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La più bella cosa
Cara nonna,
non ti ho mai conosciuta. Sei volata in Cielo poco dopo avere messo alla luce mio padre, e lasciando un vuoto incolmabile nella vita del nonno. Io non ho sentito parlare di te se non raramente; quando chiedevo a mio padre di raccontarmi le poche cose che ricordava.
Me ne parlava con dolore, perché l'averti persa così presto, per lui rappresentava una ferita aperta.
A volte si chiudeva nel silenzio, ed io, lo so, pensava a te così lontana da tutti noi, ma sempre presente nel suo cuore.
Ne sono certa: hai continuato a proteggerlo e a fargli sentire la tua carezza dentro l'anima nei momenti di amarezza.
Sai, mio padre ne ha passate tante, ma se l'è cavata bene. Io gli ho dato un po' di grattacapi. Mi ammalavo spesso da bambina, sta di fatto che avevo sovente la febbre. Il mio primo compleanno l'ho festeggiato (si fa per dire), all'ospedale di Trieste, e per me è stato un evento talmente drammatico che ne conservo persino un vago ricordo. Rivedo ancora la culla dalle sbarre di metallo che mi ospitava, e mia madre attraverso un vetro. Poi l'incubo è finito, ma non appena mi ritornava alla mente quella stanza asettica e priva di colori tremavo. I miei genitori, a turno, mi prendevano in braccio e mi facevano dimenticare. Un giorno mio padre è tornato a casa con un sacco di canapa pieno di giocattoli; aveva "svaligiato" il negozio facendo felice la commessa, perché voleva vedermi sorridere, e, forse, farmi dimenticare quel brutto episodio. Me lo vedo ancora arrivare felice, con il grosso sacco di canapa che certamente aveva il suo peso. La mamma forse, deve avere pensato che papà era il solito esagerato, ma egli, quando si trattava dell'unica figlia, non badava a spese, e avrebbe rinunciato a qualunque cosa pur di strapparmi un sorriso. Voleva vedermi sempre il sorriso sulle labbra, forse perché ha sofferto molto nell'infanzia. Non ha mai pianto in maniera manifesta; gli uomini non dovevano piangere mai: questo era un precetto che veniva inevitabilmente seguito, perché faceva parte dell'educazione arcaica alla quale erano sottoposti i ragazzini della prima metà del secolo scorso: un'ostentazione di forza e di coraggio, anche se rappresentava materia inconsistente, a volte, in certi individui. Si poteva cedere soltanto se non visti, nel silenzio di una camera o in un luogo lontano da occhi indiscreti perché l'essere visti produceva danni alla reputazione. Che assurdità nonna! L'uomo, anche se in un primo tempo cerca di rendere ipogee le proprie sofferenze, fa uno sforzo vano, perché esse poi esplodono negli occhi, rendendo la voce più roca, facendo tremare le mani! È duro per chiunque mantenere intatta, rigida la corazza dell'apparenza di fronte alle funzioni vitali dell'anima! Bisogna avere davvero una grandissima capacità di interpretazione di ruoli che non appartengono, un po' come quando si calca le scene teatrali e si deve interpretare il personaggio assegnato dal regista; senza possibilità di errore nei gesti e nelle battute! Che ingiustizia! Cosa c'è di più bello, di più normale, dell'essere se stessi?
Tuo figlio è ed sempre stato un ottimo padre, il migliore che un figlio possa desiderare pur con i suoi difetti, perché essendogli mancata una madre, voleva a tutti i costi una famiglia nella quale rifugiarsi. E l'ha ottenuta!
Ha incontrato una ragazza allora sedicenne sul lungo mare di Grado un pomeriggio d'estate. Mio padre l'ha vista ed immediatamente se ne è innamorato. Si sono sposati quattro anni dopo. L'anno successivo sono nata io.
Durante l'infanzia ho sempre visto papà custodire gli oggetti ereditati dal nonno e l'unica foto che abbiamo di te, come reliquie che non disseppelliva se non raramente dall'armadio dello studio.
La tua foto me l'ha scansionata mio fratello mesi fa e ce l'ho davanti.
