendo invece a tanti altri la sua passione?".
Cominciò così a rinascere nel suo petto un appetito noto di predatore che però aveva qualcosa in più, di sconosciuto.
"Perché mi fugge..." Continuava a ripetersi, "Perché ad altri e non a me... perché mi solletica tanto la sua voce... vi è dell'intento divertivo nel suo ignorarmi o un reale rifiuto?".
Non capiva che il sapore diverso che avvertiva era quello che possiede sempre ogni nuova possibilità, perché lui non ne aveva mai cercata alcuna. La sola ipotesi che la sirena per sua natura non cercasse i giochi del negarsi ma solo quello del reciproco offrirsi gli era inconcepibile.
Voleva che la sirena si avvicinasse, ma non sapeva come fare, capì però con l'esperienza del lungo attendere, che doveva allettarla.
Provò a scrostare la chiglia della sua barca, provò a lavarne la vela ma ancora la sirena non si avvicinava.
Un giorno molto tempo dopo, il pescatore sempre più determinato, ebbe un intuizione dettata più che dal cuore, da un esercizio di fantasia e cominciò a sostituire i galleggianti delle sue reti con marshmallows di mille diversi colori. Un altro pescatore gli chiese cosa volesse ottenere sostituendo i galleggianti, ed egli, sapendo che la sue parole sarebbero state udite lontano, rispose che cercava un modo affinché i pesci rispondessero al richiamo di quei colori.
Usò proprio queste parole " voglio nutrire i pesci di colori edibili, per vedere se mi seguiranno nelle reti, magari fuggiranno tutti ma voglio provare".
Cosa fu in quelle parole che improvvisamente attirò l'attenzione della sirena? Fu l'idea stessa, l'esperienza che implicava, la ricerca che esprimeva!
Tutto in quelle parole svelava un anima non immobile, che non teme il rischio di fallimento ipotizzato, che non se ne lascia sconfiggere. Un anima simile, era la sola cosa che poteva convincerla a riavvicinarsi e così fece, sapendo come sapeva, che nulla è definitivo.
In terra come in mare tutto è mutevole e nonostante fossero tanto distanti l'uomo e la sirena, nonostante fossero inavvicinabili tra loro, separati da una diversa natura, cominciarono a parlare.
"Finalmente ti sei avvicinata, non sapevo più cosa inventare"
"Dunque questo era il tuo intendimento? C'è sicuramente del merito in tanto darsi da fare!"
"Dimmi sirena, la tua verità, i tuoi canti parlano d'amore ma in essi c'è sincerità?" "Io son sempre sincera perché non temo la verità. I canti narrano il mio amore, ne faccio dono a chiunque con spontaneità. Ed anche se il mio sposo è il mare, dipingo l'amore in libertà. Dimmi di te adesso se ne hai voglia, perché mi appari sospeso come in agonia. Cosa da farfalla ti raggomitola in ragno frenando il tuo volo sulla soglia?"
"Ero giovane e vigoroso, la vite mi avvolse di promesse e per ognuna lavorai senza riposo. Una per una le ho vedute crollare, ora mi aggrappo alla quotidianità. Combatto da solo nella rinuncia, tenendo la rotta con caparbietà, ma la mia sposa ha lo sguardo del rifiuto, della condanna alla meschinità".
Questo le chiese e questo le disse, come per un bisogno di mettere dei contorni ad entrambe le loro identità. Ma la sirena che non era incline a lasciar fuggire un bel mattino, lo guardò sorridendo, e mostrandogli con un gesto il mare, gli disse
"Di fronte a tutto questo è il tuo racconto ad essere meschino, il solo modo per celebrare questa vastità e vederlo per quel che è. Chiacchieriamo del mutare di forma delle nubi, guarda quella sembra il deretano di un pascià!".
Così l'alba frizzante accolse le loro prime chiacchiere.
Da quella molte altre fragranti mattine seguirono e le chiacchiere mutarono in risa nei luminosi, calmi pomeriggi, poi, nei tiepidi tramonti di rubino, mokaite ed agata, le risate si fecero sussurri.
