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Pietro e il mondo
Il pavimento della 4B sembra pulito, ma guardando bene tra le fughe delle piastrelle color crema, si nota ogni genere di schifezza.
I bambini sono seduti in punizione, un triangolo, faccia a faccia, non è la loro aula.
Immagina Paolo, novanta chili a tredici anni, un gigante ebete con la faccia chiazzata di peli di barba e Marina: magrissima e filiforme, un mucchietto d'ossa e denti sparpagliati a caso nella figura elfica e brufolosa bardata da occhiali a lenti come doppi vetri da oblò di sottomarino.
Infine immagina Pietro, più basso della media, con gli occhiali e una spruzzata di capelli dritti color carota, col gel. Ha una faccina bianca e lentigginosa, sempre corrucciata come una prugna secca e non sopporta le punizioni di quell'arrogante della signorina Faedi: l'insegnante di italiano e storia.
La signorina Faedi pare odiarlo, l'ha già sentita più volte, dire ai colleghi: ".. un ragazzo con una marcia in meno", "non si può dire che non si impegni, ma...", "non tutte le ciambelle..." le mani ossute e ingioiellate aggrappate al registro, una falsa espressione di preoccupazione disegnata sul viso, la catenella degli occhiali Chanel che ondeggia.
Lui, invece, capisce molto bene, capisce tutto, solo che non vuole dargliela una soddisfazione a quel mondo di giudici.
Stringe la stagnola nel pugno chiude fino a renderla un sassolino minuscolo e durissimo, pensa di scaldarla col fuoco, una brace, che è la sua rabbia e di scagliarla a velocità supersonica tra le sopracciglia della Faedi.
Un tonfo, una nuvola rossa di sangue vaporizzato nell'aria e sul piano in formica della cattedra e Pietro vede la luce dal foro che attraversa il cranio della prof.
Paolo, enorme sulla piccola sedia, si lagna, insopportabile e mostruoso e Marina fissa uno spigolo del muro, dondolandosi emette schiocchi con la lingua contro il palato, a ritmo, potrebbe far così le ore. Loro si, che sono ritardati veri, lui che cazzo ci fa in quella stanzetta? Chiuso a respirare la candeggina che esala dalla formica?
La carta fisica e politica dell'Europa sparisce piano, il taglio di luce solare si abbassa, han voluto togliergli l'orologio, non vogliono neppure che sappiano che ore sono.
Una punizione solo sua, in fin dei conti: averlo pubblicamente associato ai due compagni, un'operazione di pazienza e gradualità, da inizio anno.
Capisce ora il disegno completo: annoverarlo tra i diversi, renderlo buffo poi strano un'antipatia personale, mentre lui, a casa, prende sberle dalla madre per i voti e occhiate di disprezzo dal padre, medico legale e accademico.
I suoi ci han messo poco, a credere alla Faedi, alle sue diagnosi definitive da insegnante frustrata di provincia.
Ora guardate i pugni di Marco: le nocche esangui, tese e bianche. Quanta forza può avere un corpo di tredici anni? La pallina argentata è sparita, assorbita dalla forza del suo pugno.
Guardate Pietro, piegato in avanti, i gomiti che spingono sulle ginocchia e i piedi perfettamente appoggiati al pavimento. Osservatelo mentre sente il suo peso aumentare, crepare le piastrelle, affondare nel cemento.
Perché non li vengono a chiamare? Saran lì da tre ore, ormai.
- mi scappa, mi scappa, mi scappa, mi scappa...! -
Piagnucola Paolo, la voce inquietante da mezz'uomo, potrebbe bagnarsi da un momento all'altro, Pietro sa di non poter sopportare oltre.
Marina invece, non emette più suoni, la velocità delle oscillazioni è al massimo e la bocca le si dev'essere bloccata a forza di schioccare la lingua: potrebbe soffocarsi se qualcuno non la ferma, è cianotica.
Oppure potrebbe continuare a oscillare sulla sedia in legno laccato, per sempre, fino a perdere sangue dal sedere.
Provare disprezzo per i due compagni, nessuna compassione e sentire una furia infinita per esser stato sbattuto in quel circo di fenomeni ed esserci entrato, senza far nulla, senza mordere, scalciare, senza piantarsi sulla porta dell'Aula 1.
Pietro osserva la scena come dall'alto, separato e appoggiato al soffitto.
Vede le tre sedie con Paolo, che sembra un continente tipo la Russia e la pozza di urina giallastra che si spande sul pavimento in modo irregolare, tagliando le fughe sui due lati, per poi invadere ogni singolo rettangolo di ceramica.
Accanto vede Marina: un puntino di elettrocardiogramma impazzito, infine Pietro vede sé stesso, piantato nella penombra dell'aula.
Inizia a sentire l'irrealtà del posto, si sente disperso, interno e spezzettato.
Senti che urlo gli arriva da dentro, esce quasi senza che sforzo, ed esce così:
- Io- Non- Devo- Stare- Quiiiii! -
Un colpo di reni, una frustata e Pietro si alza dalla sedia come un gatto, ha gli occhi fuori dalla testa, i pugni stretti e la braccia piantate lungo il corpo.
Guardalo compiere dei giri concentrici intorno alle sedie dei due compagni, evitare la pozza di urina di Paolo che ormai occupa una mezza stanza.
Osservalo fare dei giri, sempre più stretti, come uno squalo attorno alla zattera dei superstiti.
Pietro sta girando attorno ad un punto: un brick di succo alla pera vuoto, appoggiato sul pavimento.
Continua a girare, coi muscoli delle cosce testi sotto la tuta e inclinati nello sforzo di torsione laterale, fino al dolore.
Un attimo e i piedi si staccano simultanei dal suolo, si accostano in aria, le braccia alzate verso l'alto per la massima elevazione e la testa in basso, puntata al brick, al centro fin dentro di quella merda di brick.
è un senza tempo, sospeso, il punto zero che precede la chiamata della gravità, il blocco prima della discesa accelerata dalla spinta simultanea delle gambe giù verso il basso, linea perfetta.
Qualcuno armeggia con la maniglia della porta, su e giù, uno scatto, scrollano, stanno per per aprire, entrano ora.
Pietro pesta con tutte le forze il brick di succo alla pera posizionato al centro dell'Aula 1, contro il pavimento, il boato, che inizia ora:
E in quell'istante, il mondo
finisce.
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