Quando mi accompagno al lavoro, mi guardo, lì riflesso nei finestrini delle automobili. Come quasi fossi sollevato mi ripeto, si si sono ancora io quello lì, poi mi osservo riflesso nelle vetrine dei negozi, e mi ripeto di essere ancora io quello, tutto compiaciuto. Salendo i gradini che portano presso la funzione che dovrò adempiere lo sguardo si fa più cupo, comincia a diventare pesante, come se si rifiutasse di guardare a ciò cui va incontro. Così entrando e togliendomi il giacchetto, io rimango lì, aggrappato, tutto penzolante stringo le cuciture interne e mi stacco da me stesso. Mi osservo dall'interno di quel giacchetto appeso al muro, vedo quel corpo che va da solo, per conto suo tutto fiero, sicuro di se stesso, stringe le mani alle persone con sicurezza. Io lo aspetto lì fino al suo ritorno immerso, mentre gioco e mi diverto a fantasticare sul più e sul meno. Penso a quante cose potrò fare quando avrò riavuto il mio corpo indietro. Poi mi vedo arrivare, scruto quel corpo vuoto che viene a riprendersi il giacchetto, tutto contento stacco le dita dalle cuciture e mi infilo dentro. Per prima cosa mi guardo le mani, e mi dico: "E sì, ora sono io, le sto muovendo io". Indossando quel corpo in modo tale che l'altri non si accorgano che prima fosse inabitato, mi accingo a specchiarmi nelle vetrine dei negozi, tutto eccitato, pronto per ritornare alla vita.