Mi rendo conto che tu non puoi conoscere la parola "scansionare". Ai tuoi tempi esistevano solo le macchine fotografiche dei professionisti di allora, molto ingombranti ma estremamente affascinanti, davanti alle quali si accedeva con il vestito migliore ed in occasioni particolari per imprimere in eterno la propria immagine al fine di donarla ad un parente lontano, ad un fidanzato in guerra, o per lasciarla ai posteri.
Così ora posso vedere come eri, e credo di assomigliarti un poco: negli occhi e nel taglio delle labbra.
Avevi al collo una collana di perle tanto lunga da doverla annodare, e i tuoi capelli neri erano proprio ribelli come lo sono i miei. Tu li pettinavi bene e li raccoglievi alla nuca, io invece li tengo sciolti e liberi di esplodere nei ricci che sono il mio orgoglio.
Se ti parlo in forma di monologo scritto è perché credo che in qualche modo tu legga le parole che voglio dirti dall'unica fonte che le produce: il mio cuore. Sono convinta che ora tu viva in chissà che dimensione, e che dal luogo in cui ti trovi adesso, tu veda l'evolversi dell'esistenza delle persone che derivano dalla tua vita: i tuoi figli, i tuoi nipoti...
Non escludo che un giorno tu mi darai le risposte alle mille domande che riecheggiano da anni nella mia mente, non metto completamente da parte la possibilità d'abbracciarti al termine della mia vita, un po' come si fa con le persone che non si vedono da lunghissimo tempo e che sono state lontane. È una possibilità che considero speranza, una dolce promessa da parte di Chi ci ha creati.
Ovviamente non mi hai conosciuta nel corso della tua vita; sei morta quando mio padre aveva appena tre anni, ma io, al contrario, sapevo di te fin dalla mia infanzia; ho visitato più volte la tomba di famiglia con papà, e mi sono spesso chiesta come fossi stata da viva. Ho costruito la tua immagine nel corso degli anni mediante discorsi captati qua e là, visitando i parenti che ti avevano conosciuta e che ti avevano avuta nel cuore.
Il giovane volto dell'unica immagine che possiedo di te, mi dice che devi essere rimasta nel cuore di molti, che eri allegra e dolce, che sei stata generosa e che avevi una parola buona per tutti. Sbaglio? No, i tuoi occhi buoni non possono mentire e non può mentire nemmeno il grande amore che il nonno nutriva per te, che si è protratto oltre la tua vita. Si era risposato con una donna energica che ha fatto per quel che ha potuto, da madre ai tre figli che hai messo al mondo, ma tu non sei mai stata dimenticata. Ha voluto riposare accanto a te a Caserta, nella tomba di famiglia, perché tu sei stata il suo unico amore nella vita.
Torino, 20/05/2010
È sera, finalmente posso pensare a me stessa. È calato finalmente il silenzio in casa e tutto è avvolto nella penombra. Mio marito questa sera arriverà più tardi, non ho più nulla da fare e finalmente non mi resta che sedermi alla mia scrivania e continuare questa mia lettera a te. Non ho acceso che la lampada sulla mia scrivania e posso mettere su carta i miei pensieri. Ho posto la tua fotografia proprio sotto la luce, in modo da poter cogliere la maggior parte delle espressioni del tuo volto e comprendere tutti i particolari della tua fisionomia. Mi è stato dato di sapere così poco di te che prendo in considerazione ogni minimo particolare, perciò acuisco al massimo l'attenzione su ogni caratteristica che questa immagine palesa ai miei occhi.
Non riesco ad evincere il colore del vestito che indossavi dalla fotografia in bianco e nero, per cui lo posso soltanto immaginare.
Escludo il grigio; nella foto sei così giovane... Rosso forse? Neppure, io credo. Le ragazze di buona famiglia non indossavano mai il quel colore. Se dovessi dare una tonalità a quel vestito, allora io sceglierei il verde, perché si sarebbe intonato alle pupille dei tuoi occhi. Ho gli occhi verdi come lo sono stati i tuoi e, anche se non ho mai visto un tuo sorriso, posso immaginarlo, posso dedurre alcune espressioni del tuo volto, cercare di ricostruirle.
