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Come il Gabbardo. Genesi di un serial killer
Un uomo, dotato di bei lineamenti nonostante la mole ciclopica, attraversa di gran carriera le vie di Savona, camminando con passo pesante. Da ore segue i medesimi itinerari, senza mai alzare gli occhi da terra, in preda a una rabbia sorda. È talmente in crisi da non accorgersi neppure se qualcuno lo saluta, ma non ha una ragione precisa per spiegare la propria furia impotente: si sente solo genericamente insoddisfatto di sé e del mondo.
Da tempo egli vede la propria esistenza sprecata e le sue capacità disconosciute, ma non sa come porvi rimedio. Sente d'odiare l'intera umanità in modo così profondo da star male, ma ignora come incanalare quell'intenso sentimento negativo e si sente pericolosamente vicino a una catastrofica esplosione.
Frattanto transita per l'ennesima volta lungo gli stretti car(r)uggi del nucleo storico, serpeggianti tra i resti delle antiche case torri medioevali. Attraversa quindi le rettilinee strade del centro ottocentesco e gli eleganti portici di Via Paleocapa e di Piazza Mameli, principali arterie cittadine, e procede ancora avanti, imperterrito.
Infine sbatte contro un tizio, talmente distatto da non prestare quasi attenzione all'incidente che pure gli sta facendo perdere l'equilibrio, e si riscuote, sollevando per la prima volta lo sguardo dal marciapiede. L'estraneo, forse quarantenne come lui, occhialuto, assai più basso e snello ma coi capelli altrettanto lunghi, pare incantato da qualcosa all'altro estremo dello spazio aperto da cui il gigante è sbucato. Si volge allora nella direzione verso cui guarda, avvedendosi di trovarsi nella maggiormente moderna Piazza Saffi, uno degli angoli più trafficati della città.
Dapprima non nota nulla di speciale: davanti all'eburneo corpo, massiccio e turrito, della prefettura d'epoca fascista, c'è il medesimo passeggio che si vede dalla sua stessa parte. Poi però s'accorge d'un confuso sbatter d'ali dentro l'enorme rotatoria, sulla superficie erbosa fitta dei palmizi che rendono più noto quel luogo col nomignolo di Piazza delle palme, e resta ammaliato dallo spettacolo.
Dopo essersi freneticamente alzata in volo, in fuga da un aggressore, la massa compatta dei piccioni atterra, infatti, nuovamente nel prato dell'isola spartitraffico. Lo stormo dev'essere formato da almeno un centinaio di esemplari. Un solitario gabbiano di grandi dimensioni, mastodontico, addirittura, torreggia in mezzo a loro, puntandoli. Il predatore ripiega le ali sui fianchi, allunga la testa e si lancia in corsa laddove il mucchio è più fitto. I colombi s'impennano in blocco, sfuggendo anche al nuovo assalto, ma dopo un breve quanto disordinato svolazzare qua e là, ridiscendono per la terza volta sull'erba.
L'elegante gabbiano prende allora a girovagare con aria indifferente, le ali ben strette lungo i fianchi. All'improvviso punta ancora la testa in avanti e si riproietta all'assalto, sempre senza sollevarsi dal terreno. Nel frattempo auto e moto sfrecciano tutt'intorno in ogni direzione, isolando i volatili dal viavai pedonale. E la tragica farsa pare destinata a continuare. Infatti, pochi istanti dopo essersi nuovamente salvati, gli stolidi pennuti tornano a zampettare nel medesimo luogo, indifferenti alle aggressioni nemiche.
Il colosso osserva, incapace di capire. Perché non fuggono dinanzi al predatore? Possibile che siano così stupidi da non rendersi conto di esser vittime d'un attacco potenzialmente mortale? O forse il gabbiano non fa sul serio e si limita a giocare?
Interessato, per i cinque minuti successivi contempla affascinato lo spettacolo del fiero uccello marino che persiste, implacabile, nei propri assalti. La scena gli ricorda un vecchio documentario ambientato nella savana africana, in cui un ghepardo si lanciava all'inseguimento di un branco di gazzelle, inermi dinanzi a lui. Ma quando queste ultime sfuggivano all'attacco, non cercavano poi di trasferirsi in un luogo lontano e sicuro, anziché fermarsi a porgere metaforicamente l'altra guancia? Non se ne rammenta con certezza, ma comunque sia, quel gabbiano, anziché dedicarsi alla caccia in volo come ci sarebbe da aspettarsi, cerca di sorprendere le prede con la rapidità della corsa, proprio come se fosse un feroce ghepardo a caccia di gazzelle.
