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Come un ancora
Il panorama che si dispiegava gentilmente davanti al suo sguardo prometteva vita e speranza. I raggi del sole riverberavano sul verde vivido del prato inglese rendendolo quasi abbagliante. Gli alberi erano ricoperti di germogli pronti a dischiudersi per rivestire i rami spogli di delicati fiorellini tinti di tenui pastelli. L'intera natura era un caleidoscopio di colori cangianti che variavano e mutavano seguendo l'umore del cielo. Emma era rapita da quello spettacolo che si rinnovava puntualmente ogni stagione non arrendendosi mai rigenerandosi continuamente in maniera caparbia, tenace. A quel pensiero le si strinse il cuore e dovette fare violenza su se stessa per reprimere il pianto che stava per assalirla. Strinse gli occhi in un momento di raccoglimento per riacquistare padronanza delle sue emozioni e non essere sopraffatta dal sentimento di sconfitta che la tormentavano. Tirò un sospiro profondo colmo d'angoscia, scosse impercettibilmente il capo per cacciarli via e tornò a sedersi accanto al letto di Sally.
Trascinò la poltroncina più vicina possibile al fianco del letto compiendo una manovra complicata dato che doveva destreggiarsi tra fili e macchinari facendo attenzione di non urtare nulla. Prese la mano di Sally e ricominciò a parlare con lei. Le raccontava per filo e per segno tutto quello che accadeva nel mondo parallelo al suo coma. La rendeva partecipe di ogni genere di notizia tenendola aggiornata. Le leggeva il quotidiano, si sfogava delle sue grane lavorative, le riferiva delle tresche che si formavano tra infermiere e dottori nonché dei pettegolezzi che giravano tra la loro cerchia di amici e conoscenti. Ascoltavano i loro CD preferiti. Le stava leggendo il romanzo di Dickens, "Il Circolo Pickwick" che Sally definiva il libro più divertente che avesse mai letto. Emma aveva trascorso ogni attimo libero delle sue giornate in ospedale accanto alla sua migliore amica. Aveva persino chiesto al suo datore di lavoro di anticipare le sue ferie estive per stare vicina a lei.
"Sally, t'informo che è primavera. L'ultimo mucchietto di neve si è sciolto e sta spuntando l'erba nuova. È così fresca e tenera che se la sfiori con il palmo della mano sembra seta," descrivendolo Emma le sfiorò dolcemente il palmo della mano con i polpastrelli, "il cielo è di un azzurro intenso come quello della costa Amalfitana quando siamo andate in Italia, te lo ricordi? Il sole splende che è una meraviglia e il suo tepore ti avvolge, sta finalmente scacciando il freddo invernale. Devi proprio aprire gli occhi e vedere da te, ne rimarresti affascinata. Dai amica mia svegliati, guardami, parlami. Senti! Parliamoci chiaro! Non ti permetterò di sprecare altro tempo prezioso chiusa qui dentro. Tra l'altro è anche il mio tempo prezioso! OH! Cosa c'è? Sono stata insensibile? Ti ho urtato i sentimenti? Peggio per te! Ora cambiando discorso, forse te l'ho già accennato, anzi sicuramente te l'ho già detto... per forza! Parlo solo io, tu non collabori. Sono costretta a parlare a ruota libera... In ogni modo a luglio andiamo in campeggio a Thunder Bay vicino le cascate di Kakebeka e ci sarai anche tu e non transigo. Si mia cara, hai sentito bene. Lo so che mi puoi sentire perché il tuo cervello in 'coma' lavora meglio del mio da sveglia. Ti è piaciuta questa battuta vero? Scommetto che stai ridendo e avresti anche voglia di darmi ragione. Beh, fallo! Dai dimmelo che sei più intelligente di me. Aspetta, cos'era quella una smorfia? Ti ho rotto le scatole, sei stufa di sentire la mia voce?" Emma fece spalluccia e si riadagiò allo schienale della poltrona, "allora parla tu e dimmi di lasciarti in pace, di togliermi dai piedi. Non aspetto altro!"
Per un mese intero Emma era andata avanti così senza demordere. Parlando, leggendo e canticchiando sempre sforzandosi di trasmettere sensazioni positive benché avesse un peso opprimente sul cuore e temesse che Sally avesse scelto di rimanere in quello stato di oblio per rifugiarsi dai dolori della vita esterna. Una vita che l'aveva bastonata nell'anima e nella carne. Emma era angosciata dai sensi di colpa perché sentiva di non essere stata in grado di proteggerla. Nella sua mente si era persuasa di avere fallito il suo compito di migliore amica.
TRE ANNI PRIMA
Il locale all'angolo di Upper-Wentworth e Sherwood Street era affollato di studenti come di consueto. Dopo la scuola era il loro ritrovo preferito. Il 'Valentino Cafè' era il nucleo della vita sociale degli studenti. Era lì che si piantavano e poi germogliavano i semi delle nuove amicizie e dei nuovi amori e serpeggiavano i pettegolezzi più succosi. Ogni avventore che vi metteva piede nell'ora di maggiore affluenza era risucchiato in un turbinio di cicaleccio e gaiezza giovane e spensierata. L'arredamento in stile vecchia napoli creava un'atmosfera familiare e accogliente. L'enorme vetrata che dava sulla strada trafficata e sul marciapiede intasato di gente era come un pittoresco murales in movimento che cambiava colori in base alla stagione. L'inverno era quasi monocromatico, un semplice schizzo a carboncino su una tela bianca. Era come guardare un suggestivo film in bianco e nero. Poi con l'arrivo dell'estate si trasformava dando l'impressione che qualcuno avesse inondato quel quadro con secchiate di colore.
