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La gita
Volevo raggiungere l'Africa per mare, nonostante i reiterati tentativi di persuasione che, subdoli come comizi alla vigilia delle elezioni, si infiltravano a mia insaputa e decisamente contro la mia volontà, nella calma delle mie riflessioni mattutine e la perturbavano, inondandole di farneticazioni sui benefici della velocità e della fretta per l'opportunità che esse offrono di cogliere tutte le occasioni.. al volo.
i tentativi più perniciosi giungono via etere, si presentano camuffati da savi consigli, addolciti da sorrisi bonari, denotando la presenza di mandanti dotati di una certa qual intelligenza quasi pari a quella di un buon commesso viaggiatore che ama il suo lavoro, ma senza la sua facondia... così che appena svegli, quando la mente è ancora rugiadosa e purificata nel riposo notturno da tutte le scorie accumulatesi, si può facilmente argomentare sulle loro false profezie.
La fretta è cattiva consigliera, fa male alla salute, fa nascere gattini ciechi, è associata analogicamente alla furia, che non ha mai dato buoni frutti e deforma il tempo e lo spazio ben più drammaticamente delle equazioni di Einstein.. il che non mi pare una buona cosa se uno, appena appena, vuol essere riflessivo e ragionevole, evitando bestialità e spropositi.
Dunque decisi per il mare, poiché il treno non vi arriva, né l'auto ha capacità anfibie, o almeno non me ne hanno informato.
Tirai un sospiro di sollievo, fantasticando le belle e argute argomentazioni che avrei spiaccicate sulla faccia dei seguaci della setta: "Mordi e fuggi, e torna presto" e mi sentii straordinariamente calma e decisa e forte come i leoni che avrei sicuramente incontrati.
nessuno avrebbe potuto distogliermi dalla decisione presa nella calma pigra del risveglio, quando il senso del tempo è ancora in sospensione e l'avvenire ancora da decidere, nemmeno la sferza dolorosa e asprigna di un figlio degenere di madre natura che mi sta dinanzi travestito da pragmatico consigliere turistico in giacca e cravatta grigi, camicia bianca a righine, occhiali montati in simil oro e faccia pallida come la cera di una candela nuova.
lo avrei trasferito volentieri nella banca a fianco, ma lui continua ad elencarmi una sfilza di orari, di voli in partenza da Roma, di costi occasione al limite del dubbio sulla salute mentale delle compagnie.. parla a raffica solo alzando gli occhietti miopi, a tratti, come per cogliere sulla mia faccia un guizzo d'approvazione che non c'è, poiché una simile litania mi confonde, mi irrita, mi corruga le sopracciglia al centro, mi fa venir le zampe di gallina, mi storce la bocca di lato... mi sembra di esser finita nel gioco delle parole incastrate, dove da una sequenza demenziale di lettere LIAGBRUURZZIOA devi isolarne una, trovare quella di senso compiuto e ritrovarsi davanti, alla fine di un tal spreco di energia, il nome di un compositore del '700 che sicuramente non avrà commesso alcun peccato tanto grave... da farlo finire in un garbuglio simile. Ma neanch'io ho commesso alcuna colpa tanto grave, né ho architettato crimini, non ho indugiato in scelleratezze e non son caduta nemmeno nel vizio, se si escludono le sigarette; nulla può avermi precipitata in questa trappola se non un surplus di smania, un'eccedenza di bramosia, una sovrabbondanza di impazienza di prendere un indimenticabile bagno di sabbia sahariana, ma ciò non mi par certo una colpa, piuttosto un eccesso di zelo nell'assecondare un pio, remoto desiderio che rifiuta ostinatamente le reiterate offerte d'oblio che mi prodigo assiduamente di procurargli, proprio per evitare d'esser precipitati in accidenti del genere.
Non voglio partire di notte, come un fuggiasco, è troppo buio, ho troppo sonno, dimenticherei a casa la maggior parte delle cose utili e porterei con me la maggior parte di quelle inutili, perché la notte porta consiglio, ma solo se la testa è sul luogo appropriato, ossia sul cuscino, e sarebbe alquanto malagevole prepararsi convenientemente a una partenza intercontinentale mantenendo una comoda e doverosa posizione di riposo, ciò annullerebbe del tutto gli effetti voluti, anzi li capovolgerebbe.