In questa immagine hai un aspetto serio: eri di fronte al fotografo che ti indicava la posa da tenere, e forse non ne potevi più di startene lì irrigidita nella stessa postura per così tanti minuti. Forse eri un po' tesa; ti domandavi come sarebbe venuta alla fine la foto, e la tua bocca aveva assunto una linea incerta, ma le rughe d'espressione appena accennate che noto ai lati della bocca, mi fanno capire che eri adusa ad espressioni di gioia. Lì erano soltanto contenute. Cerco di portarti in vita un istante.
Lo so, non è possibile.
Scrivo a te, consapevole d'instaurare un dialogo irrimediabilmente unilaterale, ma con la speranza che da dovunque tu ti trovi ora, possa leggere dal mio cuore gli slanci d'amore impressi nel profondo della mia anima in maniera indelebile, caparbia.
Scrivo perché il linguaggio della penna è quello che più si avvicina a quello della mia interiorità, anche se non è sempre così facile incarnare nelle parole, le infinte sfumature dei sentimenti: ce ne sono alcuni che non si avvicinano nemmeno lontanamente a nessuno dei linguaggi umani presenti sulla terra, perché troppo articolati, troppo spirituali!
Ho cominciato a scrivere durante la mia adolescenza perché, sono sempre stata dotata di una spiccata fantasia, e nel mio immaginario ero ciò che avrei voluto essere in quel momento. Uscivo vittoriosa da imprese esaltanti e tutti mi ammiravano. Nelle mie fantasie parlavo con le persone che mi ignoravano o che io avevo smesso di salutare, immaginavo di fare dei lunghi viaggi nei luoghi lontani descritti dal libro di geografia con loro, e di parlarci in maniera confidenziale. Il coetaneo che nella vita reale mi disprezzava, all'improvviso faceva comparire nei tratti aspri del suo volto, un sorriso denso di promesse; un sorriso che faceva sciogliere ogni ghiaccio, che demoliva ogni muro, stemperava ogni rancore. Scrivevo, e scrivendo alleviavo la sofferenza del mio vivere alla ricerca di un qualche cosa che potesse piacere a coloro che non riuscivo a conquistare, e che puntualmente non trovavo mai. Ho avuto pochi amici sinceri in quel periodo, ma quelli sono sempre rimasti tali, sono stati punto di riferimento stabile per condividere piccoli e grandi segreti.
Poi il mio scrivere si è trasformato in poesia, e questo è successo quando ho lasciato sorgere dentro di me la rassegnazione, quando ho preso le redini della mia vita ed intrapreso il cammino che più ho sentito mio.
Questo a dispetto di coloro i quali volevano avere voce in capitolo sulle mie scelte senza averne titolo, a dispetto dei pareri negativi di figure amiche satellite che svanivano nel nulla non appena capivano che ero troppo libera per conformarmi alle idee di un gruppo, a dispetto dei consigli dettati dall'invidia che generavano in me un rifiuto radicale, perché cominciavo a prendere piena coscienza di me stessa, delle mie capacità, delle mie potenzialità effettive. Avevo ragione anche se questi mi davano torto... ma infondo che importava? Non mi erano forse sempre stati ostili?
Potevano dire quel che volevano, potevano compiere i gesti più eclatanti di cui erano capaci e di cui non mancavano di dare sfoggio neanche fosse una virtù meritevole di elogio: io avevo preso le mie decisioni, tirato le mie somme, cominciato ad avere i primi riscontri, e, in quel momento così delicato, ho potuto veramente stornare le figure ostili vestite da agnelli, da quelle che valevano davvero, meritevoli quindi del mio affetto.
In mezzo all'inutile quel brusio di pensieri, sempre scrivevo, e ciò depurava la mia anima alla sera da tutte le scorie negative raccolte durante la giornata. Mi aiutava a disancorare i miei pensieri dai fatti avvenuti, e, libera da ogni malinconia, lasciavo vagare la mia penna nelle candide distese dei miei fogli. Continuo a farlo tuttora a 37 anni. Quando ne avevo 20 di meno mi dicevano: - Sposati, metti al mondo dei figli, comincia a lavorare, vedrai che ti passerà ogni fantasia.- Sorrido, cara nonna, ripensando alle parole di chi le ha pronunciate perché mi conosco: anche quando raggiungerò l'età dell'oro, della saggezza, quando avrò conquistato una chioma bianca che non nasconderò mai sotto uno strato di colore artificiale, te lo prometto, sicuramente scriverò ancora.