Emma e Sally amavano sedersi al tavolo centrale addossato alla grande vetrata perciò quando Emma scorse che era libero si affrettò a occuparlo e ordinò un cappuccino mentre aspettava l'amica.
"Allora com'è stato il primo giorno da universitaria?" indagò Emma osservando Sally che si era appena accomodata di fronte a lei sbuffando affannata. Stava tentando goffamente di trovare una sistemazione per la montagna di libri e raccoglitori che aveva portato con sé. Intanto Emma stava lottando per trattenere la risata che aveva in gola.
"Wow! Ti hanno dato un sacco di compiti il primo giorno di scuola"!
"Diciamo che questo non è uno di quei giorni che vorrò ricordare fra quarant'anni per raccontarlo ai miei nipoti," replicò l'altra con un filo d'imbarazzo.
"Fammi indovinare... ti sei persa?"
"Esattamente come avevi predetto! Grazie mille uccellaccio di sventura!" controbatté Sally stizzita.
Emma sbottò a ridere, "ma come?" sostenne divertita, "in mezzo a tutto quell'armamentario che ti sei portata dietro, non mi sorprenderei se spuntasse fuori il lavandino di casa e non c'è una bussola e una piantina dell'università? Che sprovveduta!"
"Ma guarda da che pulpito!" esclamò Sally, "sta parlando la donna pipistrello, tu hai un senso dell'orientamento così spiccato che ti perdi su una mattonella!"
"È verissimo... ma la differenza è che tra le due sei tu il genio, io sono quella ottusa, ergo, giustificata."
Sally riconobbe la provocazione e non cedette, si limitò a lanciare all'altra un'occhiata in tralice, anche perché nel frattempo era ancora alle prese con libri, quaderni e raccoglitori che si rifiutavano di restare impilati ordinatamente sul tavolo cadendo continuamente a terra.
"Ma davvero credevi che ti sarebbe servita tutta quella roba dal primo giorno?" insistette Emma prendendola in giro.
"Secondo me è stata previdente," intervenne una voce maschile calda e suadente. In piedi accanto al loro tavolo se era materializzato un dio greco. Alto, moro con occhi verdi incorniciati da lunghe e folte ciglia nere. Aveva in mano uno dei libri di Sally che erano caduti e con una galanteria d'altri tempi glielo stava porgendo.
Lui rimase diversi minuti con il braccio disteso tendendogli il libro mentre Sally lo fissava imbambolata. Emma attese discretamente qualche secondo sperando che l'amica venisse fuori dallo stato ipnotico in cui era caduta e reagisse, ma si rese conto che quel fermo immagine stava durando troppo e temendo che il braccio di quel poverino si slogasse dalla spalla si sentì in dovere di intervenire.
"Chiedo scusa se mi permetto, a quanto pare la mia amica sta avendo un'embolia. Appena si riprenderà sono sicura che esprimerà la sua gratitudine per la tua gentilezza e scoprirai che è una ragazza molto educata e simpatica oltre che indiscutibilmente carina."
Il ragazzo annuì sorridendo senza distogliere gli occhi dal viso di Sally. Lei invece ebbe un sussulto e girò il capo di scatto verso Emma lanciandole due stilettate con lo sguardo. Prese bruscamente il libro dalle mani del ragazzo e rossa come un papavero cominciò a balbettare dei ringraziamenti. Emma affondò il viso nelle mani e scosse il capo sconsolata. Sally era un caso disperato. Sin dai tempi dell'asilo era sempre stata un'autentica frana con i ragazzi.
Era proprio all'asilo che si erano conosciute ed era stata amicizia a prima vista, infatti da subito erano diventate inseparabili. Emma era figlia unica e Sally divenne la sorella che non aveva mai avuto. Sally d'altro canto veniva da una famiglia numerosa e per giunta disastrata, composta da sei figli, un padre camionista perennemente assente e una madre attaccata alla bottiglia. Sally era la maggiore e badava ai fratelli più piccoli quando la madre era troppo sbronza per farlo, in altre parole, quasi sempre. Anche i genitori di Emma erano molto affezionati a Sally. In più di un'occasione avevano persino proposto delicatamente la volontà di aiutare la madre a curare la sua dipendenza, ma la donna aveva respinto orgogliosamente il loro interesse negando con forza il suo problema.
Nonostante il contesto difficile in cui era cresciuta Sally era riuscita a studiare con profitto ed essere accettata alla facoltà di medicina. Seguiva i fratelli e li accudiva come una chioccia. Lavorava mezza giornata per pagarsi la retta universitaria e studiava. Faceva tutto questo con risolutezza e stoicità senza mai un lamento, conservando la sua natura dolce e umile rendendosi ancora più cara ad Emma e i suoi genitori.