Non voglio partire da Roma, fa troppo Giulio Cesare alla conquista di nuove terre da assoggettare, e poi non mi è familiare, correrei il rischio di scambiarla per il punto d'arrivo invece che per quello d'inizio, concluderei la mia gita senza averla neppure iniziata, non ricorderei nulla di significativo e rischierei di portare, quale souvenir a imperitura ostentazione del cattivo gusto turistico, un inesorabile colosseo da tavolo, il che, a pensarci bene, non è molto peggio di una piramide di plastica da passeggio tappezzata di ibis neri, mummie millenarie spiaccicate di lato e occhi paradossali.
No, non porterò nulla di simile, mi limiterò a riempirmi le tasche d'un po' di sabbia e qualche sassolino, durante la passeggiata tra le dune, magari troverò la rosa del deserto, raccoglierò un pelo di cammello che offrirò agli inguaribili scettici insieme a una tazza di tè beduino (per intenderci, quello preparato con la pipì della suddetta bestia).
Tutte queste cose dovrei spiegare al venditore di paradisi tropicali, che ha dato fondo a tutta la sua depliantistica cultura pur di trovare un intruglio volo-pernottamento -colazione -mare -sole adatto a me, ma forse farebbe meglio a cercar di trovare una me adatta all'intruglio, poiché io vorrei un elementare traversata -approdo -mare -pranzo -sabbia -cammello.
Potrei anche saltare il pranzo, ma la sabbia e il cammello no.
Alla fine riusciamo a scovare, nell'intricata matassa dei nostri disaccordi, giusto al centro di una biforcazione di opinioni tenaci come catechismi e che pareva, ormai, aver provocato uno squarcio irreparabile per il nostro negoziato facendolo, secondo me, naufragare, secondo lui precipitare, un barlume di speranza.
Niente più che una scintilla, ma che dico, una scheggia di negoziazione, tuttavia sufficiente a ravvivare i nostri incocciati e incrociati miraggi.
Ed ecco, in breve, la conclusione alla quale giungemmo, che fu definitiva e senza possibilità di appello.
L'imbonitore di paradisi con la faccia da bancario mi promise, entro ventitré ore, poiché la ventiquattresima gli sarebbe servita come ricreazione, di mandarmi al paese dei miei desideri in ottemperanza a tutte le mie aspettative, non ultima quella relativa ai cammelli senza la quale, è ovvio, non sarei andata da nessuna parte.
Io, invece, promisi di pagarlo in contanti, perché potesse finalmente andare a farsi una lampada, far felice il suo barbiere lasciandovi il suo muso pallido in cambio di uno più gagliardo, e somigliare a uno capace di organizzare i viaggi di Gulliver.
Così rimanemmo.
Allo scadere della ventitreesima ora, mi ripresentai, ovviamente senza un soldo in tasca, non essendo riuscita a capacitarmi, nell'intervallo, di come potesse egli emergere illeso dai pacchetti turistici e produrre il prodotto desiderato.
In tutto uguale al giorno prima, solo più incacchiato, esordì dicendo che... per andare a quel paese, dove io volevo andare, e nel modo in cui volevo andarci, l'unica soluzione era una gita fuori porta, con escursione suburbana e colazione a mappatella.
Era un modo sicuro e rapido per trovarsi tra la rena, raccogliere le pietre, senza alzarsi in volo e senza partire da Roma, e per il cammello non v'è problema, visto che ne prenderò solo un pelo, un crine di somaro andrà benissimo.
Risposi che a quel paese c'erano stati molti suoi colleghi, e tutti ne dicevano un gran bene, tanto che volentieri gli avrei ceduto il posto mio, perché lui lo visitasse.
Io avrei rinunciato alla mia sabbia, al mio sole e anche al mio cammello, non sarei andata in Africa, per questa volta.
E non vi andai.
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2 recensioni:
- grazie Caterina
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