Scrivere è un impeto dell'anima, che mi scorre come il sangue nelle mie vene. E'un fuoco che non si spegne. Sono sposata, ho una figlia, lavoro... ed ancora, con passione scrivo.
Non mi rimane che raccontarti un po' di me, raccontarti tutto quello che avresti saputo se fossi stata viva sulla terra, e probabilmente al mio fianco, perché ormai non ci sei più da decenni ed io sono nata in un tempo troppo posteriore alla tua morte, dolorosa, pregna di tristezza... lo so.
D'altronde credo che per il nonno sia stato veramente duro l'aver lasciato libero di volare via quell'angelo che eri tu, dopo averti amata così tanto, e non credo di essere lontana dal capire il vuoto, il silenzio dentro di se, uniti comunque alla consapevolezza che questo stato d'animo, nobilissimo, giustissimo, non doveva costituire un ostacolo al continuare a vivere, perché c'erano tre figli da crescere e bisognava lavorare! Ho una profonda ammirazione per il nonno che non si è mai arreso. Non ho conosciuto neppure lui, ma sono fiera d'essergli nipote e per me costituisce un prezioso esempio di comportamento e di forza.
Il mio desiderio di parlarti, non può essere accompagnato dal dolore dell'averti persa; non ti ho mai conosciuta, ma da sempre ho sentito che qualche cosa mi mancava, e ciò ha generato nel tempo una sorta d'amore puro al quale non riesco a dare un movente neppure io stessa. Forse è dovuto al fatto che la tua anima di tanto in tanto sfiora la mia nel sogno...
Sì, ti ho sognata. Passeggiavi lungo un bellissimo viale fiorito, con alcune persone. D'un tratto, vedendo che ti seguivo, ti sei voltata e mi hai invitato a raggiungerti. Io mi affrettavo, ma forze contrarie ci hanno separate e mi sono ritrovata nel mio letto con un forte senso di nostalgia, ma ugualmente felice di averti vista, immersa nella mia estasi d'amore e di serenità.
Questo mi ispiri nonna, questo mi trasmetti al di là del muro del tempo che ci separa e mi sproni in qualche modo a continuare ad amare, ad abbracciare l'Amore Universale a cui tutti consapevolmente o inconsapevolmente, volutamente o meno, apparteniamo, Amore che non è un idealismo, soltanto un concetto, ma una realtà che si tocca quando nella dovuta gradualità si attivano i sensi dello spirito. Cammino nel mondo con gioia, amando la vita profondamente, ma con gli occhi puntati al cielo e conscia pienamente della trilogia della mia sostanza, composta di spirito, anima e corpo.
Se tu fossi stata viva, ti avrei assalita di domande sul tuo passato, e, facendo leva sul fatto che agli anziani piace parlare del proprio trascorso, ma soprattutto di se stessi, mi avresti raccontato il tuo romanzo sicuramente denso di avventure, ed io sarei stata felice di scivolare lungo i sentieri avventurosi del tuo vissuto. Ma forse tu saresti stata come me: anche tu avresti voluto sapere delle mie piccole cose mi avresti fatto mille domande, ed io avrei risposto ad ognuna di esse, anche nel caso in cui tali risposte avrebbero toccato concetti personalissimi difficili da esplicare, perché mi avresti ispirato fiducia. Forse mi avresti accolta nella tua cucina densa di aromi, gli stessi sentori che mi lasciavano incantata quando andavo a fare visita alle zie e che facevano della loro cucina un regno di spezie arcane che producevano alchimie di sapori inimmaginabili, mi avresti svelato qualche segreto di una ricetta di famiglia da trasmettere ai miei figli, e avremmo passato del tempo a riprodurre i capolavori culinari di cui le donne del Sud sono sovrane indiscusse. Io ti immagino con il grembiule bianco da lavoro impastare tagliatelle o sfornare dolci, parlando nel tuo dialetto o cantando melodie antiche che mi avresti trasmesso con amore. Anche io, amando la cucina, ti avrei raccontato delle mie ultime scoperte, o di quelle di amiche che la sanno lunga, e ti avrei chiesto consiglio.