La sirena scoprì che la voce del pescatore era bella nel sussurro, e si avvicinò fin sotto alla chiglia per guardarlo da vicino. Fu la prima volta che si videro distintamente la sirena e il pescatore e lui ridendo un po' nell'imbarazzo le disse:
" Sei bella com'era bella la mia gioventù"
Lei donando slancio allo slancio rispose:
"Sei bello com'è sempre bello l'ardore".
Lunghe furono le notti, mentre i sussurri si fecero silenzi ricchi di sguardi e sorrisi. Ogni sguardo il disegno di una carezza, ogni sorriso il desiderio di un bacio.
Una notte anche il vento zittì la sua voce. In quel vuoto di ogni altro suono, sotto l'infinito onice tempestato di stelle, il pescatore poté indossare l'intimità della voce che tante volte aveva spiato e si sentì scaldare, perché finalmente, a lui si rivolgeva. Allora chiese:
"Mostrami i tuoi capelli intessuti di perle, avvicina le tue labbra di corallo, mostrami i tuoi seni che la luna sbianca, accarezzali come farei io".
Così la sirena sfilò, con le sue labbra di corallo, le perle intessute tra i capelli, si carezzò i seni offrendoli alla vista di lui, mentre dalla bocca lentamente, lasciava scivolare le bianche gocce d'ostrica, nell'incavo tra mammelle. Dapprima lasciò che si raccogliessero lì come un piccolo tesoro, poi iniziò una sinuosa movenza nel languore pigro del mare che la sorreggeva. Tutta offrendosi, allo sguardo del pescatore guidò le perle in un gioco di traiettorie verso il calice del ventre. In quel muoversi, da lei, iniziò a sprigionarsi un aroma di salsedine e frutto marino che avvolse il pescatore mischiandosi al suo stesso acre odore. L'uomo emise basso mugolio e dilatando le narici inalò. Era stata tale la sua attesa che alla vista di quel prodigio, al sapore di quell'aroma, si strappò gli abiti dal corpo. Nudo in ginocchio sulla chiglia della sua barca, tese una mano verso la sirena come a volerla strappare al mare e senza più freni, con l'altra avvolse la sua erezione accarezzando la sua pena al ritmo della movenza di lei. Catturato in quel ritmo, sul volto di lui il dolore che la mancanza gli procurava, si frantumò nel perdimento. Allora la sirena, nell'acqua, guidò la danza alla frenesia, fino a farla ribollire a sé intorno. Con lei, il pescatore bruciò nel fuoco dello stupore. Cercando ogni piega del proprio piacere, spremendolo nel mare fino all'ultima goccia, estinse il ribollio... nella quiete.
Tale fu la potenza di quel godimento, tale il compiacimento di vedere la sirena rispondere ad ogni suo desiderio, tale la sorpresa di comprendere che era stato quel desiderio stesso a sedurla, che restò a lungo a rimirarsi nudo, restandone intorpidito. Poi all'improvviso, senza alcuna apparente ragione, issò la vela e preso veloce il vento fuggì verso la costa.
La sirena rimase lì, sbigottita, oppressa da una cupa offesa, che si tramutò in dolore. Per non cedere ad esso, per disperdere con il profumo che ancora aleggiava nell'aria, anche la memoria di lui, con un potente colpo di coda si voltò allontanandosi da quel luogo. In quel suo gesto tutte le perle si persero verso il fondo del mare... come lacrime di una dea.
Nei giorni che seguirono la sirena che per sua natura risorgeva da ogni morte, cantò ai pescatori un canto nuovo, ed esso pur narrando l'addio e l'abbandono, non recava traccia di alcuno strazio, poiché ogni dolore puro in lei si tramutava in vita.
Cos'ha quest'alba stupita
affida ai gabbiani gli addii
dissolve in bruma gli abbandoni.
Che sono questi mormorii questi dolci suoni?
È Vento che allaccia le mie dita
trasmuta ogni ruga severa.