"Oggi ci siamo incrociati talmente spesso che ormai possiamo dire di essere buoni conoscenti, mancano solo le presentazioni," affermò il ragazzo in tono allegro, "io mi chiamo Sam, diminutivo di Salvatore, sono di origine Italiana."
"Non mi dire," esclamò Emma, "anche i miei antenati erano del vecchio continente. Da quale parte dello stivale?"
"I miei nonni erano di Salerno."
"I miei sono Abruzzesi. Comunque io sono Emma, diminutivo di Emma, invece la bella biondina che non favella si chiama Sally," disse sfoderando un sorriso complice all'amica che era sempre più imbarazzata. Ignorandola Emma gettò un'occhiata al suo orologio da polso e scattò su allarmata, "non ci posso credere," proruppe in maniera eccessivamente teatrale, "ho dimenticato un appuntamento. Io dovrei essere da un'altra parte!" Alzandosi in tutta fretta raccolse le sue cose blaterando scuse e giustificazioni e probabili conseguenza di quell'incresciosa dimenticanza.
"Mi dispiace tanto Sal, ti ho dato appuntamento qui e adesso ti devo lasciare."
Intanto l'altra la osservava con un espressione che era un misto di panico e voglia di strangolarla, ma lei imperterrita non si fece intimidire da quello sguardo supplichevole/minaccioso e si rivolse a Sam come se fosse stata improvvisamente folgorata da una brillante soluzione.
"Sam! Se non hai impegni particolari perché non resti tu a prendere qualcosa con Sally, magari puoi aiutare questa povera matricola sperduta ad orientarsi sul campus." Poi, attuando la sua uscita strategica fece l'occhiolino all'amica, consapevole della filippica che la aspettava in seguito.
Emma era seduta alla sua scrivania nell'angusto cubicolo che le avevano assegnato negli uffici della casa editrice dove lavorava mezza giornata. Aveva davanti a se il manoscritto di un romanzo ambientato durante la guerra di secessione americana. La sua mansione consisteva nel fare ricerche per controllare che date, luoghi e nomi storici fossero corretti. Benché fosse appassionata di letteratura, quel giorno non riusciva a concentrarsi. Stava cercando di stabilire il motivo della sua abulia. Poteva dipendere dalla giornata uggiosa che provocava sonnolenza ma più probabilmente, si disse con una smorfia, dipendeva dal fatto che quel libro era un vero mattone. L'editore l'aveva decretato un best-seller alla stregua di Via col Vento. Secondo lei le uniche due copie che si sarebbero vendute sarebbero servite come ferma porta quando tirava il vento, quella dell'editore e quella del suo vice.
Ormai totalmente abbandonata a quell'indolenza, con i gomiti puntellati sulla scrivania e il viso adagiato tra le mani, la sua mente iniziò a vagare oltre i divisori in cartongesso del suo cubicolo e oltre le mura dell'edificio. Le apparve l'immagine raggiante di Sally innamorata persa. Non aveva mai visto la sua migliore amica tanto felice e non poteva fare a meno di lasciarsi trasportare dalla felicità dell'altra. Lei e Sam erano una bellissima coppia che sembrava perfetta. Sembrava. Come mai le era scappato quel 'sembrava'? Il sorriso di Emma si spense lentamente. Fece un sospiro profondo corrugando la fronte. L'iniziale opinione entusiasta che si era fatta di Sam nel tempo si stava ridimensionando. Emma aveva notato dei tratti nella personalità di lui che la turbavano ma non aveva il cuore di rivelare a Sally le sue perplessità per timore di spezzare l'incantesimo che stava vivendo la sua amica, e dio solo sapeva quanto bisogno avesse di un po' di felicità. Ogni volta Emma finiva per rimproverarsi dicendosi che stava esagerando, eppure non poteva ignorare episodi che apparentemente erano insignificanti ma che le lasciavano in bocca un retrogusto spiacevole.
Uno di quei episodi era accaduto proprio una settimana prima. Sam stava accompagnando Sally a casa con la macchina e si offri, con mal celata insofferenza, di dare un passaggio anche ad Emma. Il clima era comunque allegro tra le ragazze dato che Sally aveva superato un esame di anatomia piuttosto difficile. Emma dal sedile posteriore snocciolava una battuta dopo l'altra che Sally accoglieva con scrosci di risate, Sam invece accennava a malapena qualche sorriso forzato mentre dallo specchietto retrovisore lanciava ad Emma occhiate gelide. Emma ebbe una sensazione di sollievo quando finalmente erano arrivati davanti casa sua. Prima di scendere dalla macchina si sporse in avanti affacciandosi tra i due sedili anteriori e riferì un'ultima spiritosaggine alla quale entrambi le ragazze scoppiarono a ridere. Improvvisamente, come dal nulla, Sam le diede uno schiaffo e le disse di "finirla di fare la stupida". Nell'abitacolo calò un silenzio tombale. Emma rimase di ghiaccio e ci impiegò qualche secondo per riprendersi dallo sgomento e reagire a quell'affronto con uno schiaffo altrettanto inaspettato e sonoro. Con le guance in fiamme lo fissò negli occhi e a denti stretti e la voce vibrante di indignazione lo ammonì
"Se ti sei permesso adesso, non ti permettere mai più di alzare un solo dito su di me, neanche per scherzo!" dopo essere scesa dalla macchina aggiunse, "questo vale anche per lei... neanche per scherzo, altrimenti te la vedi con me e i miei genitori!"