Forse mi avresti mostrato le tue fotografie, forse mi avresti raccontato storie di oggetti chiuse nei tuoi cassetti da anni, mostrato piccoli doni di amiche lontane, o cartoline curiose spedite da luoghi che non avevi mai visitato. Oppure mi avresti mostrato dei ricami nei quali sei riuscita in un modo eccellente copiando da chissà quale disegno trovato in un giornale... e mi avresti condotta nei luoghi più significativi della tua infanzia: la reggia di Caserta, i vicoli della città antica... Mi avresti raccontato piccoli segreti di persone vissute tempo prima e che avevi conosciuto; probabilmente storie di amori, di buffe liti avvenute in famiglie di conoscenti, segreti coperti dalla polvere del tempo, e ci saremmo sedute su una panchina a guardare la gente che passava scambiandoci opinioni e ricordi.
Ogni tanto ti avrei telefonato e chiesto, forse fino ad annoiarti, quando avrei potuto finalmente rivederti: molto probabilmente ti avrei contesa ai miei cugini, e tu avresti dovuto fare diversi viaggi fino a quando la salute ti avrebbe sostenuta, in Friuli o in Emilia Romagna, dove risiedono tuttora i tuoi nipoti con le rispettive famiglie. Avrei voluto volentieri che tu facessi parte della mia vita, che fossi stata presente nei momenti più importanti del mio crescere ed anche in quelli di mio fratello. Avrei depositato nelle tue mani così colme di esperienza e di sapere, i miei piccoli e grandi segreti, le mie delusioni, e mi sarei rifugiata in un tuo abbraccio, qualora queste delusioni fossero diventate un po' troppo dolorose per giacere nel mio solo cuore. Io lo so, con te avrei condiviso molto di me stessa e, se ci fosse stato concesso del tempo, anche pochi anni, avresti avuto un posto speciale nel mio cuore, credimi, davvero speciale, e forse io l'avrei avuto nel tuo. Chissà...
Torino 21/05/2010
Cerco di ricostruire la tua storia, riunendo in un unico puzzle le notizie frammentarie del passato, colte qua e là nel corso della mia vita.
È molto difficile per me che non so nulla della Caserta di allora e che so così poco di te, ricostruire la tua storia d'amore con il nonno. Tento di farlo aiutata dalla mia naturale tendenza ad immaginare. Chissà come vi siete conosciuti...
Forse ti ha notata sul lungo mare di Napoli dove passeggiavi con le tue sorelle la domenica. Il nonno, una volta che t'ha veduta, ha cercato con una scusa per parlarti, e subito si è innamorato di te. Era un uomo alto, molto distinto, e dai modi gentili, uno di quelli che regalavano mazzi di fiori alle donne che intendevano conquistare, capace di serenate al chiaro di luna, ma che a volte s'imbatteva nel mio bisnonno, un omone minaccioso ed estremamente contrariato rispetto al vostro amore, che non esitava a scacciare quel ragazzo alto e magro di nome Francesco, forse addirittura gettando dal balcone un enorme secchio d'acqua gelida del pozzo. Qualcuno m'ha detto questo. Sarà vero? Chissà... Forse chi mi ha raccontato l'aneddoto sopra descritto, era un po' fantasioso (la fantasia è una dote di famiglia!) ed aveva davanti a se una bambina curiosa che voleva sentirla grossa; sta di fatto che m'è rimasto impresso, e che ora non riesco a non vedere idealmente il vicolo della città di Caserta dove esso probabilmente si è svolto; un vicolo stretto illuminato da lampioni a olio e dalla luna.
Il nonno ha pagato dei coetanei che sapevano suonare il mandolino, ed insieme si sono recati all'amato balcone. Una volta sistemati gli strumenti cominciavano a suonare forse una di quelle melodie che hanno fatto la storia dell'Italia e che ci hanno resi famosi nel mondo... ma che evidentemente a tuo padre non piacevano, perché mandava via il tuo innamorato in malo modo...
Forse non ce l'aveva con il nonno, e forse, tutto sommato, quelle canzoni, piacevano molto anche a lui, ma sicuramente non l'ha mai ammesso; forse sbraitava solo perché i padri all'epoca dovevano comportarsi così, perché era la prassi prima delle nozze di ogni coppia nel contesto sociale in cui sei cresciuta tu.
Non visto, quando si trovava solo e poteva abbandonare il cipiglio che probabilmente lo caratterizzava, fischiettava quelle stesse canzoni della serenata perché non riusciva a togliersele dalla mente.
