Avevo provato ad essere costantemente felice, come se fosse possibile. L'uomo è un animale dipendente dalle tragedie. Le abbiamo sempre amate, persino l'amarezza di ritrovarsi soli, dopo il tramonto, può essere una droga per noi. Noi romantici quasi del tutto estinti, noi dai destini intrecciati con le sofferenze più delicate. Avevo tramutato le ore in piacevoli e altrettanto sfuggenti secondi, interpretando quel cambiamento come una promessa, un patto solenne con l'anima del mondo. Ma il mondo, troppo spesso, delude le nostre aspettative. Ci lascia abbandonati sulla spiaggia, sporchi di sabbia e pece. Certo, era comunque meraviglioso contemplare l'Oceano delle memorie, era comunque dolce e lo sarebbe stato fino alla nostra morte. Persino l'affaccendarsi dei doveri poteva essere una valida distrazione. Ma prima o poi riesci a portare a termine il lavoro. Spegni il computer, la luce della lampada sulla scrivania, chiudi la porta dell'ufficio e torni a casa. Quando sei lì, tra le mura domestiche, con le voci dei tuoi familiari a tenerti compagnia, puoi fingere di aver lasciato il passato alle spalle. Puoi fingere, ma la verità è sempre più forte e crudele. Ti segue fino al letto, sotto le lenzuola, sopra al cuscino. Chiudere gli occhi è peggio, tutto saetta in un continuo vorticare di ricordi. Si fondono alle visioni, agli incubi, anche e persino al sonno senza sogni. E il mattino dopo ti da il buongiorno, appena apri gli occhi. Ci sarebbe da chiedere: c'è una cura? Un trattamento farmacologico? Beh, si. Ma il trucco più semplice è fare in modo da conviverci fino a farla scomparire tra le docce e i cassetti pieni di calzini spaiati. Far si che quella verità, quell'amarezza, quel continuo scrosciare di immagini sulla tua testa diventi un canto passato. Una melodia che può solo farti sorridere quando l'ascolti. In fondo è tutto lì: accettare che la sofferenza è propria dell'uomo che sa vivere e non solo esistere.