"Mamma mia quanto sei permalosa," replicò lui in un tono beffardo minimizzando l'accaduto, "non voleva significare nulla, stavo solo giocando, vero Sally?"
Ma Sally era rimasta ammutolita.
La giornata era variabile. Le nuvole rotolavano via velocemente creando figure e forme diverse senza sosta che stimolavano la fantasia. Un venticello sostenuto le sospingeva e a tratti nascondevano il sole impedendo al suo tepore di raggiungere Emma che era seduta su una panchina al centro del parco che circondava il campus universitario. Stava aspettando Sally per recarsi insieme a lei in biblioteca. Nell'attesa approfittò di portarsi avanti con la lettura dell'ennesimo manoscritto pretenzioso e noioso anche se il vento rendeva l'impresa antipatica in quanto ogni folata rischiava di seminare fogli sul prato.
"Scusa," esclamò Sally arrivandogli alle spalle ansante, "ma oggi il professore di biologia non la finiva più," spiegò con il fiatone, lasciandosi cadere accanto ad Emma.
"Devi fare un po' di palestra ragazza mia se una corsetta ti fa sfiancare," la prese in giro dandogli un colpetto al braccio con un pugno.
"Ahi!" Sally si ritrasse strizzando gli occhi.
"Ti ho fatto male?!" chiese Emma dispiaciuta ma nel contempo sbigottita, "ti ho appena toccato, scusa."
"No... è che ho sbattuto e ho un livido."
"È ancora il livido dell'altra volta? O sei recidiva e continui a sbattere contro la stessa porta? Perché forse è il caso che la scardinate!" rimarcò Emma in tono scettico e senza concedere all'altra il tempo di inventarsi un'altra giustificazione inverosimile insisté dicendo, "tu non me la racconti giusta. È tornato tuo padre? Ti ha strapazzato come al solito? Sally lo sai che puoi venire a stare da noi in qualsiasi momento. I miei ti accoglierebbero a braccia aperte."
"No Emma... davvero, sono solo sbadata. Ho tante di quelle cose da fare e nella fretta non vedo dove metto i piedi," ribatté Sally sfoderando un sorriso rassicurante, "a proposito di cose da fare la biblioteca chiude tra un'ora perciò muoviti bighellona."
Emma osservò per un istante l'amica avviarsi speditamente. Era la seconda volta in più di una settimana che scopriva che Sally aveva addosso dei lividi. Emma aveva tirato in ballo il padre sapendo che aveva il vizio di alzare le mani sulla moglie e i figli.
Un ricordo limpido che l'accompagnava da anni risaliva a quando erano in seconda media e Sally non si era presentata a scuola proprio il giorno che si facevano le foto di classe. Dato che nei giorni precedenti le due ragazze non avevano cicalato d'altro ponderando con cura abbigliamento e pettinatura per l'occasione, Emma si preoccupò per quell'assenza strana. Dopo scuola corse a casa di Sally, bussò ma senza ottenere risposta. Insistette ancora altre tre, quattro volte chiamando a voce alta. Finalmente uno dei fratellini aprì timidamente.
"Ciao Peter, dov'è Sally?"
Lui abbassò lo sguardo taciturno e Emma intuì automaticamente che era successo qualcosa di grave. Un'improvvisa vampata di calore l'avvolse e si sentì il cuore in gola. Si precipitò in salotto e vide la madre di Sally svenuta sul divano con un occhio tumefatto e il labbro spaccato. Il cuore di Emma prese a battere più forte. Di scatto girò su se stessa e chiese a Peter dove fosse la sorella. Lui fece un cenno con il capo verso le scale che portavano al piano di sopra. Emma le scavalcò a due a due. Entrò in camera di Sally e la trovò riversa sul letto singhiozzando. Le toccò delicatamente una spalla e pronunciò il suo nome dolcemente con un nodo alla gola. Sally si voltò piano verso Emma. Anche lei aveva segni di violenza sul viso. Una guancia era marchiata a fuoco da un'impronta in cui si riconoscevano distintamente cinque dita enormi e il naso era sporco di sangue rappreso. Esaminandola per intero Emma scorse dei brutti lividi su entrambi le braccia. Telefonò immediatamente alla madre chiedendole di correre lì. Nel frattempo aiutò Sally a sciacquarsi il viso e a pettinarsi i capelli scarmigliati piangendo sommessamente.
Nei giorni seguenti Emma usò tutte le tattiche possibili per capire da Sally se il padre era responsabile dei suoi lividi, lividi che avevano la peculiarità di moltiplicarsi anziché guarire. Oltretutto un giorno venne fuori che gli ematomi non erano gli unici segni che aveva addosso. La scoperta avvenne quando sorprendentemente Sally saltò due giorni di fila di lezioni in facoltà. Per telefono Emma si sentì dire che era a letto con un virus influenzale contagioso e che non era il caso di andare a trovarla. Naturalmente Sally s'ingannava credendo di avere liquidato l'amica con quella spiegazione, chiaramente dimenticando con chi stava parlando. Infatti dopo la seconda telefonata con lo stesso ritornello Emma si presentò a casa sua scoprendo che in realtà il virus contagioso era un occhio pesto.