Cos'hai questa mattina amante Vento
colori le guance contento
ubriacando di primavera.
Scombini capelli e pensieri
sbiadendo l'inverno e i suoi lamenti
dimenticando ieri
sospingendo avanti.
Vento amante carezzi la vita
offrendo sollazzi
con mano sfrontata.
Ascolta Vento
questa risata esuberante
senza motivo
di libera follia.
Metto le corna alla nostalgia
mi concedo al godimento
ché mio soltanto.
Anche le note di questo canto giunsero alle orecchie del pescatore, perché egli non si teneva mai troppo lontano. Nell'ascoltarlo si domandò come potesse essere che in quella voce non si avvertisse alcun dolore ed anzi, che apparisse più ricca di prima. Ciò che non sapeva era che la sirena, essendo una creatura libera dal male, non poteva conservare in sé la sofferenza. Poteva coglierla, quando questa le proveniva da qualcuno ma allontanatasi da costui, non la tratteneva in sé, lasciandola al povero individuo che l'aveva generata, ritrovando nella semplicità dell'esistere la propria armonia. Essa infatti sapeva cogliere ogni cosa ed ogni cosa sapeva lasciare. Non avrebbe potuto essere altrimenti perché questo era il primo insegnamento del mare. Per questo la sua voce appariva tanto ricca, perché pur raccogliendo tutto, non tratteneva nulla.
Fu l'ignoranza di ciò che spinse il pescatore a convincersi che la sirena nascondesse il suo dolore. Non poteva credere di essere stato dimenticato, e non capiva che così infatti non era. Non aveva mai conosciuto una creatura capace di ricordare senza sudditanza al dolore.
Decise di accertarsi di essere ancora vivo nel ricordo di lei e si avvicinò nuovamente. Non che volesse realmente farle del male, ma questa era la sola genesi al suo piacere predatore.
Lei però che del mare aveva anche la potenza minacciosa, appena lo scorse lo fermò con un gesto della mano:
"Sei incapace di gratitudine uomo! Incapace di condivisione,! Sei secco e sterile, e in te non sa crescere alcuna garbatezza!. Stammi lontano perché l'offesa che porti in te è tua soltanto!"
"Ascoltami sirena, non farmi soffrire, sono fuggito perché temevo fosse scoperto il mio peccato, sulla riva ho veduto illuminarsi il faro, ed io laggiù ho le mie radici, nella mia casa, nel mio focolare"
A queste parole ancor più la sirena si fece una furia, perché in ognuna di esse vi era ipocrisia. Sorgendo dall'acqua in tutto il suo furore la sirena aprì la sua voce in un urlo:
"Credi dunque io possa far parte della tua vergogna? Il tuo solo desiderio è la lussuria, ma che sia solo tua, che resti nascosta! Io sono Libertà e questo è il mio mondo, io sono Scelta e questo è il mio potere, io sono Ricordo e questo è il mio nome. I tuoi son giochi che non voglio fare, perché negarsi per farsi inseguire è una follia ed uno spreco. C'è tanta gioia nel mondo ed io so coglierla, tu trai gioia dal turbamento, che non sia tuo ma di chi ti sta accanto! Ora uomo, questo atollo è tuo quanto mio, possiamo viverci senza mai più incontrarci, ma sappi se mi incontrerai ancora, che le regole del mio grembo le ho fatte io, e sono regole di verità e rispetto".
A queste parole il pescatore ammainò la vela e gettò l'ancora. Quindi offrendosi ancor più alla tempesta della voce di lei rispose:
"Bene starò qui a fare ammenda, io so aspettare e aspetterò finché vorrai"
Ma fu la sirena a questo punto ad allontanarsi senza aggiungere più una parola, perché l'atollo era grande e bastava per entrambi.
Il tempo passò, s'accorciarono i giorni e s'allungarono le notti, l'aria sul mare si fece fredda con il morire dell'anno. Ancora il pescatore non accennava a rientrare. Si spostava talvolta, per avvicinarsi ad ascoltare le storie della sirena. Lei sempre continuava a cantare senza prestargli attenzione avendolo semplicemente destinato ad occupare un luogo malinconico di quel variopinto mondo.