L'allora ragazzo che corteggiava sua figlia, non desisteva, e veniva ogni sera al balcone della sua amata con i suoi compari a cantare con la splendida voce melodie indimenticabili.
Tento d'immaginare tuo padre. Chissà perché, lo vedo alto anche lui, molto più alto rispetto alla media, con i baffi e gli occhiali che gli davano un'aria severa.
Tua madre, mi hanno detto, era una donna bruna, molto bella ed elegante. La moglie di un commerciante non poteva che essere distinta, ma probabilmente dall'aria più dolce di quella di tuo padre, e sicuramente fu la prima a sentire nell'aria l'amore che stava trasformando la tua anima, portato da venti di sogno. Le madri, si sa, intuiscono molte cose al di là dei silenzi dei propri figli.
Partendo da questo presupposto posso dedurre che ella sicuramente potrebbe essere stata la prima a scorgere nei tuoi occhi quella luce meravigliosa che si accende in ogni donna quando sorge un amore, che avvolge l'anima, la cattura irrimediabilmente segnandone il destino, mutandolo come per magia. Fa prendere strade che nemmeno si immaginava. Ogni pensiero converge in un unico punto; l'agire quotidiano viene svolto in maniera distratta, assente, e ogni sensazione è portata all'estremo. Le gioie dell'amore, di certo, giungono facilmente all'apice, divengono ali che fanno raggiungere altitudini che non si era sfiorate mai prima d'allora, ma è certo che basti una piccola delusione a far precipitare l'amante nel baratro: chi tanto ama precipita irreversibilmente da quelle alture nel vuoto di malinconie momentanee, ma che lasciano il segno. L'euforia si dissolve così come era sorta: nella stessa maniera improvvisa, e ci si sente precipitare nell'oblio. Per questo basta una risposta deludente dell'amato, un'attenzione in meno, che l'esaltazione perde repentinamente vigore, ma curiosamente può essere riacquistata in maniera altrettanto imprevedibile; per un fiore lasciato insieme al giornale al mattino in atto di scusa, o per un sorriso. Per questo fiore si ricomincia a sognare. Come sorprende l'amore, nonna! La persona si trasforma, anche se si veste allo stesso modo, anche se compie le stesse faccende quotidiane e qualcuno meno attento crede che sia tutto rimasto immutato in lei. Invece il mutamento nell'anima è avvenuto, ed è stato radicale... irreversibile. Forse sia tu che il nonno avete provato queste sensazioni quando eravate giovani ed appena conosciuti. Forse non ne hai parlato con nessuno in un primo tempo.
Chissà chi è stata la prima donna della tua famiglia ad avere l'esclusiva del tuo meraviglioso segreto... Una delle tue sorelle, oppure soltanto la luna che guardavi alla finestra con il cuore gonfio d'emozione, e carico di nuove consapevolezze? Oppure, come me, confidavi ad un diario ogni tuo turbamento, mescolando lacrime ad inchiostro, e, chiudendo con cura il cassetto a chiave, badavi bene di non essere vista, e ti batteva il cuore ad ogni passo che sentivi provenire dai lunghi corridoi della tua villa?
Tu e tua madre probabilmente non vi siete parlate: preferivi chiuderti nella tua stanza facendo ammenda di quanto era accaduto di nuovo durante quel giorno, delle mille emozioni che tanto ti facevano arrossire... La mia bis nonna, allora, ha carpito le tue emozioni dalle espressioni del tuo volto osservandoti di soppiatto.
Un giorno, forse vedendoti disattenta alle sue parole, ha assunto un'aria inquisitoria. Le prime ammissioni, le mille raccomandazioni. Ti ha parlato con infinito amore ma con autorità, guardandoti negli occhi ed in quel momento non hai potuto non dire una prima piccola grande verità. Tutto il resto l'hai tenuto dentro il tuo cuore, a disposizione dell'unica persona che aveva diritto di mettere a nudo i tuoi sentimenti più intimi: il tuo amato Francesco.
Mi rendo conto che aggiungo ipotesi alle congetture, mi rendo conto che forse sono distante dal vero, ma a quale donna innamorata, in qualunque epoca sia vissuta, non può essere successo questo? Credo che ci sia una grande probabilità che la mia ipotetica descrizione dei fatti sia molto vicina al vero.