L'uomo gigantesco, deve misurare sui due metri di statura e pesare almeno centoventi chili, rimane immobile finché il gabbiano killer, anzi, il gabbardo, come gli viene spontaneo chiamarlo, cioè il gabbiano ghepardo, si lancia nell'ennesimo affondo, riportando successo pieno. Viene, infatti, fuori dal groviglio d'ali e penne tenendo trionfalmente un piccione nel becco, proprio quello, così almeno gli pare, che fino a un attimo prima saltellava con maggior alterigia in mezzo al prato. Quindi il cacciatore lo finisce per poi appartarsi tranquillo tra le quattro palme più alte, dove si dedica a divorarlo. E tutte quelle altre miserabili bestie ignorano l'assassino della loro compagna, restandosene stolidamente in attesa di eventuali future aggressioni.
Il colosso allarga allora lo sguardo all'intera piazza, sentendosi rinascere. Giudica l'evento a cui ha assistito un messaggio di Dio rivolto alla sua persona. Il gabbiano, anzi, il gabbardo, primeggia, grande, bello e potente, sull'insignificante e ottusa piccionaia, riducendola a suo pascolo privato. E non è forse anch'egli superiore per dimensioni, bellezza e intelligenza all'anonima folla che lo circonda? Non è forse proprio l'insoddisfazione per la sua indubbia superiorità resa vana dal pressapochismo e dalla corruzione altrui, ad averlo frustrato nel corso degli anni?
Ed ecco tutt'intorno gli inutili omuncoli tanto odiati. Perché dunque non approfittarne? Perché non sfruttarli? Il colossale quarantenne solitario s'immedesima nel gabbardo: questi ha intelligentemente scoperto una nuova e più redditizia maniera per trovare cibo e la sfrutta, indifferente al meschino volgo pennuto a cui è superiore. Analogamente lui troverà una maniera altrettanto redditizia per nutrire il proprio spirito.
Osserva il passeggio cittadino, composto da uomini, donne e bambini d'ogni età, sentendosi a sua volta superiore a chiunque. Ora sa di cos'era in cerca. Proprio come il gabbardo, fiero predatore degli stupidi colombi, inizierà l'attività di predatore d'uomini. Selezionerà le vittime ideali, quelle più belle e altere, e si sfogherà punendole della loro arroganza e vanità, seviziandole fino ad ucciderle e sentendosi allora finalmente bene.
Così l'uomo gabbardo s'incammina sereno, osservando attento e famelico gli uomiccioni, uomini piccioni, alla paziente ricerca della sua prima preda. E quando infine la individua, così attraente, bionda, sicura di sé e provocante, sorride crudele, pregustandone la fine.
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0 recensioni:
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- Il tuo vecchio vocabolario non è stato scritto da un genovese. Pensa che in un libro di ricette ho letto che nel pesto ci andava l'Emmenthal, incredibile! Nessun genovese direbbe mai Carruggi.
Io sono di Sampierdarena.
Shi
- Ah, (Fran)Shiezka: con mia sorpresa ho scoperto che sul mio vecchio vocabolario il termine CARRUGGI c'è (Nei paesi liguri, il nome che si da... eccetera). Ebbene, lì è riportato proprio così, con 2 r e 2 g e quindi a questo punto devo lasciarlo così. Ciao.
- You're welcome
Shiezka
- Ahi, ahi, qualche errore scappa sempre. Ora non ho tempo di cercarlo ma tra qualche giorno rientro su PR, lo trovo e lo correggo, prometto. A parte ciò, spero che il racconto non ti sia dispiaciuto. Ciao e grazie dell'avviso, Franshiezka.
- Però caruggi si scrive con una "r" sola belin
- Come avrete letto questo racconto tratta in breve (1000 parole) il tema dei serial killer. Se foste interessati ad approfondire l'argomento, ricordo che il mio romanzo cartaceo "Capelli - dentro la mente di un serial killer" è ancora reperibile presso i principali siti letterari di vendita come Libreria Universitaria, Mondadori. it, Iol. it o presso il sito dell'editore Rupemutevoleedizioni. it o ordinabile al libraccio e alle librerie Feltrinelli.
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