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Giro in bicicletta alla luce lunare

Si voltava ogni tre passi ad osservare le proprie impronte rimaste impresse nell’erba umida, Tullio percorreva a passi rapidi il sentiero che separava casa sua dal capanno degli attrezzi. Aveva bisogno di un cacciavite a stella e di una brugola; il primo per fissare gli attacchi delle scarpette ai pedali, la seconda per regolare l’inclinazione del sellino. La giornata era serena, tra i rami degli abeti filtrava il sole pallido e velato dell’ultimo inverno, mentre il terreno era ancora umidiccio per gli scrosci di pioggia di due sere prima. Tullio aveva con sé le chiavi del capanno, dove suo padre teneva gli attrezzi e pezzi di ricambio di vario genere. Non capiva perché si ostinasse a tenere lì anche l’occorrente per la manutenzione delle biciclette, visto che ogni volta bisognava andare e tornare con la ferraglia necessaria anche solo per gonfiare le ruote. D’altra parte portare lì le biciclette sarebbe stato impossibile, vista la natura sassosa e sconnessa del percorso: avrebbe significato rovinare il telaio, sporcare i copertoni, il deragliatore, la catena.
Tullio aveva ereditato la passione per le biciclette dalla madre, sembra incredibile, ma era così; sua madre era stata una buona ciclista in gioventù, fatto piuttosto inusuale per una ragazza: aveva percorso in lungo e in largo la Brianza e tutta la Lombardia, fino a sconfinare spesso e volentieri in Liguria e Piemonte. Era una pioniera, amava ripetere. Fatto sta che aveva spinto Tullio fin dalla più tenera età alle due ruote, gli aveva trasmesso la voglia di misurarsi più che altro in solitudine con salite e rettilinei, da divorare con la sola forza delle gambe. Tullio aveva iniziato così un duro tirocinio, fatto di allenamenti autoimposti e forzati, con qualsiasi condizione atmosferica. Era una passione, nel vero senso della parola, perché non gli costava sforzo, e anzi era un modo come un altro per sfogarsi.
Ora Tullio aveva la sua bicicletta da corsa, in alluminio, con la focella e altri innesti in carbonio, per lui era il massimo che potesse esserci, non gli importava che fosse stata presa di seconda mano, quello era l’ultimo dei suoi pensieri. L’importante era che fosse lì, a disposizione, pronta per essere usata. Mancavano solo gli attacchi.
La serratura del lucchetto emise un suono rugginoso e stridente non appena scattò, all’interno del capanno un denso strato di polvere copriva ogni superficie, si accatastavano ad ogni angolo scatoloni, fascine di legna marcia, rottami di vario genere, una stufa, uno scaldabagno, un termosifone. Tullio cercò con lo sguardo la cassetta degli attrezzi, che sapeva essere nera con i bordi metallici scoperti, la trovò adagiata sul pavimento, sotto al termosifone, inutilizzata da diverso tempo. Rovistò finchè non trovò quello che cercava, richiuse la porta dietro di sé e intraprese il cammino a ritroso.
Giunto a casa intravide la figura alta ed esile di Mario, un suo caro amico, che gironzolava nei pressi della porta d’ingresso; aveva a tracolla due copertoni che però ad un primo sguardo non sembravano nuovi, masticava nervosamente tabacco e picchiettava con la punta della scarpa i sassi del vialetto d’ingresso. “Mario!” esclamò, era sorpreso e felice di incontrarlo; l’amico sollevò prontamente il capo fino ad incrociare lo sguardo di Tullio: “Tullio, ciao!”, i due si abbracciarono e si salutarono, dopo almeno un paio di mesi che si erano persi di vista.

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2 commenti:

  • Anonimo il 15/02/2008 18:11
    CONSIGLIATA!!! LEGGETELA NE VALE LA PENA!
  • ian romanto il 22/03/2007 18:25
    bella storia ma anche molto triste, andrebbe bene come sceneggiaturo per corto...

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