Qualcosa mi dice che tu sei stata una persona discreta e molto riservata, ma allegra e molto vivace nel rapportarti con le persone che ti stavano accanto.
Mi piace pensare questo di te: che sei l'angelo che mi sta vicino, che sei partecipe in qualche modo della mia vita. Tento ancora ad immaginare.
Il nonno non si arrendeva. Voleva te come sposa ed avrebbe fatto qualunque cosa pur di trascorrere il resto della propria vita con te. Ormai anche il suo cuore era pervaso da certezze, e un giorno deve avere affrontato tuo padre. È venuto a casa tua una sera con un grande mazzo di rose, ha suonato alla porta con molta titubanza ed ha atteso che qualcuno gli aprisse, poi, una volta entrato, ha chiesto senza esitare di tuo padre dopo averti consegnato quell'enorme mazzo di rose rosse. Tu a quel punto hai capito che il tuo Francesco era deciso, che era pronto a tutto, che era un uomo.
Tuo padre ha celato dietro un fare burbero, il desiderio di parlare direttamente con il ragazzo che si appostava alle finestre con il mandolino insieme a dei coetanei, di vederlo affrontare la sua severità a viso aperto e ha ammirato molto in lui il coraggio di presentarsi direttamente in casa propria nonostante l'ostacolo rappresentato dalla sua persona austera, unitamente ad una schiera di fratelli maggiori, non di certo smilzi, pronti a tutto pur di preservarti da qualsiasi pericolo che minasse la tua virtù.
Mi sembra di vedere il nonno, entrare in casa tua emozionato e composto, percorrere i corridoi di casa tua fino alla sala più accogliente dove si riuniva la famiglia di sera.
A quel punto, tuo padre, deve averlo accolto, fatto accomodare, lasciato parlare abbastanza da farlo "compromettere", impegnare per il resto della sua vita. Una volta appreso che le sue intenzioni erano serie, una volta capito che aveva a che fare con una persona per bene, allora ha preso dall'armadio di legno massiccio, la bottiglia del liquore più pregiata, quella che era riservata agli ospiti e alle grandi occasioni e offerto lui stesso il liquore nei piccoli bicchieri di cristallo: una specie di rito riservato ai soli uomini in quella casa. E, quasi sicuramente, centellinando probabilmente del cognac o del limoncello, deve aver provato una sorta di dolce malinconia, al pensiero di quella figlia che sempre aveva visto come una bambina, se ne stava andando per la sua strada. Certo, era pronta ad affrontare la vita, era stata educata bene, forgiata nell'onestà e nel principio che bisognava compiere sempre il proprio dovere, ma quel ragazzo bruno, l'avrebbe resa felice?
Non lo poteva sapere, e comunque non poteva impedire in eterno che la vita di sua figlia prendesse il suo corso; doveva mettersi da parte dunque, aprire la porta di casa per darle l'accesso ad una nuova vita più matura e consapevole.
Tua madre era con te mentre i due uomini parlavano nell'altra stanza e ti diceva di stare tranquilla, ma tu non riuscivi più a concentrarti sul ricamo. Ti ha imposto di stare seduta come nulla fosse, e ti ha parlato di quando tuo padre ha affrontato lo stesso scoglio di Francesco tanti e tanti anni prima con suo suocero! Ti ha raccontato della loro storia, delle sue emozioni, sfiorando con delicatezza certi argomenti senza però affrontarli direttamente, proprio come si faceva all'epoca, lasciando molto spazio all'immaginazione e rispondendo forse in maniera un po' evasiva alle domande formulate con timore e timidezza. Vi immagino sedute l'una di fronte all'altra, apparentemente rilassate ed a proprio agio, ma ognuna con mille pensieri che attraversavano la vostra mente. I raggi del sole pomeridiano entravano come artigli stanchi dalle grandi finestre; si lasciavano catturare dalle gocce di cristallo dei lampadari e nel loro gelido cuore prendevano vita. Si rifrangevano quindi a raggiera in maniera quasi irreale, sfiorando magicamente gli armadi in legno lucidi di cera profumata, i soprammobili di vetro di Murano, il vassoio d'argento con i due caffè non ancora consumati, posto sul tavolino intarsiato. La lancetta dei secondi dell'orologio appeso al muro che scandiva in modo regolare il tempo: diveniva più lento e rendeva insopportabile l'attesa; vi rendeva sempre meno capaci di fingervi naturali; la corazza si disgregava sotto l'azione di quell'ansia corrosiva ed alla fine entrambe non riuscivate a continuare il ricamo. Sempre più forte si faceva sentire il desiderio di sapere la reazione di tuo padre ed il tuo destino. Ma nessuna di voi osava alzarsi anche se entrambe ne avevate il desiderio: origliare non stava bene!