Arrivarono i giorni del gelo e delle tempeste e tutte le barche dei pescatori tornarono ai pontili, la sirena non si rattristò di questo perché le tempeste erano le sue compagne ed il gelo il suo amante. Godeva dell'uno e delle altre perché ogni stagione ha le sue meraviglie. Sapendo che presto sarebbe arrivata la primavera ed un nuovo piacere avrebbe sostituito l'attuale, al ritmo dei tuoni e tra i flauti del vento, cantava alla vita con queste parole:
Sbattuta nel sale
che pizzica tra le mammelle
condannata alla chiglia
di un gonfio veliero
ho sollazzato derive
in galoppo sfrontato
scegliendo le mie
alle imposte rotte.
Ho trafitto cicloni fin dentro l'occhio
mentre intorno a me sfinita
infuriavano mura sbavate di nubi
urlando una lotta per la vita.
Ho gonfiato il mio petto
ho serrato ostinata
lo sguardo impaurito
e son ripartita.
Ho sforzato eccentrica
infidi gorghi
gloriosa ho vinto
agli abissi dei ricordi.
Il sole mi ha esaltata
tra asole di nembostrati
baciandomi sedotto
dalla mia nudità semplice.
La luna mi ha consolata
nel suo abbraccio di perla
col suo sorriso diafano
di madre di sorella.
Nell'assenza muta di vento
lo sciabordio monotono
offre al riposo il suo sonno
scoprirò all'alba
le verticali traiettorie degli albatros
nelle limpide sfasature di ossigeno.
Io sono lignea polena
in attesa dell'anelito
profumato di approdo
verso il perfetto disegno di una rada.
Lì dove getterò l'ancora
mani caute ameranno le mie ferite
e le storie che narrano
nello spruzzo divertito
di una lontana
amica balena.
Non s'erano ancora spente le ultime parole del canto, che un urlo potente zittì persino il tuono:
"Ci sono io in quella rada! Mi vedi? Chi se non noi può abitarla! Non lo sai forse anche tu che tra noi non c'è più alcuna distanza? Non vedi dunque il nostro legame? Ebbene esso esiste ed è in ogni tuo canto!"
Era il pescatore madido di pioggia, nel gelo la sua voce aveva una perentorietà di un lampo muto.
In quel momento la sirena decise di distinguerlo nuovamente come e ridisegnarne la sagoma nel paesaggio ed in cuor suo si intenerì perché tutto è mutevole e trovava sciocco che dietro tale costanza, potesse celarsi un intenzione diversa dal piacere dell'ascolto.
"Eccoti dunque pescatore, sei riuscito a ritornare nel mio sguardo. Dici bene il nostro legame nasce dal Mio canto non da alcunché di tuo, ma sentirti legato ad esso è diverso dal comprenderlo. Tu non lo comprendi perciò ne sei ammaliato, ma fino a che non lo comprenderai tra noi vi sarà sempre distanza... ad ognuno la sua scelta." Senza più nulla aggiungere gli sorrise e ancora una volta si inabissò.
Giunsero infine le prime schiarite di cielo e con esse si chetò il mare. Presto tornarono gli uccelli migratori che come spiriti benevoli, volteggiavano sulle piccole vele delle barche tornate in mare. Ognuna, ridipinta per la stagione buona, come petalo di un tributo perpetuo che la terra faceva al mare, increspava appena le onde quasi carezzandole. Solo la barca del pescatore che non aveva avuto rada era tornata lurida e malconcia ma la sirena non se ne teneva lontana perché non ne percepiva il presagio ma il combattimento.
Una sera il pescatore non sentendosi più rifiutato si avvicinò allo scoglio dove sedeva la sirena infilandosi nuovamente le perle tra i capelli. Lei lo guardò e fu lui il primo a parlare. Le raccontò le sue lacrime e le sue pietre ed ognuna uscendo da lui perdeva peso divenendo pomice. Egli in quel momento, fortissimamente comprendere, ma ancora non si rendeva conto che nello stesso accadere di quel miracolo galleggiante c'era il senso stesso della natura, il suo invito alla leggerezza.