Quella sera a cena con i genitori Emma non fece altro che giocherellare con il cibo che aveva nel piatto chiusa in un insolito silenzio pensieroso. Inizialmente i genitori si limitarono ad osservarla scambiandosi occhiate d'intesa finché il padre spezzò il silenzio con una battuta, "quei piselli li stai torturando da un pezzo, non vuoi liberarli dalla loro agonia mangiandoli una buona volta?"
Emma tenne lo sguardo basso ed esalò un sospiro profondo.
"Cosa ti turba?" le chiese.
"Problemi con gli studi? Con il lavoro? Hai avuto un diverbio con qualcuno?" indagò la madre spronandola ad esprimersi.
"Sally le sta prendendo di nuovo," dichiarò seccamente abbandonando la forchetta nel piatto e scostandolo da se per appoggiarsi con le braccia incrociate sul tavolo.
"Oh no! Il padre ha ricominciato? Pensavo se ne fosse andato definitivamente?!" esclamò preoccupata la madre.
"Non lo so mamma, ho dei dubbi che sia il padre. Se fosse lui me l'avrebbe già confidato di sua iniziativa, ma questa volta non si sbottona. Non fa che eludere le mie domande cambiando discorso con battute spiritose."
"Ma se non è il padre chi può essere?" inquisì la madre meditabonda, "ho incontrato la madre al supermercato proprio l'altro ieri e l'ho trovata molto bene, ha fatto dei miglioramenti notevoli da quando frequenta gli alcolisti anonimi, sembra un'altra persona. Sono stata veramente contenta per lei e soprattutto per Sally."
"Sei convinta che si tratti di abusi? Non sarà che stai traendo conclusioni affrettate?" domandò il padre.
"Papà, con credi che ormai abbia imparato a riconoscere i sintomi? Lividi su parti del corpo dove è difficile farseli da sé, labbra spaccate, occhi neri. E sono piuttosto sicura che una volta avesse almeno una costola rotta perché abbracciandola ha emesso un gemito che ha trattenuto a stento."
"Allora sembra una cosa seria. Capisco perché sei turbata," annuì il padre con un cenno del capo.
"La cosa che mi preoccupa di più è che sembra che sia entrata in una spirale di negazione. Ho l'impressione che non voglia ammettere a se stessa quello che le sta succedendo e non voglia farsi aiutare. Dovreste sentire le scuse balorde che si inventa per giustificare quelli che possono essere definiti solamente 'maltrattamenti'"
"Devi parlare con lei apertamente che li piaccia o no," disse il padre, poi guardando la figlia negli occhi aggiunse, "anche di chi sospetti."
Trascorsero un paio di settimane dalla conversazione a cena tra lei e i genitori. Nel frattempo Sally si rifiutava ostinatamente di riconoscere i segnali inequivocabili di una storia che si stava ripetendo. Di conseguenza Emma si tuffò nel lavoro che divenne un espediente per sfuggire ai suoi pensieri inquietanti. Tuttavia una sera ebbe luogo un confronto inevitabile sebbene prevedibile.
Dopo avere passato un intero pomeriggio nel suo cubicolo correggendo diverse pagine di un nuovo libro uscì dall'edificio in centro città immergendosi nello sciame di gente che gremiva il marciapiede. Essendo un giorno lavorativo il ritmo della vita era frenetico e le persone che incrociava per strada tirava dritto a testa bassa senza scambiare nemmeno un fuggevole sguardo con gli altri passanti. La temperatura rigida di quella stagione costringeva ognuno a proteggersi al massimo indossando cappelli ben calcati in testa e sciarpe tirate sul viso che concedevano appena una stretta fessura per gli occhi. Imbacuccati in quella maniera era impossibile riconoscere persino i propri genitori. Nonostante ciò nel mezzo di quel trambusto di figure anonime Emma sentì chiamare il suo nome.
"Ciao Sam, che sorpresa. Come mai da queste parti?" domandò lei sforzandosi di essere cordiale.
Lui non rispose immediatamente indugiando diversi secondi aspirando con calma la sigaretta che aveva tra le labbra, infine diede un ultimo lungo tiro prima di rilasciare lentamente il fumo dalle narici, poi con un atteggiamento spavaldo gettò il mozzicone a terra schiacciandolo ripetutamente con la punta della scarpa continuando a scrutarla. Emma percepì che quella mimica velava un messaggio subliminale.
"Sapevo che saresti uscita da lavoro a quest'ora e sono venuto di proposito perché vorrei scambiare due parole con te," affermò lui fissandola.
Lei immaginò subito di cosa si potesse trattare. D'altra parte era prevedibile che Sally parlasse con lui delle loro conversazioni. Emma l'aveva messo in conto. Ed era altresì cosciente che prima o poi sarebbe avvenuto quel confronto. Malgrado si sentisse il cuore in gola lei sostenne il suo sguardo con la medesima intensità. Era determinata a non cedere a nessuna forma di intimidazione.
