La Punta Mezzaluna si accende di piccole luci bianche.
Accucciato intorno alle reti, i piedi neri di terra, un pescatore di legno cuce le maglie scappate. Punta gli occhietti piccoli sulla densità marina in cerca di un pezzo di Luna.
Volge lo suardo: l'immobilità di quel viso lascia trasparire vibrazioni di invisibili muscoli intorno alle labbra:si aprono in un sorriso stanco. Due grandi gabbiani alti più di un metro e mezzo l'osservano fermi davanti a lui:le loro ali tremano appena, le piume impastate di fango bagnato.
Lo scirocco con dolcezza spietata secca il fango, immobilizza i loro becchi appesantiti.
Presto non saranno che due statue di argilla, solo gli occhi girano impazziti di paura mentre la morsa si fa più stretta. Con forza disperata cercano di staccare le loro zampe palmate appiccicate al terreno, pensano alla luce accecante del sole pomeridiano li aveva attirati nelle grandi stelle azzurre disegnate nel ventre del mare.
Si erano calati sicuri in quelle secche colorate in cerca di pesci verdi e conchiglie rosa, ma si erano trovati improvvisamente immersi nella fanghiglia di una palude fetida di erbe fradice e carogne di volatili.
Ora imprigionati nella crosta aspettano che le mani del pescatore cessino di rincorrere i fili e scalzino con forza il fango rinsecchito.
Nell'aria notturna si sentono piccoli rumori di gusci che cadono sotto i colpi secchi di un martello. Come usciti da una gabbia di argilla ridotta ormai in frammenti, liberi nel piumaggio morbido, i due gabbiani volano stretti nei becchi.
Il pescatore col la mano spinge pezzi di quei gusci in mare.