In quel momento lei parlò:
"Nuota con me, steso sul mio corpo, in esso troverai la tua alcova antica, il ristoro del deserto giunto al mare"
"Non posso tuffarmi, neppure con un fine casto" le rispose il pescatore, "perché conosco me stesso, amo e temo il mare, è troppo vasto, perdermi in te è come smarrirmi in esso"
La sirena guardandolo sorrise e gli disse queste parole:
"Del mare credi di temere la vastità perché conosci solo i tuoi confini e trai sicurezza dal potere che ciò di dà. Sei invece schiavo del potere stesso, negandoti tutto ciò che dei confini è al di là. Hai paura che l'abbandonarti sul mio corpo ti costringerebbe più di una catena ma ciò che temi realmente è la libertà. Eppure io che ne sono la figlia, ti dico che essa non costringe affatto, la libertà è la scelta di un attimo, è per sua natura un dono, chiunque può coglierlo o lasciarlo quando vuole, è libertà.". Non gli disse che per sua scelta vi aveva rinunciato lei stessa, per seguire il suo principe, perché a nulla sarebbe valso regalargli quell'esperienza e il significato di pieno controllo che c'era in essa, quindi s'inabissò con un ultimo sorriso di scherno.
Da quella notte ne trascorsero molte altre e sempre il pescatore usciva in mare per andare a trovare la sirena. Una notte nuovamente egli le chiese il suo piacere. Lei riprese la sua danza pronta a ridarglielo nuovamente. Ma si accorse che ciò che lui le chiedeva era un surrogato di libertà domata.
"No... non c'è più piacere in questa mia danza ed io non la farò più, la scelta è una soltanto e puoi prenderla solo tu, io la mia l'ho già presa". Dette queste parole di commiato la sirena si voltò ancora una volta e lo lasciò alla catena della sua incapacità a comprendere.
S'avvicinava intanto il tempo dei riti d'estate e tutti i pescatori e le loro mogli, s'affrettavano nei preparativi, era quello un periodo di grande gioia perché tutte le creature di terra e di mare sapevano che ciò che si celebrava era il rito della comunione in cui esseri diversi si ritrovavano nell'equilibrio della vita.
La sirena aspettava quel giorno, perché la melodia che si sprigionava da esso compiva prodigi nel cuore delle creature viventi. Arrivò il solstizio d'estate, aprendosi con un tripudio di colori nell'aria. Le barche dei pescatori lasciate sulla riva, erano adorne di ghirlande ed essi con le loro spose, vestiti di panni in tessuto d'alghe, giocavano nel mare. I pesci guizzavano veloci sull'acqua, gli uccelli in cielo compivano evoluzioni per poi tuffarsi con maestria.
La sirena godeva di ogni creatura convenuta traendo gioia da tutti e ad ognuno donando la propria. Il mare pullulava di vita, solo il pescatore, che aveva lasciato la sua consorte nell'unica dimora della baia dove non era ancora entrata l'estate, si aggirava sulla scogliera. Cautamente, quasi spiando, scrutava il mare in cerca della sirena, infine la vide e si fermò sullo scoglio più basso. Lei nuotava senza scomporre l'acqua, fluida essa stessa, ora in forma di donna, nel mostrare il dorso, ora in forma di pesce nel guizzo della coda. Ammaliato dalla creatura mutevole, l'uomo... s'immerse e le si avvicinò abbracciandola.