Ma Sam era scaltro e i segnali non sfuggivano nemmeno a lui. Lesse nei lineamenti induriti di Emma la risolutezza di tenergli testa e quindi comprese seduta stante che un atteggiamento minatorio si sarebbe rivelato come un boomerang, dunque dissimulò la sua aggressività assumendo un'aria disponibile e mansueta. Comunque ce la mettesse tutta non riuscì ad ingannare Emma che non si stupì di fronte a quella trasformazione repentina. Sapeva che era tipico di chi deve far valere la propria autorità in un modo o in un altro.
"Emma, ascolta... io mi rendo conto che tra te e Sally c'è un vincolo di amicizia più unico che raro ed è un bellissimo quadretto. Credimi sono il primo a provare ammirazione e rispetto, infatti con mi sognerei mai di dividervi soprattutto perché so che ne soffrirebbe Sally. Ma sai, comincio a pensare che il tuo senso dell'amicizia sia un po' distorto..."
"Distorto?!" Emma sbottò incredula sgranando gli occhi, "in che senso scusa?"
"Senti, non c'è bisogno che ti agiti, quello che intendo è che forse non hai capito che adesso nella vita di Sally ci sono anch'io, anzi per essere precisi ci sono prima di tutto io. Tanto è vero che lei mi racconta ogni cosa come è giusto che faccia, e mi racconta le idee assurde che le vai mettendo in testa. Con che coraggio mi accusi di azioni tanto infami? La tua possessività nei confronti di Sally non è sana, ti rende gelosa del nostro rapporto e ti spinge fino a questo punto. Sappi che io amo Sally e ho bisogno di lei. Non le farei mai del male."
"Complimenti per la recitazione... che aria innocente... come sei bravo a torcere le cose. Resta il fatto comunque, che da quando sta con te ha ricominciato ad avere lividi spaventosi, labbra spaccate, occhi neri e costole rotte!"
"Emma! Non posso credere che tu ti serva in modo così meschino del suo passato di abusi fisici per allontanarla da me, facendole tornare a galla i suoi traumi è solo una crudeltà. Tra l'altro è diffamazione nei miei confronti, ti rendi conto che qualcun altro ti avrebbe già querelato? Adesso dimmi la verità, ti ha mai confessato a chiare lettere di essere maltrattata o picchiata da me?... Allora?... lo ha fatto?"
Emma trasse un lungo e doloroso sospiro digrignando i denti, "No... non lo ha fatto. E per tua fortuna non lo farà mai, e lo sai perché? Perché quelli come te sono furbi, scegliete prede deboli, donne emotivamente fragili, così vi è più facile soggiogare la loro volontà. Voi siete dei deboli, dei disadattati e vi sentite forti solo se potete dominare su chi è più vulnerabile di voi."
Emma non gli diede il tempo di replicare, girò sui tacchi e si allontanò tremando di rabbia e temendo per la sua amicizia con Sally.
Il 10 giugno del 1990 si concretizzò il suo timore più grande. Emma era seduta in veranda dietro casa da sola mentre la sua migliore amica si sposava. Si sentiva affranta da un senso di desolazione che non aveva mai sperimentato. I loro rapporto si era incrinato come risultato dell'incontro/scontro tra lei e Sam. Lui aveva ottenuto il suo scopo introducendo nella mente di Sally dubbi sulla sincerità dell'amicizia di Emma. Il loro legame si era ulteriormente compromesso il giorno che Sally le comunicò la data del suo matrimonio.
"Ci sposiamo il 10 Giugno," le annunciò raggiante con una mano fasciata che secondo la sua versione dei fatti si era rotta per colpa di una pentola cadutaci sopra. Emma preferì non commentare quella ridicolaggine che puzzava di imbeccata da parte di Sam.
"Ma Sally, ero convinta che ti saresti laureata prima di prendere in considerazione il matrimonio!"
"Sam dice che una cosa non esclude l'altra," replicò lei soddisfatta e felice, "anzi, ha detto che mi aiuterà finanziariamente a proseguire gli studi."
"Sally," esclamò costernata Emma, "come ha fatto quell'uomo ad assoggettarti in questo modo? Come fai a non vedere chi è veramente?"
"Emma lui mi ama..."
"Lui ti picchia!" proruppe esasperata.
"Smettila di inventarti queste malignità. Tu non lo conosci, è dolce e gentile."
"Ma se sei piena di lividi! Pensi che sono cieca? Stupida? Da quando state insieme hai avuto tre volte l'occhio nero, costole rotte, labbra gonfie... e guardati quella mano... davvero credi che mi sono bevuta la storia della pentola?"
"Non lo fa per cattiveria..." protestò difendendolo ostinatamente, e subito dopo si morse il labbro per essersi tradita.
"Quindi ho ragione io! Lo ammetti, non sono incidenti!"
"Ma ogni volta si dispera, poverino, tu non lo vedi, piange come un bambino e mi chiede perdono. In fondo sono IO che lo faccio spazientire perché sono un incapace."
"Cosa?! Questo è assurdo, ti ha ridotto a credere che sei un incapace?! Sei la persona più in gamba che io conosco. Hai mandato avanti una casa, hai praticamente allevato i tuoi fratellini, sei entrata alla facoltà di medicina. Lui ti sta sminuendo perché è LUI l'incapace, e gli fa rabbia che tu sia meglio di lui!"