Poi, finalmente la grande porta dello studio si è aperta, e con tua grande sorpresa sono apparsi nonno Francesco e tuo padre sorridenti. Come in un film hai visto tua madre dargli il benvenuto nella famiglia. Francesco aveva con se un piccolo astuccio con l'anello che tutte le ragazze attendono per anni: quello di fidanzamento. Te l'ha fatto indossare tra l'emozione palpabile di tutti. Ti sono venute le lacrime agli occhi...
Mi sento sciocca mentre rasento la commozione per un qualcosa che sto solo immaginando, per fatti che forse sono accaduti molti anni fa, dei quali non posso essere sicura e dei quali nessuno ormai è più in grado di darmi una conferma, d'esserne testimone. Mi rendo conto che per me sei e sarai un mistero, ma assurdamente, il pensiero di te mi riempie di gioia, perché un qualcosa di arcano al quale non sono mai riuscita a dare una spiegazione, mi dice che vivi in un mondo di luce e che da quel luogo in qualche modo mi proteggi, mi consoli, mi ami, così come può solo fare un angelo. Guardo la tua foto, un ultimo istante prima di spegnere la luce, prima di congedarmi definitivamente da questo giorno, che inesorabilmente scivolerà nell'oceano del passato tra pochi istanti. Guardo i tuoi occhi buoni, liquidi e grandi, i tuoi capelli raccolti in quella pettinatura antica che tanto ti donava, le tue dita sottili dalle quali intravedo un unico anello, la tua figura delicata che trasmette fascino ed eleganza grazie alla linea semplice del vestito... Odio di quella foto i punti d'ombra dalle varie tonalità di grigio che sottraggono al mio sguardo altri particolari che tanto avrei voluto sapere. In quell'immagine c'è tutto ciò che ho di te e avrei voluto che fosse un po' più chiara, che avesse potuto raccontarmi di più, che mi avesse potuto dire altro sulla tua persona. Invece rinchiude molti segreti in se, e ciò il mio cuore lo trova crudele!
Tornami in sogno nonna, scendi ancora dalle colline del Paradiso attraverso quel sentiero di luce, torna a sorridermi con un'espressione di gioia da consegnare alla mia anima, e magari cantami la canzone che forse ti cantava il nonno quando voleva conquistarti per fare di te la sua sposa. Tu vivi nel sole e nelle giornate di sereno penserò che mi verrai ad accarezzare con un tiepido raggio, che sarai presente a darmi un delicato bacio sulla fronte e mi sussurrerai: -Coraggio!- Allora, come nella canzone che ha reso famosa l'Italia nel mondo, "O sole mio", penserò che quella giornata sarà davvero... la più bella cosa.
Che bella cosa na jurnata 'e sole,
N'aria serena doppo a na tempesta!
Pe' ll'aria fresca pare giá na festa,
Che bella cosa na jurnata 'e sole!
Ma n'atu sole
cchiù bello, oje né',
'o sole mio,
sta 'nfronte a te...
'O sole,
'o sole mio,
sta 'nfronte a te...
sta 'nfronte a te!
Lùceno 'e llastre d''a fenesta toja;
na lavannara canta e se ne vanta
e pe' tramente torce, spanne e canta,
lùceno 'e llastre d''a fenesta toja
Ma n'atu sole
cchiù bello, oje né',
[refrain...]
Quanno fa notte e 'o sole se ne scenne,
mme vène quase na malincunia...
sott''a fenesta toja restarría,
quanno fa notte e 'o sole se ne scenne.
Ma n'atu sole
cchiù bello, oje né',
'o sole mio,
sta 'nfronte a te...
'O sole,
'o sole mio,
sta 'nfronte a te...
sta 'nfronte a te!
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