Rimasero fino al calar del sole tra tutte le altre creature giocando con gli uni e gli altri, ritrovandosi per la prima volta e poi ancora e ancora, l'uno tra le braccia dell'altra. A lungo durarono i canti, i tuffi, ogni creatura tornando nel grembo liquido che lo aveva generato ritrovava la sua origine comune alle altre, senza gerarchia alcuna, nella reciproca appartenenza. Poi lui compì un piccolo gesto che esplose nel cuore della sirena, estrasse da un sacchettino appeso al suo collo una mora di rovo e staccatone un frammento con un morso, pose il resto tra le labbra di lei. Quella condivisione così minuta le diede un tale sapore di intimità da renderla incapace di cautela. Cominciò a nuotargli intorno con bramosia crescente, ora carezzandolo ora attorcigliandosi a lui, fermandosi immobile per permettergli di indugiare con i polpastrelli sui suoi fianchi mentre la abbracciava. Lui assaporava quel contatto e di quando in quando si soffermava ad osservarla, "Tu riluci sirena" le disse, "È la vita che mi pervade "disse lei, "e tu che mi compiaci del tuo piacere" "Io ti voglio bene sirena, ora lo sento questo bene". Lei s'illuminò e la sua coda fu la via lattea, tutto in lei fu firmamento, "fidati di questo bene allora" ed in un guizzo repentino s'inabissò con lui.
Nel cobalto, l'argento delle lingue d'alga carezzava gli occhi dell'uomo, come un mare nel mare, ed egli contemplò quella vastità che tanto temeva, assaporò nella freschezza dell'acqua il tepore della pelle di lei, restandole avvinghiato. All'improvviso si divincolò da lei con movimenti sgraziati, sconnessi come preso dalla follia, si era ricordato di non poter respirare e questo gli aveva tolto la capacità di farlo sotto al mare. Nuotò verso la superficie e poi senza mai voltarsi fino alla riva, ormai vuota. Solo allora si voltò verso la sirena che lo aveva seguito e lei vide che i suoi occhi erano chiusi. Così tenendoli stretti in una smorfia ostile le urlò la sua rabbia, la rabbia di un uomo che non vuole lasciare la sua schiavitù perché e la sola vita che conosce perché teme tutto ciò che è mutevole. L'accusò d'essere la causa del suo dolore e della sua follia, lei provò a dirgli di non temere ciò che aveva visto ma di accoglierlo per ciò che era, una possibilità concessa in quella sola notte di magia, ma lui le intimò di non parlare più perché ciò che doveva fare era dimenticare per sempre la sua stessa esistenza cancellarne qualunque ricordo.
A queste parole la sirena conobbe un dolore mai provato, perché non le apparteneva e comprese che non poteva farsene carico, lui l'aveva cercata, lui l'aveva voluta, lui le aveva chiesto tutto ciò che lei gli aveva dato, lui era stato incapace di dare alcunché. Come il deserto è inconsapevole della vita che conserva sotto la sabbia così lui era inconsapevole delle sue possibilità. Eppure mentre il deserto accogliendo il mare ritrova la vita nel suo rifiorire lui al contrario ne era stato terrorizzato. Così lo rivide la sirena in quell'istante, come lo aveva visto la prima volta, cupo arrotolato nella tela del suo rimpianto, ragno predatore e prigioniero.
Si allontanò la sirena lasciandolo al suo strazio, la sola cosa che poteva fare per lui era cantare il suo ricordo per non lasciarlo svanire nell'oblio.
"Vento sii ancora messaggero, non posso prescindere la mia natura posso solo sperare di essere capita, di non fare del male nell'essere quella che sono, volevo fargli conoscere il regno del mare... ma il ragno è un predatore immutevole sa ordire e tessere ma non potrà mai nuotare".
Sostanza del Nulla
Quasi neppure pensiero.
Fuggi alla spinta del sangue
al rinascere dal ridere.
Al sorriso pasciuto di un risveglio
che non hai voluto vivere.
All'appartenersi antico
All'antica culla.
Se il male è pari alla distanza dalla mia voce
scorda.
Se l'affanno è pari alla rincorsa del mio slancio
scorda.
Se il piacere è la certezza del mio impossibile oblio
prendilo te ne faccio dono
perché il mio nome è Ricordo.
L'ultimo vento portò queste parole al pescatore che varcata la porta della sua casa la chiuse dietro di sé mentre sulla sabbia la luce della finestra disegnava un inferriata.
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