"Basta! Non voglio sentire oltre. Ero venuta per condividere con te la mia felicità e per chiederti di aiutarmi ad organizzare le nozze. Sam mi aveva avvertito che avresti reagito così, ma mi sono rifiutata di credergli," con gli occhi lucidi se ne andò lasciando Emma immobile dallo sgomento. Lui si era rivelato una persona viscida e perfida che si nascondeva dietro una facciata affabile e perbene. La rabbia montava dentro Emma pensando al modo in cui aveva manipolato Sally. In seguito Emma seppe che lui l'aveva indotta a credere che Emma fosse invidiosa del loro rapporto e le propinò perfino la menzogna oscena che lei le avesse fatto delle avance.
Emma non intendeva rinunciare a un amicizia speciale e unica come la loro. Non sopportava quel distacco e quindi non avrebbe permesso a Sam di innalzare ancora di più la barriera che aveva creato tra lei e Sally. Emma tentava in ogni modo di contattarla anche se puntualmente i suoi sforzi fallivano miseramente. Nel frattempo si teneva costantemente informata sulla vita di Sally attraverso amici e conoscenti comuni scoprendo che anche Sally chiedeva di lei. Le notizie che sentiva non erano incoraggianti. Aveva saputo che Sally non frequentava i corsi universitari da quando era tornata dal viaggio di nozze. Il professore di biologia cellulare espresse rammarico per il fatto che avesse interrotto gli studi dato che era un elemento promettente. Chiunque l'aveva incontrata raccontava di una Sally dimessa, sofferente e sfuggente. Qualcuno aveva anche accennato a segni di maltrattamenti camuffati maldestramente con fondotinta e occhiali da sole scuri.
Non potendone più un giorno Emma buttò all'aria ogni riserbo e si recò all'indirizzo di casa della sua amica. Si presentò decisa davanti alla porta e suonò il campanello più volte. Non ci fu risposta. Bussò energicamente alla porta ma senza risultato. Scese dal portico e si diresse verso il retro della casa bussando ripetutamente anche alla porta sul retro. Non c'erano segni di vita. Mentre tornava delusa verso la macchina si voltò indietro un ultima volta per sincerarsi che non ci fosse nessuno. Proprio in quell'attimo scorse una tendina che si era mossa furtivamente. Le balzò il cuore in petto. Tornò di corsa sui suoi passi bussando forte e chiamando Sally ad alta voce.
"Ti ho vista! Lo so che ci sei, aprimi! Sally per amor di Dio aprimi! Ti scongiuro fammi vedere come stai, ti prometto che se stai bene chiederò perdono a Sam, davvero!"
Inaspettatamente le giunse da dietro la porta la voce di Sally impaurita come quando era bambina, "Va via Emma, ti prego!"
"No!!" urlò l'altra, "Fammi vedere come ti ha conciata, credi che non lo sappia che continua a gonfiarti di botte? I nostri amici mi tengono informata. Vieni via con me prima che ti uccide di botte!"
"Mi ucciderà se ti trova qui, ti prego va via."
"Lo devi lasciare prima che sia troppo tardi! Lo devi denunciare!"
"È già troppo tardi..."
"Che significa?"
"Aspetto un bambino, non posso farlo nascere senza una famiglia, ha bisogno di entrambi i genitori."
Quella notizia le arrivò come un pugno nello stomaco. Si portò le mani alla bocca e le si velarono gli occhi di lacrime. Un'altra anima innocente nelle grinfie di quel mostro.
"A maggior ragione devi scappare da lui," la supplicò cercando di ingoiare il nodo che le stringeva la gola, "altrimenti sarà in pericolo anche il bambino. Sally ragiona, lui non è in grado di essere un padre. Ti illudi davvero che Sam non alzerà un dito sul figlio?... eppure ci sei passata!"
"Emma sei tu che non capisci. Io devo far funzionare almeno una famiglia nella mia vita. Non ci sono riuscita con l'altra. E poi tu stai giudicando tutta la faccenda da un lato solo. Lui può essere molto buono e premuroso con me quando mi comporto bene. Vedrai, sarà diverso quando avrà tra le braccia il suo bambino. Vai tranquilla Emma," poi sussurrò, "ti voglio bene."
Erano trascorsi poco più di due mesi da allora e Emma aveva cercato tutte le occasioni per incontrarla anche solo per salutarla da lontano. L'assenza di Sally nella sua vita le procurava un vuoto abissale. L'unico ricordo che la confortava erano le ultime parole che le aveva bisbigliato e che le risuonavano nella mente, "Ti voglio bene". Ogni sera quando si coricava, nell'attesa che il sonno le donasse un po' di sollievo si rivolgeva a Dio pregandolo di proteggerla dato che lei non ne era stata capace.
Una notte il suo sonno tormentato da un incubo fu scosso dallo squillo del telefono. Ci mise alcuni secondi per realizzare che quel suono era reale. Cercò di mettere a fuoco l'ora che segnava la sveglia sul comodino e storse la bocca quando vide che erano appena le due e mezza.
"Pronto?" rispose con la voce roca impastata di sonno.
"Emma... aiutami..." la voce di Sally era fioca e tremula.
Allarmata Emma scatto seduta sul letto, "Sally cos'è successo?!"
"Ai... u... ta... mi... sto mal..."
Emma riattaccò la cornetta e con le dita che le tremavano compose il numero dei genitori raccontando in maniera concitata della telefonata di Sally. Quando si incontrarono di fronte alla casa di Sally videro che le luci erano accese e si affrettarono alla porta suonando e bussando senza risposta. A quel punto il padre di Emma afferrò la maniglia della porta sperando che non fosse chiusa a chiave ma non cedette, era serrata. Cercarono affannati almeno una finestra aperta ma invano. Corsero sul retro della casa ma anche la porta laterale era chiusa. Il padre di Emma si sfilò la giacca a vento arrotolandosela attorno al pugno poi sferrò un colpo possente al vetro frantumandolo per inserire una mano dentro ed aprirla. Si lanciarono all'interno e iniziarono ad ispezionare freneticamente tutte le stanze gridando il nome di Sally. Emma volò su per le gradinata che conduceva al piano di sopra come se avesse avuto le ali ai piedi. Il letto era disfatto ma Sally non c'era dentro. Girandosi attorno disperata come una trottola si accorse della sottile lama di luce che filtrava sotto la porta del bagno socchiusa. Quando spalancò la porta le mancò di colpo la terra sotto i piedi trovandosi davanti agli occhi una scena terribile. Sally era svenuta, era tutta rannicchiata in un angolo del piatto della doccia seduta in un pozzo del suo sangue pallida come un fantasma.
OGGI
Una mano calda e lieve si poggiò sulla spalla di Emma. Lei sollevò immediatamente e guardò Sally. Sospirò delusa constatando che la sua amica aveva gli occhi chiusi. Sally vagava ancora in uno spazio-tempo molto lontano. Almeno sarà serena, sperava Emma. Lei si era addormentata sulla poltroncina con la testa riversa sul bordo del letto di Sally. Quando provò a sedersi eretta il collo e la schiena le dolsero. La madre la stava massaggiando lentamente.
"Vai a casa a mangiare e a dormire un po'," la esortò dolcemente.
"Non voglio che si svegli da sola," replicò Emma roteando piano il capo per sciogliere i nervi aggrovigliati.
"Stai tranquilla resto io con lei, lo sai che è in buone mani e se avviene il minimo cambiamento ti faccio sapere all'istante. Ti ho messo una lasagna nel forno, devi solo riscaldarla. Per favore mangia e fatti una bella dormita," le ripeté con fermezza la madre mentre si accomodava nella poltroncina lasciata vacante con titubanza dalla figlia. Poi tirò fuori dalla borsa gli occhiali da vista e il suo lavoro di punto croce, "Cos'aspetti?! Vai!"
Emma esitava, ma la madre aveva ragione, era stanca e affamata. Fece appena due passi verso la porta quando sentì qualcuno farfugliare dietro le sue spalle,
"Non te la mangiare tutta la lasagna, portane un po' anche a me."
Il cuore di Emma fece un sussulto. Lei la madre e l'infermiera che nel frattempo era entrata per controllare la flebo e il respiratore sgranarono gli occhi e spalancarono la bocca sorprese. Emma si accostò al fianco del letto e le accarezzò la fronte,
"Bentornata tra noi bella addormentata."
"Ho dormito molto?"
"Diciamo che ci hai fatto stirare il collo per un mese e più."
Sally corrugò la fronte e mosse timidamente la mano sul ventre, "il mio bambino?"
Emma abbassò le palpebre e sospirò addolorata, "mi dispiace..." iniziò la frase ma non poté continuare.
Sally chiuse gli occhi e un rivolo di lacrime le scivolò lungo le tempie bagnando in guanciale.
"Sally, ti aiuteremo a uscire da questa storia. Ti saremo accanto con tutto l'amore di una famiglia e col tempo ti riprenderai e ricomincerai a vivere. Tornerai all'università e diventerai uno straordinario medico come hai sempre sognato."
La mamma di Emma le prese la mano tra le sue, "verrai a stare con noi tesoro. Siamo noi la tua famiglia ora. In fondo un po' lo siamo sempre stato," e le sorrise con tenerezza accarezzandole la guancia. Emma rivolse alla madre uno sguardo colmo di gratitudine e complicità.
"Mi dispiace per tutto Emma, perdonami. Non ti ho dato ascolto. Ho barattato il tuo affetto per dei pugni in faccia e per colpa della mia ostinata stupidità ci ha rimesso anche il mio povero bambino."
"Non devi pensare nemmeno per un attimo queste cose e soprattutto non è colpa tua cos'è successo al piccolo. Tu hai solo desiderato la cosa più naturale di questo mondo, una famiglia vera, dove trovare pace e serenità e l'hai sperato fino all'ultimo, questo non è stupido," si soffermò per mandare giù il nodo in gola che stava cominciando a soffocare le sue parole, poi aggiunse, "anzi, sai come ti vedo? Come una barchetta in mare aperto che veleggia verso una destinazione precisa ma incontra delle tempeste."
Per la prima volta dopo tanto tempo le labbra dolenti di Sally si allargarono in un sorriso disteso e fiducioso, "e tu sei la mia ancora di salvezza."
"Sempre, sorellina mia."
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